I social network che non ci sono più

Ricordi Friendster? Duepuntozero? Flickr? E soprattutto, tu c’eri su MySpace? Ritorniamo al momento in cui i social nascevano e morivano con velocità, gli influencer non esistevano e soprattutto ci si divertiva ancora.

Friendster Alle volte arrivare prima di tutti non aiuta. Anche se Jonathan Abrams, che fondò Friendster nel 2002, una sorta di proto-Facebook i cui brevetti neanche una decina di anni furono venduti proprio all’azienda di Zuckerberg, ne uscì con svariati milioni di dollari. Friendster si è poi rienventato come piattaforma di social gaming, con più di 100 milioni di iscritti, fino alla cessazione di attività e alla chiusura nel 2018.  

World of Warcraft Innegabilmente Fortnite è un videogioco, ma è anche una piattaforma sociale dove succedono cose. La strada l’ha aperta un gioco di ruolo online che nel 2010 aveva 12 milioni di utenti iscritti: Wow ha moltissime caratteristiche del social network, tra messaggi, condivisione di contenuti, il marketplace e altro. E funziona meglio di una dating app, provate a gugolare “wow irl couples”. Ah, World of Warcraft è vivo e vegeto anche se ha perso parecchi utenti rispetto agli anni d’oro.

Path Un social in cui sei connesso a poche persone scelte con cura è meglio? Path nasce nel 2010 come reazione al boom di Facebook e Twitter. Potevi avere al massimo 150 contatti. Non è durato. 

Fotolog Una piattaforma super basic dove caricavi una foto al giorno e con una qualità discutibile. Ma era veloce e divertente, ed è stato il primo a introdurre il concetto che una immagine può funzionare meglio di tante parole. Ed era perfetto come app di dating prima che esistessero.

Livejournal Se c’è stata una cosa che ha contraddistinto la prima fase social di internet, quella sono i blog, ovvero dei siti che chiunque poteva aprirsi per “postare”. Molti sono diventati estremamente famosi, alcuni delle vere e proprie testate giornalistiche. Livejournal è stato uno dei primi tentativi di mediazione tra i blog e una ipotesi di rete sociale che connettesse i suoi utenti. Un grande rimpianto.

Flickr Una community basata sulle foto, quando ancora le foto si guardavano in orizzontale su un computer. È stato il primo social a farti capire che i tuoi media potevano valere qualcosa., però all’epoca non c’erano gli influencer. C’era il citizen journalism. Poi l’ha comprato yahoo, e con yahoo è andato a fondo. Godetevi Instagram.

Second Life Questo era notevole: una piattaforma 3d dove l’immaginazione la faceva da padrone. Nei fatti, un precursore del Metaverso, con l’unica differenza che Second Life c’è stato per davvero, il Metaverso ancora lo aspettiamo. Sembra il mesozoico dell’internet a guardarlo oggi, ma il potenziale era già evidente: Barack Obama ci ha fatto anche la campagna presidenziale.

Icq Oggi gran parte dell’IM passa attraverso le piattaforme di Meta: la app dedicata Whatsapp, ma anche la messaggistica di Instagram e Facebook. Ma c’è stata un’epoca pionieristica in cui piattaforme dedicate mettevano in comunicazione via modem adsl persone fino a quel momento lontanissime. ICQ stava per “I seek you” e negli anni successivi al 2000 ha raggiunto il suo apice con circa 100 milioni di utenti registrati. 

Duepuntozero Progetto tutto italiano, ricordo di giovinezza degli “old millennials” che lo popolarono tra il 2004 e il 2009, era un kindergarten di tante chiare ferragni in eba (l’originale era tra gli utenti più followati). Oltre la vetrina di ragazzi a petto nudo e capello a scodella pseudo-emo e selfie di ragazzine in intimo Calvin Klein e secchiello Louis Vuitton a tracolla, c’era qualcosa di più. Anche questo è morto e sepolto da parecchio. 

Google+ A un certo punto anche Google si è lanciato nel mondo dei social. Ma quella di Mountain View è una lunga storia di lanci a raffica di cui alla fine restano poche eccellenze (Docs, Gmail, ovviamente il motore di ricerca, e Chrome, oltre ad Android). Lanciato nel 2011, + è stato chiuso prima della fine del decennio scorso.

