Cosa ci sarà dopo lo smartphone? È il dilemma che, in questo momento, molti startupper tecnologici e grandi aziende stanno cercando di risolvere.
A voler essere realistici e un po’ sbrigativi, sappiamo già tutti che la risposta è probabilmente “un altro smartphone, ma più intelligente, più veloce, più potente e con molta intelligenza artificiale”.
Purtroppo però l’ascesa rapidissima dei modelli linguistici di grandi dimensioni ha convinto una nuova schiera di giovani imprenditori tecnologici che diventare il nuovo Steve Jobs non sia mai stato così facile. Credono che, per creare un prodotto nuovo, basti impacchettare i modelli generativi di intelligenza artificiale in involucri hardware fisici — al resto ci pensano il software e il marketing.
È un mix inedito di ingenuità e sfacciataggine che supera gli standard classici della Silicon Valley. L’aspetto più affascinante di questa nuova ondata di hardware AI è che le startup che li producono cercano tutte di convincerci della necessità di un nuovo dispositivo monouso, come se i nostri smartphone non ci piacessero esattamente per il motivo opposto.
Forse gli startupper di nuova generazione sono troppo giovani per accorgersi che il vantaggio competitivo fondamentale e assoluto dello smartphone è la capacità di fare tante cose tutte assieme. Compreso far girare app che oltre a fare ciò che questi dispositivi promettono, potrebbero farlo meglio e a un costo nettamente inferiore.