Abbiamo intervistato Bijoy Jain, fondatore dello studio di architettura indiano Studio Mumbai, in occasione della sua mostra nello spazio di Assab One a Milano, dove si presentava come artista. Gli abbiamo chiesto di spiegarci la sua relazione con le due discipline. E di molto altro.
Intervista a Bijoy Jain
Bijoy Jain, architetto e artista, ci ha raccontato la sua visione della relazione tra architettura e arte, dell’artigianato, della sua idea di cerimonia e di come sta lavorando il suo studio.
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- La redazione di Domusweb
- 13 luglio 2017
- Milano
Domusweb: Perché hai deciso di diventare artista? Non bastava l’architettura? Bijoy Jain: Non mi interessa troppo la distinzione tra artista e architetto. È solo la natura del lavoro che lo colloca nella sfera di quella che consideriamo arte. Ma per me sono cose intercambiabili: architettura, arte, artista, architetto…. Credo che siano parte della stessa realtà. Quello che trovo interessante nella pratica dell’arte è che bisogna impegnarsi in modo da escludere qualunque pregiudizio intellettuale. Tutto quel che si ha è un’idea e un modo di partecipare e interagire, ovvero di realizzare concretamente qualcosa. È questione di svelare sensazioni e sentimenti, oppure anche soltanto esperienze. Per me l’arte rappresenta un’idea di umanità, di vita, l’ambiente.
Domusweb: L’architettura non fa altrettanto? Bijoy Jain: Secondo me arte e architettura consistono entrambe in uno studio dello spazio e nella sua realizzazione. Architettura significa realizzare uno spazio e perciò è un modo di arrivare a comprendere un’idea di distanza. Ma il fatto è che in architettura – e si potrebbe dire altrettanto dell’arte – ci sono molti punti di sovrapposizione che spostano la discussione su un altro piano. Come si riesce, quando si costruisce un spazio, a conservare la qualità dell’idea originale attraverso tutto il percorso di prove e di tribolazioni che l’architettura deve affrontare? E le stesse considerazioni valgono quando si fa arte: riguarda te stesso e quel che stai facendo. Questa è l’essenza del mio modo di fare architettura e di fare arte.
Domusweb: Tuttavia, in termini del contenuto delle due discipline, l’architettura ha un discorso proprio, mentre l’arte pare averne uno differente. Bijoy Jain: I miei disegni sono arte, ma potrei anche dire che sono disegni architettonici perché sono il ritratto dell’architettura. E allora ciò li rende fatto artistico o architettonico? Comunque sia, non credo sia importante. Tutta la base del fare sta nell’imitare il più possibile la vita e la persona umana. Ma in certo qual modo penso anche che siamo tutti creature mitiche. E allora come possiamo rispecchiare tutto ciò in quel che facciamo? Non mi interessano i confini delle due sfere, in che punto si lavora da architetto oppure da artista. Mi piace l’idea di muoversi senza soluzione di continuità tra i due territori come se non ci fossero confini.
Domusweb: Lo Studio Mumbai è ancora in attività? Bijoy Jain: Lo Studio Mumbai è molto più piccolo ma è ancora attivo. L’essere un gruppo più ristretto ha permesso una collaborazione intercontinentale con altri studi indipendenti che lavorano secondo gli stessi principi etici. Quel che riesco a fare ora è ampliare questi principi etici oltre i miei confini geografici, e ho scoperto che si affermano in tutto il mondo, dall’Europa al Giappone alla Svizzera, e perfino in America. Il mio interesse sta al di fuori della produzione industriale.
Domusweb: Be’, questa prospettiva rende più facile l’unione di arte e architettura. Bijoy Jain: Certamente. Una qualità fondamentale, che tutti abbiamo dentro di noi, è la capacità di esprimerci. Che si sia scrittori, pittori o musicisti sta di fatto che la tecnica che si usa è un linguaggio, un modo di comunicare. Per me l’idea di espressione personale è un aspetto molto importante di ciò che fa di noi quello che siamo. È il motivo per cui non mi interessa il modo di produzione economico dell’industria, perché oggi come oggi il nostro modo di pensare è diretto puramente dall’economia, e tutto il resto viene in secondo ordine. Non dico che non sia importante che questa economia esista, ma dobbiamo essere in grado di trattare e di sapere quali sono i termini di scambio. Non voglio che il mercato mi imponga quel che devo fare oppure mi dica con quali materiali devo lavorare. Certe volte si cammina per una strada che si è percorsa per vent’anni ma scatta un momento speciale in cui si vede qualcosa che non si è mai notato prima. Si può praticare lo stesso tipo di attenzione ogni volta che si è impegnati in una ricerca e si può contare su questa energia per essere più partecipi di quel che si sta facendo. Per lo meno lo scopo è questo. Oggi sto lavorando a progetti in Europa e in Giappone, quindi la risposta la darà il tempo! Nella pratica dell’arte è interessante il concetto di ‘lasciare scorrere’. È ciò cui alludevo prima parlando dell’assenza di pregiudizi. Posso pensare di fare o costruire qualcosa, ma quel che viene fuori nel corso del processo è che la fisicità concreta di quel che sto facendo o costruendo è profondamente legata alla sensazione e alla qualità di quel che volevo comunicare. Il risultato fisico potrebbe essere molto diverso dalla concezione iniziale, altrettanto vale per il luogo dove tutto alla fine ha compimento. Per me l’arte è più che altro un processo di apprendimento e di scoperta.