Bang with friends Non era una vero e proprio social, ma un modo di introdurre il tema dei “friends with benefit” nell’impianto smaccatamente puritano delle piattaforme sociali born in the USA. Ti permetteva di indicare quali amici di Facebook avresti gradito come trombamici. Se la preferenza era bilaterale, il gioco era fatto. Ha cambiato nome in Down, cercando di essere un po’ meno esplicita, ma a quel punto la festa era finita.

Twitter C'era una volta Twitter, il social dell'uccellino in cui si pubblicavano brevi messaggi di testo. All'inizio non si sapeva molto che farsene. Poi è diventato un riferimento per entertainment, politica e affari, oltre che per il giornalismo: le notizie passavano da Twitter. Quando è andato in crisi, l'ha comprato Elon Musk trasformandolo in X. Ma sembra che la situazione sia solo peggiorata, specialmente a causa del ruolo di Musk nelle elezioni americane 2024.

BeReal, Clubhouse, and... Threads? Ci siamo talmente annoiati dei social network che non vediamo l’ora che arrivi the next big thing. Ci abbiamo sperato con Clubhouse, il social tutto vocale, e con Bereal, che chiedeva agli utenti di postare appena ricevevano una notifica (poco stressante). Entrambi hanno avuto un picco di utenti che poi hanno via via lasciato la piattaforma. Qualcosa di simile è successo anche con Threads, l’anti-Twitter lanciato da Meta, che ha avuto un boom di iscrizioni al lancio, oltre 100 milioni nei primi 5 giorni, ma poche interazioni successivamente. Oggi la piattaforma però non sta male, con più di 270 milioni di utenti attivi quotidianamente.

C’è un muro che separa le generazioni e non è quello di Berlino, ma l’amicizia con Tom.

Se stai chiedendo “e ora chi è sto Tom?” probabilmente non eri su MySpace, il primo vero social network. Nel 2006, era il sito più cliccato degli Stati Uniti, più di Google e dell’altro motore di ricerca di quegli anni, Yahoo – un simbolo dell’internet dei ’90, definitivamente surclassato e affondato nello scorso decennio da Big G.

Tom era il tuo primo amico su MySpace, una creatura digitale mitologica che qualunque nuovo utente si trovava appioppato de facto all’iscrizione nella lista degli amici. La sua bio era un emoticon che strizzava l’occhiolino, ;-). Ora, se ti stai chiedendo “cosa erano gli emoticon”: erano gli emoji prima che esistessero gli emoji,  stilizzazioni di faccine create con una successione di caratteri che potevi digitare direttamente da tastiera. Tra i più famosi lo smile :-), il “just deal with it” (••)  e questo decisamente immortale: ¯\_(ツ)/¯.

Tom era Tom Anderson, uno dei due fondatori di MySpace. In qualche modo, Tom era un’eccezione (oltre a essere una piaga peggio di quella volta che Apple ti ha messo un disco degli U2 in automatico su iTunes). La maggior parte di noi che usavamo MySpace, avevamo nomi di totale fantasia o quasi, comunque la combinazione nome+cognome era fondamentalmente bandita. La persona più famosa di MySpace era Tila Tequila e di sicuro “Tequila” non era il suo vero cognome. In quei tempi ancora a cavallo tra i due millenni, che sembrano ieri e mille anni fa, internet non era tanto un “gemello digitale” della nostra realtà. Al di là di un utilizzo base per lavorare (mail, qualche sito di informazione e così via), il www (non c’erano le app!) era soprattutto uno spazio immaginativo e fantastico, dove avere una “second life” con persone spesso geograficamente lontane. E poi era una cosa per pochi, non una rubrica telefonica globale come oggi. Le connessioni erano lente, pochissimi avevano un cellulare con accesso alla rete e comunque lo usavi per guardare le mail, non per cazzeggiare. Anche perché costava parecchio. E non era facile e comodo come su un iPhone 16.
 


