Le scioccanti immagini della folla che invade gli edifici monumentali di Brasilia con la maglietta verde e oro della nazionale carioca diventata simbolo dei bolsonaristi, sollevano più di un interrogativo. L’analogia con i fatti del gennaio di 2021 di Washington è lampante, sebbene con qualche differenza.
A Brasilia la furia delle rivolte ha devastato i tesori del Modernismo
Sono tante le opere su cui i “vandali” verdeoro hanno sfogato la loro rabbia, danneggiandole anche in maniera seria. Con implicazioni simboliche che probabilmente neanche immaginavano.
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- Manuel Orazi
- 13 gennaio 2023
Nel Campidoglio la folla con il cappellino rosso trumpiano voleva fisicamente fermare la ratifica del voto, limitandosi a pochi danni a finestre e arredamento. A Brasilia il Parlamento, la Corte Suprema e il Palazzo Presidenziale erano deserti e pieni di arredi e opere d’arte moderniste per cui i “vandali”, come li ha definiti il presidente Lula, hanno sfogato la loro rabbia contro il quadro di Emiliano Di Cavalcanti, As mulatas, (1962) perforandolo in più punti, contro la poltrona della presidente Rosa Weber disegnata dal designer di origini polacche Jorge Zalszupin, contro i pannelli decorativi in vetro Araguaia (1977) dell’artista franco-brasiliana Marianne Peretti, rubando la statua Bailarina (1920) dello scultore di origini italiane Victor Brecheret, sfregiando i busti degli abolizionisti della schiavitù Ruy Barbosa e Joaquim Nabuco infine imbrattando la statua della giustizia di Alfredo Ceschiatti nella piazza dei Tre poteri.
Le distruzioni sono insomma molto ingenti e l’Unesco, che ha un ufficio qui dopo che la città è stata iscritta nel patrimonio mondiale dell’umanità nel 1987, si è offerta spontaneamente di quantificare tutti i danni. Pensavamo che la furia iconoclasta appartenesse all’Isis in Siria e Iraq, ai talebani afghani o alla rivoluzione culturale maoista del 1966 che pretendeva l’annullamento dei “vecchi costumi” religiosi, culturali e ideali arrivando al punto di profanare la tomba di Confucio oltre che i resti della dinastia Ming.
I nazisti invece, furbescamente, non distrussero le opere dell’Entartete Kunst, l’arte degenerata “giudeo-bolscevica” o astrattista, rivendendole piuttosto per finanziare la loro guerra mentre i sovietici allestirono con i migliori quadri francesi confiscati alle collezioni Schukin e Morozov un museo dell’arte occidentale. Bisogna risalire insomma ai giacobini e, a ritroso, alle riforme calviniste e puritane nel Nord Europa, al sacco di Roma dei Lanzichenecchi nel 1527 e all’iconoclastia bizantina dell’VIII secolo per vedere opere d’arte e monumenti sfregati o eliminati. I depositi del Louvre sono poi pieni di statue mutilate o decapitate a causa del “vandalismo rivoluzionario” come lo ha definito Luciano Canfora. Più recenti sono le petizioni per rimuovere in Belgio le statue di Leopoldo II o la furia di Black Lives Matter contro le statue giudicate vestigia del colonialismo in tutto il mondo.
Pochi giorni or sono a Odessa è stata rimossa, in seguito a un referendum, la statua della zarina Caterina II, deposta dopo la rivoluzione del 1917 e tornata al suo posto solo nel 2007. Le statue, pare, sono fatte per essere abbattute. Ciò che non è accettabile è invece la barbarica distruzione di opere d’arte vere e proprie: il passato non si cancella sebbene Stalin ci abbia provato in ogni modo con la damnatio memoriae di Trotskij o Bucharin.
I 130 isolati di Brasilia sono diventati un rinfrescante collage di socialismo duro degli anni ’60 e di comfort zone neoliberali. Un amalgama unico di elementi apparentemente incompatibili.
Rem Koolhaas, Brasilia (2011)
La capitale costruita in meno di quattro anni su progetto di Lucio Costa e Oscar Niemeyer – comunista dichiarato - , è il frutto di un’impostazione socialdemocratica “ordem e progresso” + superquadras così come le new town inglesi, ma “Brasilia è anche una città carica di significati ambigui – avverte Martino Tattara, architetto e professore all’Università di Lovanio.
“La dittatura militare (1964-1985, NdR) non esitò ad appropriarsene anche simbolicamente e molti sociologi e antropologi di sinistra l’hanno criticata per gli esiti del suo sviluppo”. È stata dopo la morte di Niemeyer nel 2012 che la città è stata invece rivalutata ampiamente e storicizzata, trasformandosi nel simbolo contro cui si è abbattuta la furia dei manifestanti pro-Bolsonaro.
Immagine in apertura: Palazzo dei Congressi, Brasilia, Brasile. Foto Marcelo Camargo/Agência Brasil