“Quando questa crisi passerà, il bisogno di vivere e di amare e di ridere e piangere insieme sarà più potente che mai. Abbiamo bisogno di ciò che possono offrirci i film […] e le sale cinematografiche, la cui attrazione è interamente costruita sul più grande istinto dell'umanità – lo stesso che ora ci si è rivoltato contro e che rende questa situazione così maledettamente difficile: il desiderio di stare insieme.”
Christopher Nolan, The Washington Post, 21 marzo 2020
Ci sarà ancora il cinema dopo tutto questo?
È indubbio che l’industria cinematografica andrà avanti. Sul cinema inteso come luogo e come spazio possiamo invece avere qualche dubbio in più.
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- Elena Martucci
- 04 giugno 2020
Christopher Nolan, uno dei registi più importanti e con i più alti incassi al botteghino di sempre, scrive sul Washington Post un’appassionata difesa del cinema e dei suoi luoghi deputati, i più accessibili e democratici ritrovi della comunità duramente colpiti dal coronavirus, facendo appello al governo, agli studios e a un impegno umano collettivo per tutelare quella parte imprescindibile della vita sociale americana.
La chiusura delle sale cinematografiche, come quelle dei teatri, dei musei e delle gallerie, non interessa solo i lavoratori del settore ma ci riguarda tutti in quanto esseri umani. Abbiamo bisogno di vivere storie che muovono le nostre emozioni, ridefiniscono la cartografia dei desideri e ci permettono una trasformazione e abbiamo bisogno di viverle insieme perché il corpo è campo di forze e di sensazioni che si trasmettono amplificate dalla vicinanza e dal contatto. Forse a breve riusciremo a toccarci senza toccarci come i due giocatori di videogame nell’episodio Viper di Black Mirror o a separare l’anima dal corpo per metterla dentro un dispositivo che la farà vivere per sempre a San Junipero, il paradiso virtuale che dà il titolo a uno dei più celebri episodi della serie Netflix. Nel frattempo il cinema si fa da sempre al cinema, perché non si tratta solo di vedere un film ma di compiere un rituale di condivisione del grande schermo. L’attrazione potrebbero sembrare le star, l’audio surround o le bibite e i popcorn ma siamo lì gli uni per gli altri. Le altre forme di fruizione delle immagini in movimento, che siano tv, pay tv, piattaforme streaming (come Netflix appunto) o videogiochi, offrono esperienze diverse da quella cinematografica e probabilmente il coronavirus ne sta accelerando la possibilità di convivenza e le opportunità di interazione.
In questo tempo di forzata clausura, anche i cinefili più ortodossi si sono arresi alle piattaforme digitali e attraverso la rete alcune sale si sono trasferite nel salotto degli affezionati per garantire continuità e vicinanza anche a distanza. Considerando la situazione italiana, per esempio, le iniziative sono state spontanee e solo due realtà virtuali appena nate, orientate alla qualità, hanno aggregato circa 200 dei 1218 cinema attivi secondo i dati Cinetel.
Dal 18 maggio è online MioCinema: la prima piattaforma nazionale del cinema d’autore dove ogni quindici giorni si potrà accedere a un film mai uscito in sala, attraverso una sala. Al momento dell’iscrizione gratuita, viene richiesto il codice di avviamento postale e si potrà selezionare un cinema nell’arco di 40km. Al cinema scelto andrà il 40% dei 7 euro della prima visione e una percentuale variabile degli altri contenuti il cui prezzo scende a 3,90-2,90 euro. Più di un centinaio di sale, rigorosamente di qualità, e un buon numero di distribuzioni indipendenti hanno aderito al progetto che ha come partner Lucky Red, Circuito Cinema e Mymovies. In uscita il pluripremiato film sulle periferie I miserabili di Ladj Ly, Dopo il matrimonio con Michelle Williams e Julianne Moore, Il meglio deve ancora venire di Alexandre de La Patellière e il nuovo film di Xavier Dolan Matthias & Maxime. Quando i cinema riapriranno la piattaforma farà da complemento all’esperienza della sala, dove le prime visioni torneranno in esclusiva per la durata della finestra di protezione, ovvero il periodo di tempo prima che un titolo possa passare all’home entertainment, che oggi è di 105 giorni. Dal 26 maggio, con #IoRestoInSala, si potrà accedere online alla programmazione dei 71 cinema coinvolti tra cui l’Anteo di Milano: non una piattaforma on demand ma sale virtuali con orari fissi di programmazione, prenotazione dei posti e possibilità di chattare con il vicino. L’accesso avverrà attraverso i siti dei singoli cinema, che divideranno il prezzo del biglietto con le distribuzioni e la piattaforma ospite, sempre Mymovies: 7,90 euro per le prime visioni, indipendentemente dalla loro contemporanea con altre piattaforme, e fino a 3 euro per gli altri contenuti. Annunciati quattro film che sarebbero dovuti uscire in sala: l’Orso d’Argento Favolacce dei fratelli D’innocenzo, Tornare di Cristina Comencini, Georgetown di Christoph Waltz e In viaggio verso un sogno di Tyler Nilson. Anche a cinema aperti la programmazione virtuale permetterà una maggior offerta al pubblico.
