Le 5 serie tv che hanno fatto la storia di Netflix

Come si è affermata la piattaforma che ha iniziato l’era della tv in streaming, in ormai più di 10 anni di storia? A raccontarcelo c’è questa selezione di show fondamentali, veri fenomeni culturali.

Quando Netflix lanciò House of Cards, non stava semplicemente dando il via alla sua prima produzione interna, ma stava inaugurando un ambizioso tentativo di fare sempre più a meno degli altri. Fino a quel momento i film e le serie presenti sulla piattaforma provenivano da altri studi o case di produzione, gli stessi che ben presto avrebbero ritirato i propri contenuti per creare le loro piattaforme e caricarli lì. Netflix decise quindi di diventare non solo un distributore di contenuti, ma anche un produttore, realizzando le proprie opere, realizzandole come dicevano loro e realizzandole in modo che potessero attirare il tipo di spettatori di cui erano in cerca. Oggi però Netflix è completamente diversa. Nei dieci anni passati dal 2013 è cambiato tutto, perché sono cambiate le persone che la piattaforma vuole attirare e, di conseguenza, ciò che produce.

La storia di Netflix in cinque serie tv è quindi la storia di come questa piattaforma e i consumi mondiali siano mutati in dieci anni. È possibile leggere, attraverso le scelte di Netflix e il successo anche solo critico delle sue serie, un mutamento antropologico nella composizione del pubblico delle serie tv da piattaforma e quindi un mutamento in quello che guardiamo.

1. House of Cards (2013)

House of Cards. Courtesy Netflix

Da qui inizia tutto, e non solo per Netflix. La trama è ispirata a una miniserie britannica prodotta per la BBC con lo stesso titolo, ma Beau Willimon (lo showrunner) la rivoluziona completamente. Netflix non bada a spese e convince David Fincher e Kevin Spacey a partecipare al progetto. In quegli anni, era raro che grandi nomi del cinema si dedicassero alla serialità: Spacey e Fincher infransero una barriera, anche perché House of Cards non era solo una serie di alta qualità (ce n’erano già state diverse), ma non aveva nulla della tipica serialità; fin dall'inizio, voleva essere un film, con la stessa gravità, densità e presa invincibile. Ed è esattamente ciò che è stato: qualcosa che convincesse le persone a pagare un abbonamento. Con il senno di poi anche qualcosa di tristemente predittivo.

Quando, dopo diverse stagioni, il procedere della trama portò il terribile protagonista, Frank Underwood, alla presidenza degli Stati Uniti, si ebbe l'impressione che la serie fosse andata troppo in là con la fantasia: il personaggio era troppo spregevole e cinico. Quando poi, nella stagione successiva, si ipotizzò addirittura un tentativo di colpo di stato, sembrò davvero un’esagerazione impensabile per l’America.

2. The Crown (2016)

The Crown. Courtesy Netflix

L’impresa di The Crown è di quelle impossibili: condensare in sei stagioni il regno di Elisabetta II, non solo con l’obiettivo di spiegarlo e raccontarlo, ma anche con quello di chiarire al mondo il senso della monarchia, il perché i reali si comportino in un certo modo, come prendano le loro decisioni e che peso sia quello di un re o una regina oggi. Si può dire senza esagerare che solo Peter Morgan, già autore di The Queen e uno dei migliori sceneggiatori inglesi, avrebbe potuto scriverla.

Questa non è, né nasceva per essere, una serie destinata a tutti, ma, come già facevano i canali via cavo, nei suoi primi anni Netflix affiancava a prodotti popolari anche produzioni di livello qualitativo elevatissimo, in grado di far parlare e discutere di sé. Ogni stagione di The Crown era un evento, anche se vista da pochi, era una presenza fissa alle premiazioni e funzionava come una vetrina scintillante. A quel punto, nel 2016, Netflix era il luogo della qualità, dove si potevano raccontare i reali senza sconti (il principe Henry anni dopo disse che non tutto era corretto ma che in linea di massima dava un’idea giusta di come sia vivere dentro la monarchia inglese).

Con le ultime stagioni, e quindi avvicinandosi ai giorni nostri, la serie è cambiata, diventando sempre più favorevole alla monarchia, indulgente verso le parti più discutibili della vita dell’attuale re. Questa evoluzione è il riflesso di una degenerazione più generale delle ambizioni artistiche della piattaforma che la produce.

3. La casa di carta (2017)

La casa di carta. Courtesy Netflix

A differenza di tutti i suoi concorrenti, Netflix produce grandi successi anche al di fuori degli Stati Uniti. Sia Prime Video che Disney+, che gli altri hanno iniziato da anni a produrre localmente nei vari territori in cui sono presenti, nessuno tuttavia lo ha fatto con la costanza, l’impegno e i risultati di Netflix. La casa di carta è il culmine di una tendenza che a un certo punto si è manifestata con potenza. La serie spagnola di Álex Pina, andata in onda su Antena 3 originariamente e poi acquistata e ritrasmessa nel mondo da Netflix, è un successo immenso che ha generato diverse stagioni, spin-off, prequel e una serie di altri prodotti derivati. La maschera di Dalí usata dai protagonisti è diventata uno dei simboli di Netflix stesso.

