Bar, case, container: come Foglie al vento crea un mondo alternativo

Prima ancora di fare film Aki Kaurismäki immagina e progetta mondi che non esistono a partire dagli spazi. Foglie al vento è solo l’ultimo esempio e giustamente ha vinto il premio della Giuria a Cannes.

In Foglie al vento, l’ultimo film del grande regista finlandese Aki Kaurismäki, ci sono un uomo e una donna interessati l’uno all’altra e un destino che sembra fare di tutto per tenerli lontani facendo accadere piccoli o grandi eventi. Sono intrecci che gli fanno sbagliare appuntamento o che li costringono a desiderare davvero di vedersi un’altra volta. Storia ordinaria resa straordinaria dai posti in cui si svolge, dalle cucine, dai salotti, dai container in cui vivono e si muovono queste persone. Classe popolare, come sempre per i film di Kaurismäki, derelitti che sembrano non avere niente nella vita, eppure Foglie al vento non è un dramma ma una commedia a tratti esilarante, permeata di un umorismo che non ha niente a che fare con le solite maniere in cui i film ci fanno ridere.

Il mondo di questo regista finlandese somiglia molto alla Finlandia ma è anche chiaro che non lo è. I suoi film sono ambientati lì, in quelle strade e in quelle città, ma tutto sembra avvenire in un punto imprecisato del tempo. I protagonisti vivono come negli anni ‘50, non hanno televisione e ascoltano la radio (da cui però escono notizie di attualità geopolitica che ci fanno capire che siamo nel presente), hanno abitudini da anni ‘50 (ma vanno a vedere film contemporanei), vivono e si comportano in tutto e per tutto come vivessero del passato, eppure non è così. Forse, semplicemente, sono loro a essere dei residuati di un’altra epoca.

La miglior descrizione possibile di questi personaggi che animano Foglie al vento è quella che il film stesso offre quando mostra come la protagonista (Ansa) si prepari ad ospitare il protagonista (Holappa) a cena a casa sua: andando al supermercato a comprare un piatto, un bicchiere e una forchetta. Una mestizia fuori dal comune dentro la quale si agita un umorismo nero e poi, a sorpresa, un grandissimo sentimentalismo che non sembrerebbe possibile con tutto questo pessimismo. A tenere unite spinte apparentemente così diverse e rendere credibile quello che altrimenti sarebbe un pasticcio di elementi differenti, sono proprio i posti che annunciano quello che accadrà, preparano lo spettatore e creano un universo visivo perfettamente adeguato a questo mélange.

È l’ennesima contraddizione: fare un film in cui tutti fingono di non avere sentimenti eppure sono immersi in un mondo pieno di colori.

Sceneggiature e performance come quelle di Foglie al vento non sarebbe mai credibili se inserite nel mondo reale, in una versione fedele della Finlandia o di qualsiasi altro posto, non si creerebbe quella strana forma di immersione in un’altra realtà della quale dover accettare le regole di comportamento. Infatti come vediamo le stranezze delle abitazioni, la peculiarità dell’arredamento e la retrodatazione della tecnologia domestica, entriamo in un tono che consente al film di spaziare. Per dirlo con altre parole: all’interno di quelle stanze, in quelle architetture e con quegli arredamenti di sfondo, quei personaggi e quelle trame sono perfettamente plausibili.
 


Ancora di più c’è una caratteristica che tutto l’impianto visivo ed estetico del film annuncia senza che ce ne accorgiamo, una che è come se venisse comunicata al nostro subconscio prima che il film ce la dica davvero, e cioè che questo è un mondo popolare di personaggi marginali che sembrano ridotti ai minimi termini ma è pieno di passione. Non lo diremmo perché tutti recitano come se la vita fosse stata succhiata via dai loro corpi, si sforzano di trovare l’assenza in ogni battuta, sembra quasi che l’intento dei personaggi sia non far trasparire la minima emotività. Eppure poi questa c’è.

Ce ne accorgiamo lungo tutto Foglie al vento ma ad averlo annunciato sono queste case spoglie, questi ambienti in cui esiste solo l’essenziale e nei quali se qualcuno si è sforzato di inserire un vaso di fiori questo contiene un solo fiore. Queste case, anche quando si tratta di un container, hanno tuttavia pareti colorate, mobili con un design, e anche gli oggetti vintage (come le radio) non sono dei baracchini ma hanno un loro gusto specifico. È un mondo minimalista e non povero. È un mondo ai minimi termini ma non è privo di tocco umano. Anzi. I colori sono molto saturi, a tinte forti, anche quelli degli abiti dei personaggi.

Per Kaurismäki sono sempre i posti che annunciano quello che può accadere, posti inesistenti, filmici perché inventati e disegnati da zero.
Fotografia del regista finlandese Aki Kaurismäki, in piedi davanti alla locandina del film Calamari Union. Foto Kai Honkanen

È l’ennesima contraddizione: fare un film in cui tutti fingono di non avere sentimenti eppure sono immersi in un mondo pieno di colori. Tutta la filmografia di Kaurismäki funziona in questa maniera, oscillando tra mestizia e passionalità. Lui stesso si presenta sempre dimesso, sigaretta in bocca, bicchiere di birra o di vino bianco, depresso e non fa che parlare di come tutto sia orribile. Poi però è anche il creatore e l’animatore del festival del Midnight Sun Film Festival, un festival mezzanotte perché si svolge in quel momento dell’anno in cui in Finlandia (e in particolare nella località di Sodankylä) c’è il sole anche a quell’ora. Uno dei festival più divertenti che ci siano, pieno di musica e film.

In più di 40 anni di film Kaurismäki ha inventato e creato storie in cui c’è sempre un amore che vince su tutto, che salva tutti, che squarcia momenti eccezionali all’interno di vite altrimenti grigie. In uno dei suoi film più divertenti, Ho affittato un killer (del 1991), un uomo è così disperato da volersi suicidare, solo che non ne è capace, decide così di pagare un sicario perché lo uccida. Solo che poi si innamora perdutamente, va per disdire il contratto ma il locale malfamato nel quale ha incontrato i malavitosi è crollato, tutto il palazzo è un cumulo di macerie, e quindi non ha altra opzione se non cercare di sopravvivere al suo stesso attentatore. Per amore. Ho affittato un killer è esilarante e in modi non diversi da Foglie al vento mostra proprio attraverso gli ambienti come la vita delle persone, nelle maniere più aspettate, possa tingersi di sentimenti. Basta bussare alla porta di una padrona di casa per entrare in un altro film quasi, con altre musiche, altri colori, altra vita e quindi altre possibilità per un domani migliore.

Per Kaurismäki sono sempre i posti che annunciano quello che può accadere, posti come detto inesistenti, filmici perché inventati e disegnati da zero. Così coerenti in tutta la sua filmografia da aver creato una realtà parallela, non diversa da quella tutta coordinata dei film di Wes Anderson o da quella fantasmatica e grottesca di Roy Andersson. Un mondo finto che è tracimato nella realtà quando diversi anni fa Aki Kaurismäki (insieme al fratello Mika e altri soci) ha creato un locale come quelli dei suoi film, con quell’arredamento, quelle luci, quei colori e quell’idea retrodatata di aggregazione sociale. Ovviamente a Helsinki, si chiamava Moskva ed era parte di un complesso che comprendeva un cinema (chiamato Andorra) e un altro bar (il Corona), chiuso nel 2019 dal proprietario dello stabile, ma fino a quel momento è stato una versione reale di quel mondo immaginario, partorito da un regista-arredatore.

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