Il legame turbolento tra il razionalismo italiano e il regime fascista si sviluppa per meno di un decennio, prima dell’allontanamento definitivo. La questione fondamentale, che troverà infine una risposta negativa, è se e come l’architettura razionalista può essere la rappresentazione tridimensionale degli ideali della dittatura, in cerca d’identità e di monumenti.
Prima ancora che di singoli progettisti e di edifici costruiti, la storia del razionalismo italiano è fatta di raggruppamenti, di movimenti, di esposizioni e di riviste. La creazione del Gruppo 7, nel 1926, segna l’avvio di questa breve stagione. Ne fanno parte Luigi Figini (1903-1984), Guido Frette (1901-1984), Sebastiano Larco, Gino Pollini (1903-1991), Carlo Enrico Rava (1903-1985), Giuseppe Terragni (1904-1943) e Ubaldo Castagnoli, che lascia subito il posto ad Adalberto Libera (1903-1963).
Gli scritti del Gruppo 7 mettono in campo alcuni dei temi fondamentali che accomunano la riflessione teorica e l’opera costruita di tutti gli esponenti del razionalismo italiano: la tensione verso un’architettura “nuova”, che prenda atto dell’esistenza di nuove tecnologie, come il cemento armato, e che partecipi alla costruzione di una nuova società; le influenze del modernismo europeo, e in particolare di Le Corbusier, ma anche di Ludwig Mies van der Rohe e Walter Gropius; la volontà, al tempo stesso, di mettere in discussione il valore assoluto di questi modelli, e l’interesse a declinarli in chiave locale e nazionale.
Nel 1928, il Gruppo 7 si dissolve nel MIAR (Movimento italiano per l’architettura razionale), a cui si deve la breve sequenza delle Esposizioni italiane di architettura razionale. La prima è organizzata proprio in quell’anno da Libera e da Gaetano Minnucci (1896-1980); la seconda, nel 1931, comprende il celebre “Tavolo degli orrori”, collezione di opere passatiste volute dal regime, selezionate dal fascistissimo Pietro Maria Bardi (1900-1999), come provocazione contro il suo stesso partito. Che reagì male, togliendo il proprio supporto al MIAR e provocandone, di fatto, lo scioglimento.
Del MIAR fa parte anche Giuseppe Pagano (1896-1945), dal 1933 direttore di Casabella, la cui redazione è attiva dal 1928 a Milano. Lo affianca Edoardo Persico (1900-1936), dal 1935 fino alla sua morte, e in seguito Anna Maria Mazzucchelli, fino alla chiusura imposta dal regime nel 1943. Casabella e Quadrante, guidato da Bardi e Massimo Bontempelli (1878-1960), sono le due piattaforme principali del dibattito sul razionalismo italiano, entrambe impegnate nella sua promozione, seppur con registri diversi: misurato e problematico Pagano, polemico e fortemente politicizzato Bardi.
Le Esposizioni triennali prima di Monza e poi di Milano sono l’occasione per realizzare modelli in scala reale di architetture razionaliste. Si pensi, ad esempio, alla Casa elettrica costruita per la IV Esposizione triennale internazionale delle arti decorative ed industriali di Monza (1930) da Figini e Pollini, con la collaborazione di Libera e Frette per gli arredi, e di Piero Bottoni (1903-1973) per la cucina ed il bagno. L’edificio è concepito come un prototipo di abitazione razionale, apertamente ispirato ai cinque punti dell’architettura lecorbusieriana.
Dalla fine degli anni ’20, e più intensamente all’inizio del decennio successivo, alcuni “oggetti” razionalisti isolati cominciano a punteggiare il paesaggio delle principali città italiane. Como dà i natali al protagonista indiscusso del razionalismo italiano, Terragni, che vi realizza molte delle sue opere: il precoce edificio per abitazioni Novocomum (1927-1929), l’Asilo Sant’Elia (1936-1937), la Casa Giuliani Frigerio (1939-1940), e soprattutto la Casa del Fascio (1932-1936).
