Oltre che un mobile multifunzionale, il carrello da bar è anche e soprattutto un oggetto di costume. Manifestatosi a cavallo tra Ottocento e Novecento nelle sue prime versioni con ruote, diventa uno strumento ancillare alla nuova cultura dell’aperitivo e del vino da meditazione, contribuendo ad istituzionalizzare e democratizzare questa nuova forma di pausa tra le pareti di casa.
Sarà il modernismo e le sue sperimentazioni con il tubolare curvato – forse anche il suo gusto per la socialità, quale quello che l’accademia del Bauhaus ha sempre coltivato e infuso nei suoi oggetti - a dal il là ad una stagione di carrelli dove impugnature e ruote, spesso sublimazione del mondo industriale, permettono di afferrare e spostare facilmente i mobili per riconfigurarli a seconda degli eventi.
“l mobili spostabili e pieghevoli rendono un ambiente limitato più spazioso”, scriveva Alvar Aalto nel 1930, e il carrello da bar non sembra far eccezione. Alcuni modelli metteranno a dura prova l’individuazione di uno spartiacque tra carrello portavivande o semplice vetrina per oggetti. Altri, invece, renderanno irrefutabile la loro specializzazione funzionale grazie soprattutto alla protezione dell’elemento più importante da custodire, la bottiglia, e dall’ancillarizzazione di un altro supporto imprescindibile, il bicchiere.
Negli ultimi anni, sono molti i modelli storici rieditati e confluiti nei cataloghi di grandi marchi di arredo. Un interesse ritrovato, dunque, che sembra suggerire che il carrello stia ritrovando le qualità per incarnare il nuovo spirito del tempo: la mobilità, la versatilità, soprattutto un’intimità sempre più domestica, fautrice di un invito ad una pausa e, perché no, al piacere.