La nuova serie tratta da un romanzo di Elena Ferrante, La vita bugiarda degli adulti, parla due lingue e con quelle due lingue racconta due mondi a pubblici diversi.
La prima è la lingua in bocca ai personaggi, il napoletano della famiglia protagonista, borghese e benestante contrapposto a quello della zia Vittoria, che vive in un quartiere periferico e malfamato. Sono differenze di inflessione buone per le orecchie del pubblico italiano, che a quegli spettatori raccontano la distanza e la diversità tra due mondi.
La seconda lingua parlata da questa serie di Netflix invece è quella degli interni, del design degli oggetti e dei palazzi. Questa parla a tutti e a tutti dice la stessa cosa della prima, cioè che distanza ci sia tra la vita di Giovanna, adolescente dei quartieri buoni di Napoli e la zia di cui parte alla ricerca, dalla sua famiglia considera una reietta e immersa in un mondo visivamente diverso, fatto di altre forme e altri design.
Si può seguire facilmente la trama, ovvero la storia di come questa adolescente degli anni ‘90 nello scoprire la zia scopra anche un altro modo di vivere, finendo per guardare diversamente (da adulta) i propri genitori e la loro vita; di come il contatto con un modello di femminilità non omologato la cambi e cambi la maniera in cui passare a un’altra età.
Però la lingua del design racconta qualcosa di diverso. È la storia di due quartieri e di un braccialetto che li unisce. Il quartiere alto, il Vomero (lo stesso in cui è ambientato È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino) e il quartiere Pianto che non esiste e nel film è sostituito dal vero Poggioreale.
È tutta una questione di ricostruzione degli interni. Per entrambe le zone la lingua del design racconta cosa è accaduto ad una famiglia che nasceva nel Pianto, tra mura rovinate e mobilio primi novecento mai cambiato, con una prossimità intrusiva con l’appartamento accanto che ha portato a scandalose relazioni e poi ad un’intimità non da poco con i vicini. Racconta come una parte di questa famiglia sia cambiata e si sia trasferita al Vomero, in una casa piena di legno, con molti vetri, telefoni dal design Swatch, ceramiche e stoviglie più recenti, orpelli anni ‘70 e androni ampi e ariosi. Lì Giovanna è cresciuta ma ora sogna altro mentre dalla finestra di camera sua osserva ragazzi che fanno ballo di strada su un tratto di carreggiata mai finito. Dalla sua torre guarda un altro mondo.
Al centro della disputa tra parenti che la ragazza scopre lungo la storia c’è un braccialetto, che sembra quasi un oggetto magico. Le donne (ma anche gli uomini) se lo passano o se lo sottraggono. È un monile non particolarmente costoso che tutti definiscono “bello”, dal design un po’ passato e il cui possesso sembra orientare gli amori, indirizzare le passioni e segnalare i tradimenti. Come in un film della Marvel, scambiarsi oggetti (lì sono armi, qui è uno strumento di bellezza) segnala i sentimenti e funziona come rappresentazione pratica della costruzione di una relazione. Tramite il possesso di qualcosa di bello le persone cambiano, litigano e provano ad essere diverse.
Se qualcosa quindi dice La vita bugiarda degli adulti non è soltanto quanto il mondo in cui viviamo e gli oggetti di cui ci circondiamo dimostrino uno status e facciano capire qualcosa di noi, ma all’opposto quanto siano la causa del cambiamento. È andando nel quartiere del Pianto e immergendosi nell’umanità che lo popola che Giovanna cambia (ed è molto bella la maniera in cui lei lo descrive la prima volta che lo vede), possedendo quel bracciale e per continuare ad averlo prende le decisioni più difficili della sua vita, indirizzando il cambiamento in una certa direzione.
Infine è in un terzo incomodo, la casa nel quartiere di Posillipo, sul mare, tutta organizzata tra terrazze e uno scantinato che finisce direttamente in acqua, dove potersi tuffare, che avvengono gli snodi cruciali. Quella di Posillipo è la casa del benessere, seconda abitazione e luogo di piccole celebrazioni tra amici, ma anche quella in cui viene scoperto tutto, e accadono le rivelazioni più clamorose. Abitazione fuori dal tempo, la cui architettura affonda nell’800, e dalla progettazione unica (anche se lì, sul lungomare, moltissime hanno quel tipo di scesa a mare) è il limbo di transizione, priva di interni significativi, priva di mobilio, priva di qualcosa che la caratterizzi se non il mare. Lì fuori dal design moderno del Vomero ma anche fuori da quello tradizionale del Pianto, Giovanna può cambiare e passare dall’uno all’altro.