Stare sui social era una cosa rara, MySpace al suo apice ha toccato i 75 milioni di utenti contro i 3 miliardi registrati da Facebook l’anno scorso. E MySpace era il king di un contesto tumultuoso in cui le cose cambiavano alla velocità della luce: all’epoca era facile vedere nuovi social network nascere e morire con una facilità disarmante. Si creavano profili multipli, si sgusciava fuori e dentro a un login e da un logout quasi come cambiando pelle. Era un mondo digitale per pochi e ci si divertiva parecchio. Una apparente anarchia felice, dall’altra parte dell’oceano però si facevano i big money. Quando uscì Facebook, molti già si chiedevano quanto sarebbe durato. E invece è ancora qui. Il divertimento forse lo è un po’ di meno.

Nel frattempo, ne abbiamo sepolti molti, di social: da Livejournal a Fotolog a Friendster a Flickr a MySpace stesso. Sia chiaro, molti esistono ancora, almeno nominalmente. Si sono trasformati in qualcosa d’altro. Per loro, l’età dell’oro è finita da un pezzo. Le cause sono tante, di sicuro la normalizzazione della nostra vita digitale è una. Poi c’è la trasformazione di quelle che erano soprattutto piattaforme orizzontali, di condivisione dal basso, in gerarchie piramidali con un loro star system e l’influencer-mania che sicuramente ha definito gli ultimi anni.

Ma l’ingresso prepotente degli smartphone è stato probabilmente l’anno zero dei social: quasi per paradosso, nel momento in cui sempre più persone si sono trovate connesse 24/7 alla rete, le piattaforme sono andate in convergenza e da almeno un decennio quelle di Zuckerberg, ovvero Facebook e poi Meta, che comprende anche Whatsapp e Instagram, sono diventate dominanti. Con qualche avversario che ogni tanto spunta fuori, come Snapchat, o il popolarissimo Tiktok, che domani potrebbe ricevere una mazzata letale con il bando dagli Stati Uniti. Lo vedremo presto in questa lista?

Di sicuro, c’è una cosa: vent’anni fa nessuno avrebbe mai pensato a fare il detox dai social. Oggi è un discorso piuttosto comune, soprattutto per i tantissimi che per un motivo devono averci a che fare per lavoro. Libri come The age of surveillance capitalism di Zuboff, Antisocial di Marantz, le cronache sulla bro-life di Anna Weiner (The Uncanny Valley) e ancora prima il film The Social Network di Fincher+Sorkin, o la più recente serie The social dilemma di Netflix hanno contribuito a scollarci da una visione ottimistica e ingenua rispetto alla nostra presenza sui social e a chi li gestisce. Il dumb phone, ovvero il telefono disconnesso dalla rete, è diventato quasi una leggenda urbana. Eppure, come le mosche con il miele, sui social network proprio non riusciamo a non starci. 

Immagine di apertura: un vecchio profilo di MySpace, con l'immagine di Tom come primo amico

Friendster

Alle volte arrivare prima di tutti non aiuta. Anche se Jonathan Abrams, che fondò Friendster nel 2002, una sorta di proto-Facebook i cui brevetti neanche una decina di anni furono venduti proprio all’azienda di Zuckerberg, ne uscì con svariati milioni di dollari. Friendster si è poi rienventato come piattaforma di social gaming, con più di 100 milioni di iscritti, fino alla cessazione di attività e alla chiusura nel 2018.  

World of Warcraft

Innegabilmente Fortnite è un videogioco, ma è anche una piattaforma sociale dove succedono cose. La strada l’ha aperta un gioco di ruolo online che nel 2010 aveva 12 milioni di utenti iscritti: Wow ha moltissime caratteristiche del social network, tra messaggi, condivisione di contenuti, il marketplace e altro. E funziona meglio di una dating app, provate a gugolare “wow irl couples”. Ah, World of Warcraft è vivo e vegeto anche se ha perso parecchi utenti rispetto agli anni d’oro.

Path

Un social in cui sei connesso a poche persone scelte con cura è meglio? Path nasce nel 2010 come reazione al boom di Facebook e Twitter. Potevi avere al massimo 150 contatti. Non è durato. 

Fotolog

Una piattaforma super basic dove caricavi una foto al giorno e con una qualità discutibile. Ma era veloce e divertente, ed è stato il primo a introdurre il concetto che una immagine può funzionare meglio di tante parole. Ed era perfetto come app di dating prima che esistessero.

