È ora di pensare alla nostra eredità digitale

Cosa succede ai profili social quando qualcuno muore? Una questione di cui troppo spesso sottovalutiamo le conseguenze. Ecco come dovremmo gestire i nostri dati online per il post-mortem.

Sui social network c’è un cimitero di cui quasi nessuno parla. Considerando la storia ormai pluridecennale delle piattaforme su cui condividiamo buona parte della nostra vita personale e professionale, non stupisce che una quota crescente dei profili presenti sui social appartenga a persone defunte. 

Essendo uno dei più antichi, nato per la precisione nel febbraio 2004, non stupisce nemmeno che Facebook sia il social che più di ogni altro deve fare i conti con questo inevitabile fenomeno. Sarebbero già oggi centinaia di milioni di account appartenenti a persone defunte, che potrebbero arrivare a superare il numero di utenti vivi entro il 2070 – sempre che ci sia ancora Facebook – e raggiungere quota 4,9 miliardi di persone entro il 2100 (d’altra parte, quasi tutti i 2,9 miliardi di utenti attuali non saranno più sulla Terra entro la fine del secolo).

Per quanto possa sembrare un tema morboso, in realtà l’invecchiamento della generazione che per prima ha preso parte all’epoca dei social è un fenomeno pieno di conseguenze pratiche che, nella maggior parte dei casi, non siamo ancora attrezzati ad affrontare. Potrebbe per esempio esservi capitato di ricevere una notifica che vi ricorda del compleanno di una persona che non è più in vita, mentre alcuni hanno addirittura ricevuto messaggi inviati da amici deceduti (ovviamente si trattava di un furto d’identità).

D’altra parte, Facebook non viene automaticamente avvertito del decesso dei suoi utenti, con la conseguenza che questi account rimangono visibili e visitabili, oltre a comparire a tempo indeterminato in tutte le liste di amici e nei gruppi a cui erano iscritti. Per fare fronte a un problema sempre più urgente, negli ultimi anni sono comparse le prime soluzioni che consentono, a chi lo desidera, di non abbandonare l’account personale al proprio destino.

Sarebbero già oggi centinaia di milioni di account appartenenti a persone defunte, che potrebbero arrivare a superare il numero di utenti vivi entro il 2070.

La prima e più intuitiva soluzione è quella di affidare la password dell’account a una persona estremamente fidata, che seguirà poi le nostre indicazioni in caso di decesso (per esempio, eliminando il profilo). Con l’avvento dell’autenticazione a due fattori, questo semplice metodo rischia però di non essere quasi mai praticabile, oltre a violare in alcuni casi i termini e le condizioni delle piattaforme.

Gli account commemorativi di Facebook

E così, sono proprio i social ad aver iniziato a prendere in mano la situazione. Da questo punto di vista, Facebook è sicuramente la piattaforma che più si è impegnata a trovare soluzioni. Prima di tutto, Facebook prevede che, nel momento in cui gli viene notificato il decesso, il profilo dell’utente defunto verrà reso “commemorativo”, e l’espressione “in ricordo di” comparirà di fianco al nome della persona.

In linea di massima (possono esserci delle differenze in base alle impostazioni della privacy), le persone possono scrivere sui profili commemorativi e consultarne i post e le immagini presenti, ma questi non compariranno più (comprensibilmente) tra gli amici suggeriti o tra i compleanni. 

Courtesy Facebook

C’è anche la possibilità di nominare un contatto erede, che può scrivere un post fissato in alto (solitamente un post commemorativo), aggiornare l’immagine del profilo, rispondere alle richieste di amicizia (magari di un parente che prima non si aveva tra gli amici) e altre cose di questo tipo. Soprattutto, il contatto erede potrà decidere se vuole che il profilo in questione rimanga su Facebook o che invece venga cancellato del tutto (secondo un sondaggio, il 50% degli utenti vuole che il profilo Facebook venga cancellato dopo la propria morte, il 25% vuole che venga lasciato così com’è e un altro 25% vuole che venga invece trasformato in memoriale digitale).

Il valore di un profilo social

Non tutti i social network sono però attrezzati come Facebook. Per esempio, la decisione di Twitter (poi diventato X) di eliminare gli account inattivi da lungo tempo ha sollevato tantissime proteste, perché ciò ha impedito ad amici e follower di continuare a visitarli e di consultare i ricordi archiviati al loro interno. 

