La letteratura dice quel che deve dire con le parole, la musica con le armonie, il teatro con la messa in scena, il cinema con il montaggio e i videogiochi in terza persona con gli ambienti da esplorare. Da quando è possibile giocare in questa maniera (più o meno dai tempi di Super Mario 64) i videogiochi hanno sviluppato una serie di abilità che, accanto alle dinamiche proprio di gioco, quelle che ingaggiano il giocatore in una gara di abilità manuale e risoluzione di problemi, ce ne sono altre di racconto che hanno a che vedere con i posti in cui ci si trova. Non è accaduto da subito, ci sono voluti anni per sviluppare questa lingua che lascia ai luoghi parte del racconto, ma ora quasi tutti i giochi migliori che non sono open world (nei quali cioè ci si può sì muovere liberamente ma in ambienti circoscritti) utilizzano proprio l’architettura e l’arredamento per dire tutto ciò che non viene detto a parole dai personaggi.
The Last Of Us II, uscito da pochissimo per Playstation 4, è un’eccellenza del suo genere, un videogioco disegnato con una perizia mostruosa per raccontare con le sue 30 ore di gioco e trama, tra flashback e scambi di personaggi, qualcosa di estremamente complicato: come veniamo a patti con il senso delle vite che viviamo e come la brutalità umana sia un virus, una spirale che consuma le persone che ne sono contagiate.
Sono tutti concetti uscirebbero sminuiti da un dialogo, entrerebbero goffamente in un monologo e sarebbero sviliti se messi in bocca a dei personaggi, così vengono veicolati da altro. E in un videogioco in terza persona questo “altro”, per l’appunto, è l’architettura e il design degli ambienti.
Esistono alcuni passaggi di Last Of Us II pensati e disegnati appositamente per dire qualcosa solo con gli ambienti e altri in cui gli ambienti introducono il mood, altri ancora in cui l’organizzazione dello spazio spiega quel che non sappiamo ancora o quel che è necessario capire dell’antefatto della storia. Come nelle opere migliori, invece che essere imboccati da una spiegazione, siamo noi a trarre le nostre conclusioni da quel che percepiamo e del resto i videogiochi sono il mezzo migliore per fare tutto ciò tramite l’architettura, perché consentono la creazione di ambienti tridimensionali da vivere ed esperire come nel mondo reale.
Un’avvertenza: da qui in poi proviamo a fare qualche esempio e necessariamente ci addentriamo in un territorio di spoiler e dettagli che riguardano anche il finale del gioco. Vale per il testo come per le immagini. Scorri la gallery in alto per scoprire le sei ambientazioni: Jackson, museo, Seattle, Ocean World, California, casa.