Domusweb: Il tipo di materiali che usi però viene sempre dalla tua attività di architetto. Bijoy Jain: Sì, è vero. Domusweb: Che cosa ti ha portato a scegliere di usare l’oro sull’asfalto? Bijoy Jain: I pezzi in bitume e oro si chiamano “pezzi scuri”. Sono fusioni in cui sono inseriti oggetti in modo assolutamente casuale. Dato che l’atmosfera interagiva con l’opera, questa avrebbe lentamente subito dei cambiamenti secondo la temperatura e i diversi ambienti in cui sarebbe stata collocata. La foglia d’oro proviene dal concetto di cerimonia. Per me nulla va veramente perduto; solamente si oscura nel tempo. Pensiamo che stiamo perdendo la nostra cultura ma non credo che sia qualcosa che, come umanità, potremo mai perdere.
Domusweb: Speriamo che tu abbia ragione! Bijoy Jain: No, è impossibile. È solo questione di arrivare a riconoscerla, e credo che siamo coinvolti nel conflitto. Sostanzialmente il nostro vero essere sta nella capacitò di amare, ed è una cosa universale, che travalica continenti e razze. Allo stesso modo siamo collegati dalla medesima idea di affetto, dalla stessa idea di gestualità e di postura. Il corpo umano ha in suo modo di rispondere a questo genere di fenomeni. È anche interessante il fatto che, dal Bhutan alla Cina, all’India, ci siano delle stupa con delle reliquie del Buddha – capelli o unghie – incorporate nella massa della struttura. È così che un’idea può acquisire la capacità di trascendere il tempo, e in qualche modo l’idea della foglia d’oro segna la presenza di questo concetto. L’etica non è diversa da quella dell’idea di coltivazione. È una specie di coltivazione culturale. Quando qualcuno si reca in uno di questi spazi particolari fa l’offerta di una foglia d’oro. E a un certo punto, con tutte le persone che sono arrivate, l’intero Buddha si ritrova coperto d’oro. Benché una singola foglia d’oro sia una goccia nell’oceano, tutte insieme diventano una forza. E questa è una rappresentazione di quel gesto.
Domusweb: E Betts Projects? Ho visto solo un’immagine, e quindi non ho idea di come sia la mostra. Bijoy Jain: Betts Projects è una galleria molto più piccola di Assab One, per cui tutto è in miniatura. Ci sono anche alcune delle mie nuove opere. La mostra è un po’ più vicina alla mia attività d’architetto, perché questa è la linea della galleria. È interessante trovare il punto di equilibrio in cui qualcosa è ancora architettura ma al tempo stesso non lo è. Le cose che presentiamo sono più che altro infrastrutture, suggerimenti di collocazione. Questo è il punto a Betts Projects: come occupare lo spazio con materiali differenti. Domusweb: Se non sbaglio ci sono anche elementi decorativi. Bijoy Jain: Ti riferisci ai contenitori quadrati a filigrana. Fondamentalmente si tratta di griglie della città di Mumbai, ciascuna in espressioni molto diverse. Possiedono una componente decorativa, ma sono un elogio della diversità di pensiero, e qui sta il vero punto di interesse. Non è questione di esprimere un giudizio. È questione di come sono, di che cosa vediamo e di come lo imitiamo, cioè rappresentiamo ciò che osserviamo.
Domusweb: Come ti senti quando esponi come artista? Ufficialmente è la tua prima mostra d’arte? Bijoy Jain: No, Ho già tenuto una mostra d’arte a Mumbai nel 2013 e ho anche partecipato alla Biennale di Kochi. Poi ho fatto un altro paio di mostre a Mumbai. Ma, come ho detto, per me non c’è differenza nella natura di queste mostre d’arte paragonate a quello che abbiamo fatto per la Biennale Architettura del 2016. Domusweb: Che rapporto hai con l’artigianato? L’artigianato può essere una specie di collegamento tra le due discipline? Bijoy Jain: Quel che mi interessa è il modo di fare le cose. È questo a definire il concetto di artigianato. È un’etica, un’attenzione particolare. Credo che quando si realizza una sedia, un tavolo, un mattone o una tazza da tè si integri nell’oggetto anche la propria materialità. L’uomo ha la materialità e, tramite il processo intellettuale del fare artigianale, è in grado di trasferire una certa materialità nella fisicità di qualunque cosa stia creando; il concetto si applica a qualunque cosa.
Domusweb: Che differenza c’è tra il processo e il modo di creare qualcosa? Bijoy Jain: È qualcosa, come la stessa parola “modo” suggerisce, che fa sì che ciò che viene realizzato riesca a essere se stesso. All’inizio della gravidanza una madre comincia a sferruzzare o cucire una copertina per il suo bambino, ma questo bambino esiste solo in quanto idea, come fisicità, come entità, ma non ancora espressa. Una volta che la copertina è finita ha in sé delle narrazioni. È una specie di gesto di generosità, e io credo che queste qualità si trasferiscano alla copertina, di modo che, una volta terminata, essa possiede un suo tempo e un suo spazio. Con queste qualità possiamo lavorare sulla capacità di integrare la sensibilità nelle cose che facciamo. Domusweb: È una fase della gravidanza nota come “creazione del nido”. Ha una lunga storia che definisce la psicologia femminile, perché si tratta di un fenomeno ubiquo. Tutte le donne lo fanno. Bijoy Jain: Esattamente, in un modo o nell’altro: questo è ciò che mi interessa.
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