Proponiamo in esclusiva, suddiviso in quattro puntate, un confronto avvenuto sotto forma di scambio epistolare tra Marco Petroni, Ani Liu, Giovanni Innella ed Emanuele Quinz sul futuro del design, intitolato Black Box Design. Qui il secondo episodio firmato da Ani Liu.
Se penso al design nell'era post-Antropocene non posso non cominciare riflettendo sulla relazione tra il mondo biologico e le proiezioni degli esseri umani su di esso. Ne La questione della tecnica, Heideigger sottolinea come gli esseri umani si siano relazionati sempre di più con le entità naturali in quanto “risorse” (Bestand) pronte per l'ottimizzazione. Secondo l'autore, questo nuovo modo di rapportarsi con il mondo attraverso la lente della tecnica è un'essenza della tecnica stessa (Gestell). Lo sfruttamento del mondo naturale è stato abbondantemente documentato e analizzato, perciò voglio concentrarmi su un altro modo in cui in futuro i nostri quadri storici di comprensione della natura potrebbero venire riesaminati come parte di una provocazione nei confronti dei designer che progettano in un mondo post-antropogenico.
Ragionando sulla maniera in cui la scienza descrive la conoscenza e i modi in cui la società utilizza queste informazioni, faccio l'esempio del sesso e del genere: il sesso riguarda gli attributi biologici e anatomici, mentre il genere si riferisce al complesso continuum di atteggiamenti e aspettative che la società vi attribuisce. Ovviamente, nemmeno il sesso è binario, visti i corpi multicromosomici e intersessuali che nascono e vivono naturalmente in tutto il mondo. Eppure, dal momento in cui si nasce (e a volte anche prima, come provato dalla mania per i gender reveal party), viene assegnata una casella di spunta accompagnata da una serie di associazioni estetiche e comportamentali tra cui troviamo colori, modo di vestirsi, gestione dei peli del corpo, odore, personalità, espressione emotiva, aspirazione professionale e preferenza sessuale. Queste categorizzazioni sono significative perché storicamente i corpi femminili sono diventati una forma di Bestand di Heidegger – una risorsa pronta per l'ottimizzazione.
Una conseguenza di questo, come sottolinea Foucault con i termini biopolitica e biopotere, è la sottomissione dei corpi nella macchina della produzione e del capitalismo. La biopolitica confonde i confini tra lo scientifico e il politico, l'umano e il materiale, trasformando aspetti vitali della vita evolutiva e biologica in meccanismi di potere e controllo, come spesso vediamo nelle contestazioni politiche sul controllo delle nascite.
Ci nascondiamo dietro a scuse molecolari sotto forma di ormoni per perpetuare le nostre credenze.
Quando però queste aspettative culturali e politiche nei confronti della biologia vengono difese “in nome della scienza”, la situazione diventa allarmante. Ci nascondiamo dietro a scuse molecolari sotto forma di ormoni per perpetuare le nostre credenze. È il caso di Caster Semenya, un'atleta che è nata e si identifica come femmina, ma a cui viene impedito dall'Associazione internazionale delle federazioni di atletica (IAAF) di competere in eventi sportivi perché “è una donna, ma forse non al cento percento”. Lo stesso comitato ha notato che “la scienza non ha definitivamente dimostrato che un elevato livello di testosterone comporti un vantaggio per le performance dell’atleta”, eppure questa molecola è il motivo principale per cui a Semenya è vietato gareggiare.
Vale la pena notare che la competizione sportiva è un'enorme fonte di guadagno, un altro modo di utilizzare i corpi per il profitto, e che il colore della pelle di Semenya – si dà il caso che sia nera – è stato storicamente oggetto di una discriminazione che impedisce l'accumulo di capitale, oltre a molti altri diritti umani.
Porto questi esempi di genere per riflettere sui modi in cui scienza, società, natura, tecnologia, politica e capitalismo sono intrecciati in una trama complessa che richiede un'attenta considerazione quando si immagina un post-Antroprocene. Partendo dal nostro materiale sensoriale più intimo – i nostri corpi – possiamo distruggere le etichette storiche e le aspettative per progettare la coesistenza ecologica del futuro?
Ani Liu è un'artista ricercatrice che espone a livello internazionale e lavora all'intersezione tra arte e scienza. I temi ricorrenti nel suo lavoro includono la politica di genere, la biopolitica, il lavoro, la simulazione e la sessualità.