All’interno della trama de La casa di carta c’è molto di ciò che le serie erano diventate a quel punto: spunti fenomenali ed esiti discutibili. Un gruppo di rapinatori si chiude nella Zecca di Stato per stampare denaro con gli ostaggi, la serie segue tutto il colpo e i numerosi tentativi di uscire da lì. Al contrario delle grandi serie degli anni precedenti, fatte per avere 20 episodi a stagione e durare molte stagioni, La casa di carta non ha il fiato per andare avanti a lungo. Nel 2017 la serialità si era ormai definitivamente contratta: le stagioni come oggi avevano circa 10 episodi e non c’era alcuna intenzione di prolungarle troppo. Per Netflix è sempre più importante la novità.

4. Bridgerton (2020)

Bridgerton. Courtesy Netflix

Quando Shonda Rhimes firmò un accordo di esclusiva con Netflix, la cifra fece il giro del mondo. La sceneggiatrice e showrunner che aveva creato Grey’s Anatomy chiuse l’accordo a 100 milioni di dollari. La sua prima creazione fu subito un successo: Bridgerton è la revisione della letteratura femminile tradizionale per un nuovo pubblico femminile. Tutto ciò che di romantico associamo ai corteggiamenti ottocenteschi e tutto ciò che di spietato associamo agli intrighi di palazzo di quell’epoca, viene spogliato della sua componente elitaria bianca.

Bridgerton accetta la natura fittizia del racconto e inventa un Ottocento multiculturale, con persone di tutte le etnie e tipologie. Non solo amplia lo spettro di chi viene raccontato e rappresentato, ma rivede un tipo di racconto tradizionale per un pubblico nuovo, senza sottrargli ciò che lo ha sempre reso intrigante, semplicemente rinnovandone l’aspetto, è Jane Austen ma per un pubblico di idee progressiste che non vuole impegnarsi troppo. Da questo successo, Netflix apprende che le nuove tendenze in termini di rappresentazione delle minoranze sono una miniera d’oro e non se ne separa più. Le sue produzioni quindi diventano sempre più improntate alla rappresentazione, mirate a un pubblico stanco del mondo monocromatico delle serie delle tv generaliste.

5. Squid Game (2021)

Squid Game. Courtesy Netflix

Il periodo dei numerosi lockdown in tutto il mondo è stato quello in cui Netflix ha aggiunto abbonati con più velocità di sempre. Quando tutti devono stare chiusi in casa, un abbonamento a Netflix diventa quasi una necessità. In quel momento arrivò una delle molte serie prodotte nella Corea del Sud (che per il bacino asiatico è una fucina di successi consumati anche negli altri paesi dell’area), su cui si puntava così poco che in molti paesi, come il nostro, non esisteva ancora una versione doppiata. Oggi è la serie più vista di sempre, più di qualsiasi produzione americana, e la maggior parte delle persone l'ha guardata con i sottotitoli.

Ma gli utenti di Netflix ci sono abituati: già Narcos, serie per metà in inglese e per metà in spagnolo, aveva dimostrato quanto gli americani, storicamente refrattari a qualsiasi lingua diversa dalla loro, fossero disposti a guardare contenuti con i sottotitoli. Squid Game lo ha confermato. È una serie con una premessa eccezionale e coinvolgente, e non necessariamente pensata per proseguire per molte stagioni (ma, dopo il successo ottenuto, è stata chiaramente messa in produzione una seconda). Soprattutto Squid Game è una serie popolare, poco sofisticata, priva di ambizioni e molto orientata su dinamiche e personaggi tipici della narrativa mainstream. Questa come altre serie di quel momento (per esempio Stranger Things, altro grandissimo successo), era pensata per puntare ad ampliare il bacino di abbonati andando al di là delle tipologie umane cercate fino a quel mondo.

Proprio durante la pandemia infatti Netflix raggiunse (secondo la stessa società) il tetto di un certo tipo di pubblico sofisticato e interessato a prodotti particolari. Su quel segmento non poteva più aggiungere numeri significativi di abbonati, e quindi decise di puntare sugli altri, quelli più popolari, ancora affezionati alla televisione tradizionale, proponendo loro qualcosa che non fosse troppo diverso dalla tv tradizionale, solo leggermente nuovo. Squid Game non era pensato per questo, era pensato come molte produzioni locali per avere successo nel suo paese, ma il suo successo confermò che la direzione era quella giusta.

Immagine di apertura: Courtesy Netflix

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