Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1046, maggio 2020.
Quando abbiamo pianificato la scaletta degli argomenti che introducono ogni numero di questa annata di Domus, abbiamo selezionato soggetti adatti a focalizzare l’attenzione sui problemi esistenziali causati dal cambiamento climatico e dalla disuguaglianza sociale. Anche se oggi tali questioni sono comprese e accolte sempre meglio, dobbiamo riconoscere che, nonostante il profondo coinvolgimento delle nostre professioni in questi temi, c’è ancora da lottare per riorientare noi stessi in modo convincente.
Nella scaletta di questo mese, incentrata sul ricovero, cerchiamo di portare l’attenzione sul dramma dei senzatetto e sul modo in cui siamo arrivati a considerare normale una tragedia umana tramite una complessa serie di scuse. Come tanti altri eventi di questi ultimi mesi, la pandemia che ha messo sottosopra il nostro mondo ha spinto ai margini questi problemi, ma li ha anche messi a fuoco meglio.
La direttiva rigorosa, ma apparentemente innocua, di stare a casa, adottata da molti Paesi nelle ultime settimane e mesi, presume – come dovrebbe essere – che tutti ne abbiano una. Inoltre, suppone che questa casa dia garanzie di sicurezza, igiene e comodità. Eppure, quest’idea preconcetta si sgonfia di fronte alle statistiche: si stima che oltre il 20 per cento della popolazione mondiale totale non abbia alloggi adeguati. Queste cifre includono non solo gli esempi più evidenti di campi profughi, insediamenti precari e baraccopoli, ma anche la condizione di senzatetto e gli alloggi temporanei o transitori attualmente diffusi nelle città di tutto il cosiddetto mondo sviluppato.
Nella scaletta di questo mese, incentrata sul ricovero, cerchiamo di portare l’attenzione sul dramma dei senzatetto e sul modo in cui siamo arrivati a considerare normale una tragedia umana tramite una complessa serie di scuse
In California, lo Stato più agiato d’America, oltre 100.000 persone dormono per strada. New York e Los Angeles ospitano quasi un quarto della popolazione americana dei senzatetto. Nel Regno Unito, si stima che oltre 62.000 famiglie vivano in una forma di alloggio temporaneo, in cui molte di loro devono condividere cucine e bagni, dormendo spesso in un’unica stanza. Il carico sul sistema sta persino costringendo alcune autorità locali a fare ricorso alla cosiddetta exempt accommodation (alloggi gestiti da cooperative sociali che offrono anche assistenza).
Quando si parla di ricovero, si tende a considerare implicito che si tratti di una soluzione eccezionale e temporanea, ma quando le persone trascorrono 20 anni in un campo profughi in attesa di rimpatrio o vengono trasferite in un nuovo ostello ogni tre mesi è segno che dobbiamo riformulare i termini della questione.
Abbiamo reso normale un’emergenza in cui il temporaneo diventa permanente e il provvisorio definitivo. L’‘alloggio’ fa parte del diritto a “un livello di vita adeguato”, riconosciuto nell’articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Dovremmo però collegarlo più esplicitamente al diritto alla casa, a uno spazio che consenta protezione, privacy e dignità, e garantire che sia universalmente riconosciuto come un diritto umano e civile.
L’attuale pandemia ci ha ricordato il ruolo critico delle infrastrutture, non solo per la salute, ma anche per il benessere e la sicurezza. Tutti noi, anche i più privilegiati, siamo alla mercé del fato, esposti alla minaccia di un virus che non fa distinzioni, e condividiamo le stesse ansie
Chi tra noi ha dovuto affrontare il relativo disagio dell’isolamento in case confortevoli dovrebbe ricordarsi di chi non può fare affidamento nemmeno sulle condizioni abitative più elementari. Nessun esempio materiale di disuguaglianza è più esplicito di questo. Potremmo scegliere di credere che molte di queste situazioni sono ben al di là del nostro raggio d’azione, problemi che sono parte di ordini politici ed economici più ampi, un problema umanitario a cui non possiamo far fronte. Di certo, non possiamo affrontare da soli le forze geopolitiche che causano molte di queste condizioni. Tuttavia, se nel mondo ‘sviluppato’, dove le cause e le soluzioni alla sofferenza sono a portata di mano, non sappiamo dare l’esempio mostrando rispetto per la società nel suo insieme, come possiamo aspettarci che gli altri inizino ad affrontare gli aspetti più insormontabili di un problema globale?
L’attuale pandemia ci ha ricordato (casomai ce ne fosse stato bisogno) il ruolo critico delle infrastrutture, non solo per la salute, ma anche per il benessere e la sicurezza. Tutti noi, anche i più privilegiati, siamo alla mercé del fato, esposti alla minaccia di un virus che non fa distinzioni, e condividiamo le stesse ansie. Tuttavia, queste eccezionali settimane di disagio per la maggior parte di noi passeranno. Non possiamo, invece, nemmeno iniziare a capire le sofferenze e le infinite situazioni che un numero enorme di persone hanno sopportato per gran parte della loro vita e continueranno a sopportare dopo che questa pandemia si placherà. Cosa deve succedere ancora per farci affrontare in modo altrettanto deciso le problematiche legate all’alloggio, ai senzatetto e al diritto al ricovero? Quando diventerà visibile questa crisi nascosta? E quando la considereremo tutti come una nostra responsabilità?
Immagine di apertura: Thomas Struth, Cerro Morro Solar, Lima 2003. Stampa cromogenica, 180 x 282,2 cm