Ho incontrato Michael Braungart dopo il suo intervento all’Ecoweek di Tilburg, e gli ho posto alcune domande sull’innovazione e sul progetto, sulle città e sulla capacità del pianeta di sostenere la vita. Le sue risposte spostano in un nuovo quadro il problema dell’impronta ecologica, del nostro ruolo sul pianeta e del nostro ruolo di progettisti.
Noi e la terra
“Un prodotto che non serve a vivere non è un buon prodotto, un prodotto che diventa rifiuto ha un problema di qualità”, afferma Michael Braungart, autore del libro che ha fatto scuola con il concetto “dalla culla alla culla” per la progettazione sostenibile.
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- Maria Luisa Palumbo
- 14 giugno 2017
- Tilburg
Maria Luisa Palumbo: Nel 1987 hai fondato l’EPEA (Environmental Protection Encouragement Agency), istituto di ricerca e di consulenza che lavora soprattutto sulla realizzazione di processi circolari. Nel 2002, insieme con William McDonough, hai pubblicato Cradle to Cradle [trad. it. Dalla culla alla culla, Torino, Blu, 2003], libro che è diventato il manifesto di una nuova prospettiva sul progetto in cui ogni materiale realizzato dall’uomo diventa fonte di nutrimento. È questa la via maestra dell’innovazione?
Michael Braungart: Dalla culla alla culla non parla propriamente di materiali. Parla del nostro ruolo sul pianeta. Cerchiamo di essere meno nocivi, di ridurre il più possibile il nostro impatto sull’ambiente. Ma Dalla culla alla culla è una celebrazione dell’impronta ecologica umana, non parla tanto del non essere nocivi quanto del porsi nuovi obiettivi positivi. In questo momento gli oggetti non vanno bene, sono progettati solo per costare poco e avere un aspetto gradevole. Un prodotto che non serve a vivere non è un buon prodotto, un prodotto che diventa rifiuto ha un problema di qualità. Il punto è la qualità. Possiamo usare tutto questo dibattito sul clima come un’occasione d’innovazione. È una questione di processo, perché nessuno desidera possedere una lavatrice oppure un televisore: li vogliamo usare, vogliamo abiti puliti. In questi casi ha senso vendere il servizio invece del prodotto. È una specie di leasing ecologico dove, se il prodotto rimane di proprietà del produttore, per costruirlo si possono usare materiali di tipo completamente diverso. Se vendo l’impegno permanente a far funzionare una macchina, sono fortemente incentivato a fabbricare componenti vendibili quando si usurano. Perciò l’innovazione riguarda il fatto di considerare gli uomini come un’occasione per il pianeta. È questione di cambiare mentalità.
Maria Luisa Palumbo: Credi che negli ultimi quindici o vent’anni si siano verificati dei cambiamenti positivi? Io credo che la consapevolezza ambientale sia aumentata, ma quando andiamo a fare acquisti siamo circondati da prodotti malsani, è difficile vedere cambiamenti positivi… Michael Braungart: Credo che tu abbia ragione, che la velocità del cambiamento sia ancora lenta… Ma guarda, in Europa ci sono voluti centocinquant’anni per modificare la Dichiarazione dei diritti dell’uomo in modo da dare il diritto di voto alle donne. Il cambiamento reale richiede tanto tempo! Comunque un numero sempre maggiore di persone sta comprendendo che mangiare manzo o carne non è proprio la forma di nutrizione più salutare. Perfino in Italia – è sorprendente quel che succede – il consumo di carne è calato drasticamente a paragone di quello che era quindici anni fa, e perciò sono decisamente ottimista. Non mi aspettavo che succedesse nel corso della mia vita. Oggi troviamo già sul mercato almeno diecimila prodotti ‘dalla culla alla culla’.
Maria Luisa Palumbo: A proposito di ottimismo, quante persone può sostenere la Terra? Che cosa pensi del concetto di limiti planetari? Michael Braungart: I limiti planetari non esistono, il solo limite è la nostra forma mentis, la nostra formazione. Conosci l’equazione di Einstein E=mc2? Sai che cosa vuol dire? Vuol dire che si possono calcolare l’energia e i materiali in entrambi i sensi: il materiale può essere energia e l’energia può diventare materiale. Abbiamo ventimila volte più energia di quella di cui avremo mai bisogno. E possiamo certamente fare un uso programmato più raffinato dell’energia disponibile. Non siamo troppi, siamo solo troppo stupidi: non siamo abbastanza bravi. Non è il pianeta, siamo solamente noi. Dobbiamo sviluppare un’agricoltura che ricostituisca il terreno. Ma in tutta l’industria alimentare del mondo non c’è una sola etichetta biologica che permetta agli elementi essenziali dell’alimentazione di tornare al terreno. La nostra agricoltura biologica, in altre parole, ci taglia fuori dal circolo alimentare. È un punto critico, perché per l’uomo in realtà il fosforo è molto più importante, per esempio, del petrolio. Senza fosforo non avremmo né denti né ossa e non riusciremmo immagazzinare energia nel corpo. Dato che il fosforo è essenziale per la vita ma abbiamo paura di usare i nostri stessi alimenti – le feci – in agricoltura, abbiamo escogitato una soluzione molto primitiva: l’estrazione del fosfato che ci dà fosforo in modo rozzo e ci espone a una radioattività molto superiore a quella di tutte le centrali nucleari del mondo.
In Cina, quando ti invitano a cena, ancor oggi si aspettano che tu resti fino al momento di usare il bagno: è disdicevole andarsene portando gli alimenti con sé, perché si è stati invitati per cenare, non per rubare cibo. Ci occorrono un altro pensiero, un’altra mentalità, un’altra agricoltura. Perché oggi come oggi investiamo dieci calorie d’energia per produrre una caloria di cibo, il che è ridicolo. Ma non è questione di limiti planetari. Il pianeta potrebbe nutrire facilmente 50 miliardi di persone. La biomassa delle formiche è più grande della nostra, questi minuscoli insetti consumano calorie quanto 30 miliardi di persone. Ma la foresta pluviale non potrebbe esistere senza di esse, perché tutelano la salute del terreno, nutrono l’ecosistema crescendo e procurandosi il cibo… Quindi stiamo solo cercando di ridurre, di minimizzare, ma dovremmo pensare a essere utili per altre specie.
Maria Luisa Palumbo: Che cosa pensi del futuro delle città? Michael Braungart: La più recente tendenza della politica consiste nell’essere neutri nei confronti del clima e delle emissioni di carbonio. Perfino città importanti come Copenaghen e Sydney sono convinte che il modo per fermare il riscaldamento globale sia questo. Che ambizione straordinaria! Si può essere neutri nei confronti del clima solo quando non si esiste del tutto. Hai mai visto un albero neutro nei confronti del clima? Gli alberi fanno sempre del bene al clima e all’ambiente: assorbono anidride carbonica, producono ossigeno, ripuliscono l’aria e danno cibo e riparo agli esseri viventi. Perché la nostra unica scelta dovrebbe essere quella di essere ‘meno nocivi’? Siamo troppi, per essere meno nocivi. Perché non imitare gli alberi ed essere invece ‘bravi’? Invece di cercare di ridurre al minimo la nostra impronta ecologica, valorizziamo la nostra impronta ecologica umana. Per riuscirci dobbiamo trasformare la nostra impronta ecologica in terreno fertile. Dalla natura si può imparare continuamente. Lo chiamiamo ‘dalla culla alla culla’: è un mondo dove tutto è un vantaggio. Nel mondo ‘dalla culla alla culla’ i rifiuti sono solo un indizio di cattiva progettazione.
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