Milano.Italia è il terzo esperimento di racconto delle trasformazioni sociali, industriali e architettoniche che stanno configurando il volto contemporaneo del Paese, al di là degli stereotipi, opposti, ma complementari, del declino o della rinascita. Dedicato a Milano, questo numero vuole indagare la fisionomia del centro che più di tutti in Italia ha marcato il cambiamento negli ultimi decenni, trasformandosi da grande città a città europea d’attrazione internazionale. Tutti gli indicatori economici e statistici confermano la vitalità di Milano che, a partire dall’Expo del 2015, sta vivendo un boom simile per alcuni aspetti all’euforia suscitata dall’Esposizione del 1881 che, dopo l’Unità d’Italia, lanciò il mito della “capitale morale”.
Allora, il centro della città cambiò definitivamente il suo assetto, monumentalizzando il cuore attorno al Duomo con nuove strutture all’altezza dei tempi, nell’ambizione di scendere in gara nel grande concerto delle capitali europee. L’Esposizione fu, allora come oggi, la rivelazione di una fiducia nel progresso che la città non aveva mai pubblicamente ammesso di avere e che, invece, si rivelava nell’orgoglio della tecnica messa a disposizione del progresso, sontuosamente celebrato nel 1881 con il mitico Ballo Excelsior al Teatro alla Scala e, nel 2015, con i più discutibili eventi son et lumière nell’area Expo. L’analisi dei dati – convergenti, pur se provenienti da fonti diverse – ci parla di una città in crescita demografica e produttiva: di una città dove il diminuito peso delle fabbriche che ne costituivano la cintura di ferro è compensato dall’accresciuta incidenza di nuove forme produttive diffuse, sostenute dalla tradizione culturale del design in tutte le sue possibili estensioni e varianti, grazie anche all’ausilio delle tecnologie digitali.
Lo studio Global cities of the future, come anche la recente ricerca Domus-Ispi presentata al domusforum “The Future of Cities. Energy” lo scorso 10 ottobre, incoronano l’area metropolitana lombarda tra le più ricche del mondo e indicano Milano come la prima eccellenza produttiva del Paese e uno degli snodi principali dell’economia globale, quella che si regge sulle grandi città del mondo. Anche gli ultimi dati rilasciati da Assolombarda dicono che Milano negli ultimi cinque anni ha registrato quasi il 10 per cento del PIL, e che tra i nuovi fattori economici una voce rilevante è quella costituita dal turismo: 6,821 milioni di presenze nel 2018 sono un risultato davvero insolito per una città descritta da sempre come meta di affari e non d’intrattenimento.
Sono numeri da locomotiva d’Italia, come ai tempi d’oro del boom, quelli che lanciarono nel mondo l’immagine di Milano come città raffinata e produttiva, capitale della moda, dell’industria, del design e dell’architettura. Sono numeri che confermano la percezione diffusa di una città di successo, di una cool Milano, dove l’economia del danaro e della produzione si sposa con una generale rinascita dell’iniziativa privata nel settore commerciale e in quello delle start-up e nell’attrattività d’investimento immobiliare che, in pochi anni, ha radicalmente cambiato l’assetto urbano, creando inedite e inaspettate polarità, dal centro alla periferia.
L’aspetto più conosciuto di questa metamorfosi di Milano da città industriale a postindustriale è abitualmente legato alle sue nuove architetture, allo skyline delle torri a ridosso del centro alle edificazioni d’interi quartieri nella più estrema periferia, che hanno segnato una forte discontinuità con il paesaggio dell’ultima Milano moderna, quella tra il 1950 e il 1970
Non a caso, d’altra parte, Milano è sempre più richiesta come set per film e per spot pubblicitari: grazie al riposizionamento del brand innescato da Expo – per usare la terminologia del marketing immobiliare – e dagli interventi di rigenerazione urbana che hanno trasformato interi quartieri nel centro e nella periferia, i numeri (717 permessi per le riprese nel 2018) avanzano in proporzione stellare, contribuendo a rendere di moda edifici, antichi o modernissimi – dai Navigli a piazza Gae Aulenti, dalla Bicocca al Castello – che identificano sempre più Milano con la sua architettura. L’aspetto più conosciuto di questa metamorfosi di Milano da città industriale a postindustriale è abitualmente legato alle sue nuove architetture, allo skyline delle torri a ridosso del centro alle edificazioni d’interi quartieri nella più estrema periferia, che hanno segnato una forte discontinuità con il paesaggio dell’ultima Milano moderna, quella tra il 1950 e il 1970.
L’esplosione del genere letterario delle guide d’architettura, così come l’interesse delle riviste dei più diversi settori, ha ampiamente contribuito alla popolarizzazione dei landmark della terza Milano, per la maggior parte dovuti all’innesto di culture estranee alla tradizione urbana e che pure con questa, nei casi migliori, si sono confrontati in un positivo sforzo d’ibridazione d’interpretazioni. Il numero di Domus di dicembre vuole raccontare però anche un altro aspetto di questa trasformazione: un volto più domestico e in scala con il tessuto urbano, con le sue porosità e con certe sue peculiarità legate a storie minute, ma proprio per questo vissute. Nasce da uno sguardo, affidato all’occhio fotografico di Filippo Romano, che mostra come sia cambiato e stia cambiando il modo di ‘usare’ la città e attrezzarla in vista di una riconfigurazione che riguarda soprattutto i suoi luoghi collettivi: le strade, le piazze (esistenti e, soprattutto, future), l’occupazione degli spazi residui e dismessi.
È un ritratto collettivo e dal basso della città che vive nei comportamenti degli abitanti e dei visitatori, sempre più internazionale nella sua attenzione a prefigurare gli aspetti sociali della città del XXI secolo. È un ritratto, infine, in cui accanto all’euforia e al legittimo orgoglio dei risultati, compaiono le difficoltà di chi non riesce a stare al passo dei cambiamenti o di chi da tali cambiamenti si sente addirittura escluso. Nelle attività delle tante fondazioni, delle associazioni onlus e delle varie forme di volontariato che costituiscono un primato mai abbastanza declamato, Milano ha le risorse e la sensibilità per correggere il trionfalismo del marketing e indirizzare lo sviluppo verso una vera città sociale. Anche di questo ci parla il ritratto di Domus, dove i veri protagonisti sono le persone, con il loro entusiasmo e il loro lavoro.