Potrebbe per esempio esservi capitato di ricevere una notifica che vi ricorda del compleanno di una persona che non è più in vita.

Non solo: dal momento che oggi la quasi totalità della nostra corrispondenza e dei nostri scambi avviene tramite strumenti digitali, cancellare senza troppo pensarci un account inattivo è l’equivalente digitale di buttare via uno scatolone pieno di foto conservato nel solaio di famiglia.  Peggio ancora: il rischio, in alcuni casi, è di cancellare l’equivalente odierno del carteggio tra Einstein e Freud sulla guerra o tra Goethe e Schiller (tutti scambi privati che non erano stati pensati per la pubblicazione). Chi può escludere che all’interno di un profilo Instagram ancora sconosciuto possa esserci un tesoro equivalente al baule di fotografie di Vivian Maier?

Il limite di questo parallelismo è che i messaggi, gli scritti e le foto di oggi non vengono più custoditi nel solaio della casa dei nonni, ma nei server situati all’interno dei colossali data center di proprietà dei vari Meta, Google, Amazon, ecc. Conservare i nostri dati, insomma, non solo occupa spazio, ma costa denaro. A meno che non ci sia un incentivo economico, è inevitabile che, prima o poi, una parte di questo materiale venga cancellato (decisione che, per esempio, è stata già presa da Flickr e non solo).

L'industria dell’aldilà digitale

E quindi, come si fa a salvare i nostri contenuti per la posterità? Prima di tutto, è già oggi possibile scaricare tutti i dati da Facebook e salvarli così per i nostri figli e nipoti (su un hard disk, possibilmente, visto che archiviarli sul cloud riproporrebbe gli stessi identici problemi). Per aiutare le persone ad affrontare le varie difficoltà che si possono incontrare lungo la strada, già da qualche tempo è inoltre nato un nuovo fiorente settore, ribattezzato “industria dell’aldilà digitale” (in inglese, digital afterlife). 

È un mercato nato da poco, su cui ci sono ancora pochi dati (alcuni stimano il giro d’affari attorno ai 350 milioni di dollari) e di cui fanno parte startup come la statunitense GoodTrust o la giapponese Hanamaru Syukatsu, che aiutano le persone a scegliere a chi affidare i loro account, a decidere in che modo trasformarli o cancellarli, dove archiviare il materiale presente e, soprattutto, come gestire le lungaggini burocratiche.

Conservare i nostri dati, insomma, non solo occupa spazio, ma costa denaro.

Come ha spiegato a Rest of World il fondatore di GoodTrust Rikard Steiber, la gestione dell’aldilà digitale “presenta una serie di sfide uniche che tendono inoltre a essere sempre diverse a seconda di dove una persona vive. Negli Stati Uniti, per esempio, quando una persona muore è necessario ottenere un’ordinanza del tribunale per accedere al suo account online. E questo vale per ogni singolo account: se vuoi ottenere i contenuti archiviati su molteplici fonti hai bisogno di molteplici ordinanze in diversi formati”.

Tra le 57 startup attive nel settore, ce ne sono anche alcune che non si occupano della gestione dei nostri social, ma della creazione di ricordi digitali interattivi. Per esempio, HereAfter invia periodicamente dei pensieri letti con la voce della persona defunta, mentre StoryFile permette di porre domande a un amico o parente deceduto, selezionando automaticamente la risposta più adatta tra quelle appositamente registrate quando era ancora in vita.

La più ambiziosa di queste realtà è però MyWishes, che permette di indicare gratuitamente, all’interno di un profilo personale, come si vuole che vengano gestiti i propri social, segnalare quali canzoni dovranno essere suonate al proprio funerale, elencare i traguardi raggiunti – o mancati – nella propria vita e soprattutto lasciare un messaggio finale per i propri cari. 

Quando MyWishes riceve l’informazione che uno dei suoi iscritti è defunto, tutti i desideri che abbiamo segnalato diventano consultabili da chiunque cerchi il nostro nome all’interno della piattaforma. Esatto: i profili non sono riservati ai contatti fidati, ma sono pubblici. Anche questo, d’altra parte, era inevitabile: siamo partiti raccontando di quanto siano numerosi gli account defunti su Facebook e abbiamo concluso descrivendo quella che sembra essere proprio una nuova frontiera social: i cimiteri digitali.

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