Un blocchetto giallo, solido, fuori dal tempo perché elude le estetiche più frequentate dal tech design recente, quelle che il consumatore dà per scontate: niente angoli smussati, niente colori translucenti sulla scocca o evidenze di alluminio o magnesio o fibra di carbonio, uno schermetto in bianco e nero e non full screen, pulsanti a vista. Ricorda gli anni Novanta e fa venire subito in mente il primo Game Boy, la console portatile Nintendo lanciata nel 1989, ma è sottile, sottile come uno smartphone di ultima generazione, e con una porta Usb-C nella parte inferiore, caratteristiche che la riportano immediatamente ai nostri giorni.
È Playdate, la console da gioco (gialla) nata da una idea della software house americana Panic – per la precisione di Portland, in Oregon – e sviluppata con gli svedesi di Teenage Engineering. Una collaborazione nata con una mail, spiega Caleb Sassar, cofondatore di Panic, azienda che negli ultimi anni si è fatta un nome nei videogame con titoli indie di culto come Firewatch e Untitled Goose Game, ma che molti conosceranno per l’ottimo client ftp Transmit per Mac. “All’inizio avevamo contattato una grossa azienda di design industriale qui di Portland”, racconta Sassar, “ma non hanno capito Playdate, e hanno passato gran parte dell’incontro cercando di dissuaderci dal farlo”. Un punto di vista molto demoralizzante: “Playdate non è un progetto ‘normale’, costa parecchi soldi, e onestamente, quei soldi potrebbero non tornare”, ammette Sassar. “Ma questo non significa che non dovrebbe esistere!”.
Quindi, la mail a Teenage Engineering, la risposta entusiasta dall’altra parte dell’oceano. “Le nostre imprese hanno sentimenti e filosofie simili”. E così Playdate ha preso una forma. Già nei primi disegni di Jesper Kouthoofd, Ceo e capo design di Teenage Engineering, con i quali il marchio noto dei synth amati da musicisti come Bon Iver, Thom Yorke e Beck adattava il proprio approccio progettuale a una console di gioco, era presente l’elemento sicuramente più peculiare di Playdate: una manovella sul lato destro del dispositivo.
I controlli della console sono assolutamente minimali, eco diretta dei piccoli dispositivi di gioco dell’età dell’oro del gaming portatile. Solo un pad direzionale e due pulsanti, esattamente come il primo Game Boy. La manovella aggiunge un livello di complicazione, permettendo una navigazione che a seconda del gioco può diventare una giravolta tra le onde (Whitewater Wipeout), una corsa su e giù nel tempo (Timetravel Adventures), o un ottovolante spaziale (Star Sled).
L’idea della manovella, ricorda Sassar, era totalmente inattesa, ma ha convinto tutti. “Non è solo divertente, ma manda anche un messaggio istantaneo alla persona che noi riteniamo giusta: questo dispositivo è diverso, devi provarlo”.
Lo schema dei controlli ridotto all’osso, e l’integrazione di un elemento peculiare come la manovella, ha un ovvio sottinteso: Playdate non è stato disegnato per giochi già esistenti, ma per un catalogo sviluppato ad hoc, tessuto intorno al dispositivo. La sua forza nasce dal fatto che ha conquistato “un certo tipo di sviluppatori”, dice Sassar. Secondo lui, questo è dovuto a due motivi. Da un lato un dispositivo “talmente interessante e unico” da risultare irresistibile. “Quando lo vedono, devono assolutamente farci qualcosa. È una compulsione!”, spiega il cofondatore di Panic. Dall’altro lato, la software house ha fatto tutto il possibile perché la fase di programmazione fosse la più semplice possibile. “Ci dicono che è anche la più divertente, e ne siamo molto felici”.
Un altro aspetto controcorrente di Playdate è il catalogo. Il giocatore riceve due titoli al mese, secondo uno schema di uscite prefissato. Almeno per il primo anno, 24 titoli sono gratuiti. L’idea, spiega Sassar, era quella di sorprendere gli utenti, ma anche introdurli a dei generi di giochi che magari non avrebbero mai provato. “Se ti arriva una graphic novel il lunedì mattina gratuitamente, anche se pensavi che fosse un genere noioso, vuoi non provarla?”.
Quello che colpisce, oltre alla varietà delle tipologie, è la qualità di molti dei giochi in distribuzione. Con comandi ridotti al minimo, su uno schermo in bianco e nero che è per dimensioni meno di un terzo di quello di un iPhone, gli sviluppatori mischiano riferimenti e costruiscono piccole mitologie, lasciando emergere quanto potente possa ancora essere lo storytelling dei videogiochi, anche nel caso di prodotti di scala piccola come quelli che fa girare Playdate. In Casual Birder, lo schema-Pokémon viene riadattato al bird watching, Zipper riscrive i giochi di samurai e quelli strategici, Inventory Hero è un role-play che si gioca solo dall’inventario, Demon Quest 85 un intricatissimo puzzle che potrebbe avere un paio di scene di Stranger Things. Forrest Byrnes trasforma in protagonista la mascotte di Firewatch, il titolo che ha lanciato Panic nel mondo dei videogame, Saturday Edition l’avventura grafica che non pensavi di giocare su un dispositivo di questo genere. Un trionfo in formato tascabile. (E giallo).
Certo, non tutto è perfetto. La batteria non ha una durata memorabile e il vetro che copre il display è incline a graffiarsi. Lo schermo ha una resa eccellente al sole o in interni molto illuminati, ma è privo di retroilluminazione – una scelta voluta, che però rende il dispositivo meno versatile, per esempio quasi inutile in aereo. Alcuni giochi poi lo sfruttano fino all’ultimo pixel, riuscendo un po’ faticosi alla vista – soprattutto se eri un ragazzino al tempo del Game Boy!
Playdate è un dispositivo che farà gola a una certa nicchia di pubblico, ma non è per tutti, con un prezzo base fissato intorno ai 180 dollari e tempi d’attesa lunghi fino a un anno (e poi è giallo). Rispetto alle premesse, però, è perfettamente riuscito. Mostra una via alternativa al gaming, è divertente, offre una piattaforma per sviluppatori che in altri contesti magari si trovano a soffocare tra i giganti del settore. Ed è un ottimo esempio di come ancora oggi un lavoro a stretto contatto tra software e hardware, e la voglia di innovare, possano dare ottimi risultati in termini di qualità prodotto, un po’ come recitava quel mantra “Think Different” che continua a ronzarci in testa da qualche decennio, nonostante oggi sia per lo più disatteso a favore di un appiattimento al gusto di massa.
Il Playdate non è solo una console da gioco, ma un ragionamento sull’industria del gaming, e più in generale un modo di fare tecnologia che altri potrebbero imitare. “Volevamo costruire qualcosa che fosse aperto e flessibile”, dice Sassar. “Il Playdate rappresenta molti dei nostri pensieri riguardo l’industria tecnologica fatti nel corso di tanti anni”. E quando gli chiedo perché il colore giallo, l’unica grande curiosità rimasta in sospeso, la risposta suona ovvia: “perché è divertente”.