Domus di maggio 2020 è incentrato in particolare su ciò che tutela la qualità della vita e sull’inaccettabile disuguaglianza delle condizioni di vita nel mondo. David Chipperfield nel suo editoriale si focalizza sul dramma dei senzatetto, problematica spinta ai margini durante la pandemia. Il guest editor afferma che “abbiamo reso normale un’emergenza in cui il temporaneo diventa permanente e il provvisorio definitivo”.
Nell’Agenda di questo mese Tomà Berlanda sostiene che gli architetti e i designer debbano prima di tutto chiarire il discorso sul termine ‘ricovero’ e la sua associazione a un prodotto di qualità inferiore. Richard Sennett ammonisce alla cautela sul controllo autoritario e l’isolamento sociale in cui potrebbero sfociare. Vittorio Magnago Lampugnani si chiede se sia il caso di abbandonare totalmente il progetto del Movimento moderno, che mal si adatta alle nuove necessità.
David Chipperfiled incontra nel suo studio Jo Noero, mentre Deborah Berke sceglie per Affinità tre progetti americani di riuso innovativo ma differenti per scala e funzione, che offrono una serie di risposte a strutture tradizionali.
Nella sezione Design e Arte, Jonathan Olivares analizza il design nato sulla base di collezioni soggettive, mentre Jasper Morrison e Francesca Picchi tracciano una genealogia della cassetta di legno. Esplorando l’interazione tra design e tecnologie robotiche, Graham Pullin ci accompagna nel terreno della protesistica. Infine Robin Monotti Graziadei mette in rilievo l’opera del regista giapponese Hirokazu Kore-eda.
Tra le Riflessioni, Balkrishna Doshi ritrae con disegni a carboncino il suo studio, ispirato al suo maestro Louis Kahn, rivelando la fluidità del suo modo di lavorare e il desiderio di creare “qualcosa di vivo”. Samira Shackle scrive da Karachi, dove metà della popolazione non dispone di acqua potabile, descrivendo un progetto-pilota in uno degli insediamenti spontanei. Peter Schneider riflette sulle grandiose piazze di Berlino che conferiscono “a una città la sua fisionomia” e ci danno il senso di essere saldamente collocati in un luogo. Fulvio Irace termina ricordando i progetti prefabbricati di Jean Prouvé, strutture domestiche di metallo che privilegiano “l’agilità della tecnica come strumento per soddisfarne la vocazione sociale”.
Nel Diario, dedicato all’attualità, Walter Mariotti parla della cultura del narcisismo e del dovere dell’estetica. Nelle pagine dedicate all’arte Valentina Petrucci dialoga con il collezionista d’arte Michele Marocchino, mentre Silvana Annicchiarico presenta, come ogni mese, tre giovani designer. Antonio Armano, per la rubrica Storie di aziende, narra la storia di Mario Pedrali, collezionista e innovatore. Conclude la sezione di questo mese un caffé virtuale tra Walter Mariotti e Clarice Pecori Giraldi, parlando delle future problematiche del mercato dell’arte.