È un peccato che in Italia, che segue la Polonia sotto il 4% del mercato mondiale, le sale non si siano costituite patrimonio nazionale convergendo in un’unica piattaforma. Non significava scendere in una sola scialuppa di salvataggio ma cogliere l’occasione di unire le singole voci. Si sarebbe potuto pensare a una piattaforma comune che accompagnasse alla riapertura dei cinema, dei teatri, dei musei delle gallerie: un tavolo virtuale dove il pubblico potesse accedere a comunicazioni e promozioni, anche incrociate, degli avamposti culturali del suo territorio. Avrebbero dialogato facce diverse della cultura che solitamente non si parlano e l’incontro tra attori e pubblico avrebbe potuto generare qualcosa di nuovo, per esempio la sperimentazione della videoarte nei cinema riaperti o altri tipi di permeabilità di contenuti e forme dell’abitare. L’interazione, allenata virtualmente, avrebbe potuto aprire le porte dei luoghi fisici con aria nuova.
L’esercizio potrà riaprire dal 15 giugno, nel momento in cui la stagione cinematografica incontra le vacanze degli italiani e senza i titoli che l’anno scorso erano stati promossi dall’iniziativa Moviement per il salvataggio estivo. Le major americane hanno spostato l’uscita di film importanti come il nuovo 007 No Time To Die a novembre lanciando altri titoli come Trolls World Tour direttamente in streaming, con numeri abbastanza eclatanti. Il nuovo film di Christopher Nolan dopo Dunkirk, Tenet, uscirà invece al cinema. Se la data rimarrà il 17 luglio, potrebbe trattarsi del primo vero film del mercato mondiale post coronavirus. Data ed esito al boxoffice saranno indicativi almeno dell’immediato futuro. Il trailer è stato presentato come evento all’interno del videogioco Fortnite, ma per l’uscita si attende la riapertura dei cinema. Non si tratta solo di una questione personale del regista: anche se saccheggiate dalla pirateria e dall’home entertainment le sale costituiscono ancora una buona metà dell’incasso totale dell’industria cinema, percentuale che aumenta nel caso dei film di qualità.
Per riaprire a giugno, i cinema dovranno comunque affrontare la mancanza di prodotto oltre ai costosi protocolli di sicurezza in discussione in questi giorni. Si parte dall’obbligo di adeguare gli impianti di condizionamento a un totale riciclo esterno dell’aria e di una diminuzione dei posti a sedere dal 50% al 75%. Naturalmente non è detto che quello spazio geometricamente ridotto si riempia, finché ci sarà la paura del contagio. Riaprirà dunque chi potrà mantenere, in perdita, una struttura che tra l’altro è poco adattabile a nuovi usi. Oltre agli spazi temporanei come le arene e i drive-in, si potrebbe immaginare un’architettura flessibile per nuove costruzioni ma la sopravvivenza degli spazi esistenti presenta notevoli problemi. Oltre alla rigidità della disposizione schermo–platea, la questione è sostanziale: il cinema non può dividere, è un’esperienza del corpo. Come per altre forme d’arte e spettacoli dal vivo, si fonda sulla partecipazione e sulla vicinanza delle persone. Difficile immaginare le sale dotate di dispositivi di distanziamento fisico che siano sterilizzabili, non nascondano lo schermo e tolgano meno posti possibile: caschi, bocce dove inserire la testa come in acquario, cilindri di protezione che ci farebbero assomigliare ai Minions o tute integrali usa e getta. In attesa di sostanze spalmabili autoigienizzanti, apparati respiratori esterni e altre protesi a cui artisti e designer avevano pensato ben prima di questa emergenza sanitaria, forse ciascuno dovrà creare un’architettura di se stesso, un rifugio e una protezione del corpo che però non lo isoli dagli altri. Anziché aspettare solo il progetto dello spazio attorno a sé, potremmo ripensare il nostro spazio affettivo, lo spazio che siamo, per far sì che la distanza fisica non diventi definitiva distanza sociale.
Immagine di apertura: Martin Scorsese, Taxi Driver, 1976