Livejournal

Se c’è stata una cosa che ha contraddistinto la prima fase social di internet, quella sono i blog, ovvero dei siti che chiunque poteva aprirsi per “postare”. Molti sono diventati estremamente famosi, alcuni delle vere e proprie testate giornalistiche. Livejournal è stato uno dei primi tentativi di mediazione tra i blog e una ipotesi di rete sociale che connettesse i suoi utenti. Un grande rimpianto.

Flickr

Una community basata sulle foto, quando ancora le foto si guardavano in orizzontale su un computer. È stato il primo social a farti capire che i tuoi media potevano valere qualcosa., però all’epoca non c’erano gli influencer. C’era il citizen journalism. Poi l’ha comprato yahoo, e con yahoo è andato a fondo. Godetevi Instagram.

Second Life

Questo era notevole: una piattaforma 3d dove l’immaginazione la faceva da padrone. Nei fatti, un precursore del Metaverso, con l’unica differenza che Second Life c’è stato per davvero, il Metaverso ancora lo aspettiamo. Sembra il mesozoico dell’internet a guardarlo oggi, ma il potenziale era già evidente: Barack Obama ci ha fatto anche la campagna presidenziale.

Icq

Oggi gran parte dell’IM passa attraverso le piattaforme di Meta: la app dedicata Whatsapp, ma anche la messaggistica di Instagram e Facebook. Ma c’è stata un’epoca pionieristica in cui piattaforme dedicate mettevano in comunicazione via modem adsl persone fino a quel momento lontanissime. ICQ stava per “I seek you” e negli anni successivi al 2000 ha raggiunto il suo apice con circa 100 milioni di utenti registrati. 

Duepuntozero

Progetto tutto italiano, ricordo di giovinezza degli “old millennials” che lo popolarono tra il 2004 e il 2009, era un kindergarten di tante chiare ferragni in eba (l’originale era tra gli utenti più followati). Oltre la vetrina di ragazzi a petto nudo e capello a scodella pseudo-emo e selfie di ragazzine in intimo Calvin Klein e secchiello Louis Vuitton a tracolla, c’era qualcosa di più. Anche questo è morto e sepolto da parecchio. 

Google+

A un certo punto anche Google si è lanciato nel mondo dei social. Ma quella di Mountain View è una lunga storia di lanci a raffica di cui alla fine restano poche eccellenze (Docs, Gmail, ovviamente il motore di ricerca, e Chrome, oltre ad Android). Lanciato nel 2011, + è stato chiuso prima della fine del decennio scorso.

Bang with friends

Non era una vero e proprio social, ma un modo di introdurre il tema dei “friends with benefit” nell’impianto smaccatamente puritano delle piattaforme sociali born in the USA. Ti permetteva di indicare quali amici di Facebook avresti gradito come trombamici. Se la preferenza era bilaterale, il gioco era fatto. Ha cambiato nome in Down, cercando di essere un po’ meno esplicita, ma a quel punto la festa era finita.

Twitter

C'era una volta Twitter, il social dell'uccellino in cui si pubblicavano brevi messaggi di testo. All'inizio non si sapeva molto che farsene. Poi è diventato un riferimento per entertainment, politica e affari, oltre che per il giornalismo: le notizie passavano da Twitter. Quando è andato in crisi, l'ha comprato Elon Musk trasformandolo in X. Ma sembra che la situazione sia solo peggiorata, specialmente a causa del ruolo di Musk nelle elezioni americane 2024.

BeReal, Clubhouse, and... Threads?

Ci siamo talmente annoiati dei social network che non vediamo l’ora che arrivi the next big thing. Ci abbiamo sperato con Clubhouse, il social tutto vocale, e con Bereal, che chiedeva agli utenti di postare appena ricevevano una notifica (poco stressante). Entrambi hanno avuto un picco di utenti che poi hanno via via lasciato la piattaforma. Qualcosa di simile è successo anche con Threads, l’anti-Twitter lanciato da Meta, che ha avuto un boom di iscrizioni al lancio, oltre 100 milioni nei primi 5 giorni, ma poche interazioni successivamente. Oggi la piattaforma però non sta male, con più di 270 milioni di utenti attivi quotidianamente.