Le ambiguità di questo edificio traducono la personalità complessa del suo progettista. Nelle parole di Marco Biraghi, nelle architetture di Terragni “la matrice italica – classica e perfino barocca (…) – coesiste senza contraddizioni con l’altrettanto inoppugnabile modernità di queste; così come nel loro autore coesistono. senza contraddizioni ideologia moderna e fascista”. In generale, il carattere inafferrabile della Casa del Fascio, più che le limpide risoluzioni senza compromessi della Casa elettrica di Figini e Pollini, rappresentano al meglio le antinomie che attraversano tutta l’esperienza del razionalismo italiano. Che resta in bilico tra ricerca del moderno e continuità con il passato, e tra ideali di rinnovamento sociale e la realtà del totalitarismo.
Oltre che nel capoluogo lombardo, opere razionaliste fanno la loro comparsa in centri grandi e piccoli di tutta la penisola. A Ivrea, Adriano Olivetti (1901-1960) commissiona a Figini e Pollini il complesso delle Officine ICO (iniziato nel 1939); ad Alessandria, Ignazio Gardella (1904-1999) realizza il Dispensario antitubercolare (1934-1938); a Milano, Pagano costruisce la Sede dell’Università Bocconi (1937-1940); a Firenze, Giovanni Michelucci (1981-1990) vince il concorso per la Stazione di Santa Maria Novella (1932-1934); a Roma, Luigi Moretti (1906-1973) progetta la Casa delle armi al Foro Mussolini (1933-1936), Libera e Mario De Renzi (1897-1967) il Palazzo delle poste di via Marmorata (1933-1935), Mario Ridolfi (1904-1984) quello di piazza Bologna (1932-1935); a Napoli, nel cuore dello sventramento del rione Carità sorge il Palazzo delle poste (1933-1936) di Giuseppe Vaccaro (1986-1970). Sono tutte architetture che, pur nelle loro specificità e differenze, si contrappongono alla parallela proliferazione di edifici di stampo accademista e storicista, tra cui quelli di Marcello Piacentini (1881-1960), vero e proprio deus ex machina dell’architettura nazionale, vicinissimo al Duce.
Restano senza sviluppi, al contrario, i tentativi di progettazione urbana e pianificazione territoriale di più chiara matrice razionalista. Tra i più sperimentali, il piano regolatore per la Valle d’Aosta (1936-1937) dei BBPR, il sodalizio di Gian Luigi Banfi (1910-1945), Ludovico Barbiano di Belgiojoso (1909-2004), Enrico Peressutti (1908-1976) ed Ernesto Nathan Rogers (1909-1969), autori anche della Colonia elioterapica di Legnano (1938). Del progetto corale di “Milano Verde” (1937, di Pagano con altri), l’imponente stecca di Bottoni su corso Sempione, realizzata negli anni ‘50, rappresenta un frammento spurio e decontestualizzato.
Dopo il fallimento del MIAR, e con ancor più forza a partire dalla metà degli anni ’30, il regime rinnega fermamente i suoi legami con il razionalismo. All’alba della Seconda Guerra Mondiale, l’architettura fascista sceglie definitivamente d’identificarsi non con il classicismo astratto di Giuseppe Terragni, ma piuttosto con la “romanità” esibita degli edifici monumentali di Piacentini.
I protagonisti del razionalismo del Ventennio, molti dei quali ancora giovanissimi, conosceranno destini molto diversi. Durante la guerra moriranno Pagano e Banfi, assassinati a Mathausen, ma anche Terragni, psicologicamente provato dall’esperienza al fronte e vittima di una fatale trombosi cerebrale. Al contrario, molti dei sopravvissuti (i BBPR, Bottoni, Figini e Pollini, Gardella, Ridolfi) parteciperanno in prima linea alla ricostruzione dell’Italia democratica.