La programmazione dei dieci numeri di Domus 2020 ha concentrato l’attenzione sulla posizione professionale degli architetti in un mondo in forte cambiamento, dando priorità al ruolo della pratica, piuttosto che alla pubblicazione dei progetti. David Chipperfield, nell’editoriale del numero di novembre Domus 1051, si interroga su come l’architettura debba affrontare oggi problematiche di scala molto più ampia, con un impegno più complesso di rappresentazione sociale, consapevolezza ambientale e mandato politico.
Saskia Sassen apre l’ultima Agenda riflettendo sul modo in cui le dinamiche astratte dell’economia globale stanno riformulando la scala delle nostre unità spaziali.Nonostante la nostra “impressionante capacità di tradurre in termini digitali praticamente qualunque cosa”, le condizioni materiali hanno ancora il loro peso. Lucia Allais indaga sulla riscoperta del cerchio come strumento di ordinamento spaziale in architettura, nonché sull’incremento della nostra consapevolezza del perimetro che circonda il nostro corpo, mentre Vittorio Magnago Lampugnani lascia un toccante consiglio ad architetti e urbanisti: “La realizzazione materiale di un concetto non può considerarsi separato dal concetto stesso”.
Proseguendo nel discorso iniziato con il numero di ottobre, utilizziamo la sezione Pratica per ampliare il tema, chiedendo a colleghi architetti di rispondere alla domanda: “Come sarà il futuro dell’architettura?”. Toshiko Mori illustra due progetti dello studio in Senegal, proposte basate sull’idea che l’architettura ha il potenziale per contribuire a dare stabilità alle comunità che dispongono di scarse risorse. Per Atelier Bow-Wow i disegni sono una piattaforma importante per condividere le risorse della società. Anne Lacaton e Jean Philippe Vassalci affermano la necessità di difendere il piacere di abitare, inteso come un atto politico: è una necessità, un problema che va affrontato allo stesso livello di una priorità ambientale. Studio Mumbai cataloga, attraverso una serie di loro scatti, elementi caratterizzanti la percezione del mondo fisico in cui viviamo, stratificazione della nostra evoluzione culturale. Lo studio di architettura Bureau Architectures Sans Titre ritrae con una serie di scatti fotografici gli operai e tecnici in azione nei cantieri dei loro progetti, dalla ristrutturazione di un’ex autorimessa in uffici all’ampliamento e miglioramento termico di una casa. Tony Fretton analizza tre progetti realizzati da professionisti, dediti anche al mondo dell’insegnamento e della teoria. Senza clamore, ciò che hanno fatto è un antidoto all’architettura e agli oggetti che sono fatti per la pubblicazione, ma ci distraggono dal vedere e ci trattengono dall’essere.
A conclusione della rassegna Design e Arte, Stefano Maffei racconta come le realtà del design non siano più collegate esclusivamente alla materialità. Jasper Morrison prosegue invece le sue riflessioni personali sul suo lungo rapporto con Milano e ci ricorda che la curiosità e i rapporti umani sono essenziali al pieno sviluppo del processo creativo. La stretta collaborazione intersettoriale e la “diffusione delle capacità progettuali” hanno avuto un ruolo critico nell’urgenza di sviluppare e fornire nuove attrezzature sanitarie nei primi mesi della pandemia mondiale. Antonio Andreoni e Dan Hill si concentrano sui progetti per le attrezzature sanitarie sviluppane nei mesi dell’emergenza mondiale, affermando che considerarli come design strategico “permetterebbe l’emergere di prospettive più ampie” nell’innovazione medica, nonché per le strutture sanitarie più resilienti. L’ultimo articolo della sezione Arte riguarda il lavoro di Thomas Struth, le cui immagini quest’anno hanno accompagnato ogni mese la sezione Agenda.
Tra le Riflessioni, osserviamo da vicino un disegno tecnico della Chiesa della Luce di Tadao Ando, dove cercava di esprimere chiarezza e purezza. A Cuba, dove Rik Nys svela la complessità della conservazione de L’Avana Vecchia indirizzata a soddisfare le esigenze del turismo internazionale. Katharine Kilalea ci guida in Sudafrica in una replica in abbandono della Villa Savoye di Le Corbusier, evocando la magica sensazione di un nuovo luogo per un simbolo familiare. Fulvio Irace estrae dall’archivio il Teatro del Mondo di Aldo Rossi per riflettere sul concetto di scala. Giocando sulla miniaturizzazione e sull’ingrandimento dall’architettura all’oggetto e viceversa, l’opera di Rossi “mette in dubbio l’identità della grandezza”.
Nel Diario di questo mese, pagine dedicate all’attualità, Melissa Daniel ci parla dell’utopia nera di un Bauhaus afroamericano, come Black Wall Street a Tulsa, in Oklahoma, negli anni Venti del Novecento, e Seneca Village a New York, negli anni Venti dell’Ottocento. Angela Maderna descrive “House of Cards”, la nuova mostra del fotografo Thomas Demand a a Leuven, in Belgio. Nella sezione dedicate all’arte Valentina Petrucci dialoga con Massimo de Carlo, collezionista con quartier generale nella Casa Corbellini-Wassermann di Piero Portaluppi. Silvana Annichiarico continua con la selezione di tre talenti emergenti nel mondo del design. Il direttore editoriale Walter Mariotti conclude la sezione con la rubrica Pausa caffè, in una conversazione con Gianni Berengo Gardin, uno dei più importanti fotografi italiani.