Nei suoi progetti Adam Nathaniel Furman è noto soprattutto per le sue commistioni di estetiche e rimandi, per l’uso libero dei colori e per i riferimenti politici delle sue riflessioni formali, e così anche nei suoi gusti cinematografici riusciamo a leggere la stessa attitudine ad orientare lo sguardo verso l’orizzonte più ampio possibile. Da un lato infatti non possono mancare i grandi classici che hanno fatto la storia del film anche per i luoghi in cui sono stati girati, dall’altro invece ci sono commedie hollywoodiane o esperimenti fantastici in cui rileggere il ruolo degli spazi in una modalità inedita e con lo stesso sguardo eclettico dell’architetto di Londra.
Dieci film che parlano di architettura selezionati da Adam Nathaniel Furman
L’architetto londinese che ha fatto della libertà la sua cifra stilistica, sceglie dieci film con protagonisti gli spazi, tra grandi classici, riferimenti pop e qualche chicca per veri cultori.
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- Elisabetta Donati de Conti
- 28 aprile 2020
Furman, dopo le esperienze in grandi studi e una residenza decisamente di successo al Design Museum della capitale britannica, ha portato in ogni suo lavoro il riflesso della sua personalità solare, come nel recentissimo – e coloratissimo – Nagatacho apartment a Tokyo. Ma se solare è l’aggettivo adatto a descrivere il suo brillante approccio al progetto, non lo è invece per raccontare le ambientazioni delle sue pellicole preferite: edifici suggestivi e sorprendenti sono sullo sfondo di storie dall’atmosfera spesso tesa e cupa.
L’edificio che accompagna gli interni di questa pellicola, Villa Necchi Campiglio, cattura l’animo e i sentimenti dei personaggi che lo popolano, così come l’atmosfera del loro mondo, con tutti gli eco e le perdite voluttuose che ne fanno parte. Nessun altro film è stato in grado di evocare così perfettamente la decadenza milanese contemporanea, messa in scena così finemente negli spazi progettati da Piero Portaluppi all’inizio degli anni ’30.
Miglior film agli Oscar 2020, la tragedia che si consuma nell’intrecciarsi delle vite private di due famiglie sud-coreane prende la forma di una tra le più perfette comparazioni tra la finta raffinatezza architettonica e le conseguenze pretenziose e diaboliche del privilegio della società delle classi più abbienti.
Il capolavoro americano con James Stewart e Grace Kelly è ancora oggi una delle più profonde indagini di brivido e paura, agitazione e mistero sulla prossimità nell’ambiente urbano, dispiegata alla perfezione in una trama squisita del grande regista.
Secondo film realizzato dal regista celebre per le sue ambientazioni gotiche e fiabesche, Beetlejuice (ovvero succo di scarafaggio) è una brillante interpretazione del mito della casa stregata, oltre che un fantastico modo per ridimensionare alcune pretenziosità architettoniche e sociali. Il tutto realizzato in una maniera stilistica veramente brillante.
George Clooney torna per la terza (e ultima) volta nei panni di Danny Ocean per una sofisticata commedia criminale in cui l’architettura parametrica arriva al grande schermo passando per Las Vegas: che sia forse il migliore ed unico luogo destinato ad essa?
Questo film ha reso terrificante stare in qualsiasi hotel di campagna della fine del Diciannovesimo secolo. Tratto dal romanzo di Stephen King, più che una storia del terrore è un thriller fantastico di parapsicologia nel quale Jack Nicholson si è cimentato in una delle sue performance più assolute in uno spazio, quello dell’Overlook Hotel, diventato a dir poco iconico. Chi ha potuto guardare con gli stessi occhi i lunghi corridoi degli hotel dopo aver visto Shining per la prima volta?
La vita di un giovane medico in un grattacielo londinese a metà degli anni ’70 racconta il sogno utopico del brutalismo, che traduce in una megastruttura il microcosmo della società che lo abita, quasi del tutto isolata dal resto della città. Tuttavia i problemi di una piccola società sono gli stessi di quella allargata che però, compressa, diventano ancora più terribili. Ed è tutta colpa dell’architetto.
Film fantastico o viaggio nel tempo, questo racconto di Sokurov si svolge in un’unica sequenza ininterrotta “come se fosse un solo respiro”, grazie ad una sola ripresa durata un’ora e mezza. Ma la storia di Arca russa è anche la metafora di un tesoro architettonico nazionale come incarnazione di una stessa nazione e della sua storia: in questo film meravigliosamente sognante, che si sviluppa camminando attraverso le stanze e i corridoi dell’Ermitage, tutta la storia russa è delicatamente ed elegantemente dispiegata davanti agli occhi dello spettatore.
Nella cornice di un film imperniato sul rapporto classicità-modernità, non poteva esserci match migliore per la incredibile casa Malaparte che una scorbutica Brigitte Bardot intenta a prendere il sole sul suo tetto, salirne i gradini e guardare fuori dalle sue finestre.
In questo film non si vede mai un edificio, dal momento che il personaggio principale è da solo in macchina tutto il tempo, ma il dramma è incentrato su una vasta gettata di cemento di cui egli è responsabile, alla base di un enorme nuovo edificio. Nello svolgersi della trama seguiamo questo progetto con teso stupore, ascoltando tutti i dettagli tecnici su come un compito così arduo per un costruttore debba essere portato a termine, mentre il protagonista corre per affrontare un terribile dilemma personale.