È sempre più complicato fare Architettura degli Interni, complicato per molti capirla, interpretarla, intenderla (per lo più “non addetti ai lavori”, ma non mancano colleghi). Complicato avere libertà di realizzarla. E non è una questione economica: fare architettura in generale e, in questo caso, fare architettura degli interni, studiare situazioni abitative ad hoc non vuol dire arricchire con materiali e con inutili orpelli l’unità abitativa. Tutt’altro. Il più delle volte la difficoltà parte con il disegnare una semplice linea: perchè il vero scoglio è la realizzazione di cose semplici ma con un loro perchè e una loro poetica. È banale stupire con ori, tessuti damascati e materiali di gran pregio, tutt’altro che facile è progettare con “poco” o meglio “con pochi soldi” ma con il valore aggiunto delle idee, del pensiero, del progetto. Il valore dell’architettura degli interni, contrariamente a ciò che comunemente si pensa, è immenso; ecco a tal proposito un esempio calzante: una società è tale perchè costituita da più nuclei familiari; una società “malsana” è la conseguenza di singoli nuclei che lo sono altrettanto. Ne consegue, in modo elementare (e direi anche scontato), che tutto nasce dalla singola unità. Trasliamo questo concetto nell’Architettura: una città è costituita da singole unità residenziali; ogni singola unità ha il potere di creare “qualità urbana nonchè abitativa”, accade anche il contrario. È qui, nel singolo nucleo che opera l’Architettura degli interni (che è tutt’altra cosa “dell’arredamento”, specifica sempre per i soliti “non addetti ai lavori”, gli stessi di cui sopra). Una qualità che nasce a piccola scala per poi essere riletta e riconosciuta a scala maggiore. A tal proposito pubblico un testo che mi ha sempre emozionato ogni volta nel leggerlo: trattasi di un testo sull’architettura degli interni vista da un progettista, nonchè critico Marco Romanelli: “Raccontare l’architettura degli interni - da progettista, non da critico - è qualcosa di molto difficile. Di molto intimo. L’architettura degli interni ti rimane appiccicata alla pelle, ti entra nelle ossa. È una parte di te che doni agli altri, prendendo in cambio molte e molte loro parti: brani di vita, storie vissute. Ma, prima delle storie raccontate degli abitanti, vengono le storie raccontate dalle case. Le case parlano. Il loro silenzio parla. È il silenzio abitato delle case. Un vocìo sommesso, un brusìo di muri e porte e cornici e piastrelle che si mescola al vocìo più forte e vero degli abitanti di case. La voce dell’architettura degli interni è una voce sottile, ma persistente. Va e viene, dopo lunghi anni a volte torna portandoti indietro brandelli di messaggi che pensavi dimenticati. È per questo che fare architettura degli interni è un mestiere difficile. Bisogna saper ascoltare, le case prima, le persone poi. Bisogna avere orecchie umili per intendere la voce della gente che nell’interno canta. Bisogna avere orecchie acute per intendere la voce dell’architettura che nell’interno canta. Non ti stupire tu che, coscientemente, stai per affrontare il progetto, aguzza le orecchie e aspetta, la voce arriverà. Persino oggi che altre voci dell’architettura sono mute ormai: la voce delle piazze, la voce dei cortili, la voce delle strade. La voce degli interni no, la voce degli interni parla ancora. Aguzza le orecchie e aspetta, la voce arriverà”.