A cavallo tra l’ultima settimana di luglio e la prima di agosto, Siracusa ha ospitato due settimane di workshop organizzate dall’Accademia di Belle Arti Rosario Gagliardi, alias MADE Program. La scuola d’arte e design, nata tre anni fa e che tra gli obiettivi dichiarati ha quello di “rendere programmi di formazione di alto livello e di respiro internazionale accessibili a un ampio numero di persone, anche in zone abitualmente ‘dimenticate’ dai grandi operatori attivi in ambito formativo”.
Sotto la direzione artistica di Formafantasma e Moncada Rangel e l’attenta guida operativa di Alessandro Montel, nel centro della cittadina siciliana si sono alternati alcuni dei designer più vivaci e interessanti della scena contemporanea internazionale: Fernando Laposse, matteo Ghidoni, Leopold Banchini, Maio Architects, Francesco Faccin, Jorge Penadés, Piovene Fabi, Izaskun Chinchilla, Thomas Thwaites, Adam Broomberg. Ognuno di loro ha guidato un piccolo gruppo di 10-15 studenti, scegliendo un elemento-chiave di progetto in relazione alla città e al tema dell’accoglienza, comune a tutti i laboratori.
Ortigia insider’s guide, i consigli dei designer: Banchini, Cauderay, Faccin, Ghidoni e Laposse
L’acqua, le piante grasse, il cibo – e perfino i tubi Innocenti che puntellano antichi edifici abbandonati – sono le chiavi suggerite dai designer di “MADELabs” e “MADE Summer” per scoprire l’antico centro di Siracusa.
MADELabs 2019
MADELabs 2019
MADELAbs 2019
MADELabs 2019
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MADELabs 2019
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MADE Summer 2019
MADE Summer 2019
MADE Summer 2019
MADE Summer 2019
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MADE Summer 2019
MADE Summer 2019
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- Elena Sommariva
- 08 agosto 2019
- Siracusa
- Design summer school
Matteo Ghidoni: The Baths
Matteo Ghidoni, fondatore di Salottobuono, ha indagato la relazione – strettissima – tra Siracusa e l’acqua. Non quella del mare come è logico aspettarsi, ma l’acqua dolce che alimenta le fonti sotterranee: un mondo parallelo che si connette alla rete di acquedotti di epoca greca alimentato dalla falda freatica che alimenta anche il fiume Ciane sul lato opposto del porto. Ci sono l’antica Fonte Aretusa, la Fontana degli schiavi, gli Occhi di Zivillica, ma anche le concerie sotterranee e i bagni ebraici nel quartiere della Giudecca. “Se vai sottoterra, vedi l’acqua gocciolare dal soffitto”, spiega il progettista e fondatore della rivista Sanrocco. C’è perfino un bar ristorante, si chiama Il Vecchio Lavatoio, che custodisce antiche vasche d’acqua settecentesche. “Un mondo sottoterra, incredibile e folle”, prosegue Ghidoni che con i suoi studenti ha scelto di lavorare alla Graziella, un quartiere originariamente povero, una delle ultime zone non ancora invase dal turismo.
Fernando Laposse: A succulent voyage
“Fico d’india e agave sono state introdotte sull’isola nel XVI secolo dall’America centro-meridionale, dove era coltivata fin dai tempi degli Aztechi, grazie agli scambi commerciali o per amore dell’esotico. Trovato il loro habitat ideale alle pendici dell’Etna, queste piante succulente colonizzano il territorio e diventano le icone dell’intera regione, segnando con la loro presenza l’inizio dell’importanza di Siracusa e della Sicilia come porto e scalo commerciale”. Con queste considerazioni il designer messicano, ma da diversi anni stabile a Londra, vuole fare riflettere sui cambiamenti – a volte anche drastici – che il paesaggio ha sopportato attraverso la storia. “L’età moderna comincia con la scoperta dell’America”, prosegue, “e questo ha comportato un cambiamento enorme nel modo in cui mangiamo e viviamo, ma anche nella conformazione del paesaggio”. Cosa sarebbe l’Italia senza i pomodori o le zucchine? Ma cosa sarebbe il paesaggio di Siracusa, e della Sicilia, senza il fico d’india o l’agave?
Leopold Banchini, Pierre Cauderay: The Ear of Salvini
La prima idea di Leopold Banchini e Pierre Cuaderay per Siracusa è stata di costruire uno spazio con le proprie mani. “La seconda cosa”, spiegano, “era creare un’interazione sociale”. Un tema forte è il mare, che circonda la città e in particolare il centro storico di Ortigia. Non solo come presenza, ma anche in relazione al tema dell’integrazione. “Il mare è il confine da attraversare”, proseguono. “Per scoprire la città devi anche guardarla da una certa distanza, abbiamo cercato una nuova prospettiva, dal mare che la circonda”. Si è deciso di realizzare una piattaforma galleggiante e, dopo una serie di considerazioni – restare 24 ore, una notte intera –, si è deciso di organizzare una lunga cena in mezzo all’acqua. I partecipanti hanno progettato l’intera esperienza: il modo di vestirsi, gli inviti, il menu, l’argomento di conversazione. “Un altro elemento-chiave per capire Siracusa è stato il cibo: la Sicilia è stata per tantissimi anni una terra di scambi e influenze, molti degli ingredienti dei piatti più tipici della regione – il pistacchio e lo zafferano, per esempio – vengono da altrove”. A questi si aggiungono alcuni dei piatti più tipici, come l’arancino, per esempio, che ha origini arabe.
Francesco Faccin: Storie urbane
Francesco Faccin ha lavorato per tre giorni con un gruppo di ragazzi degli ultimi anni delle superiori. Insieme, hanno messo a punto una serie “di piccoli gesti di progetto per riappropriarsi, in modo anche provocatorio, degli spazi abbandonati presenti in città”, spiega. Guardando Ortigia per la prima volta, qualche anni fa, il suo occhio di progettista si è fermato su un corpo estraneo, eppure presente dappertutto: i tubi Innocenti che puntellano parti di edifici pericolanti e a volte offrono anche un po’ d’ombra. Sono un modo per leggere la storia e la trama del tessuto urbano: antico e stratificato. “Ce ne sono anche nel Castello Maniace”, prosegue Faccin, “sottolineano l’aspetto decadente di questi luoghi, abbandonati o sospesi in attesa di qualcosa; sembrano in qualche modo sostenere la città; e hanno una loro estetica che ormai fa parte del luogo. Per la maggior parte, infatti, sono lì da tanto tempo, anche 20-30 anni; erano un modo economico e veloce di mettere in sicurezza un edificio che poi è diventato permanente”.
Cosa suggeriscono a un designer? “I posti decadenti e disordinati mi rilassano, mi danno un senso di libertà progettuale che mi permette di essere anche più indisciplinato. Suggeriscono un modo di riappropriarsi di uno spazio che ha una sua estetica molto personale”.
Partendo dall’orecchio di Dionisio, ascoltando le voci del passato, gli studenti di Banchini e Cauderay hanno costruito una piattaforma galleggiante e hanno organizzato una lunga cena in mezzo all’acqua per parlare di migrazione.
“Si è deciso non per una cena festosa, ma per una cena impegnata con un argomento di conversazione serio. Martina, una ragazza di Siracusa, ha deciso di invitare Idris, un venditore ambulante originario del Senegal, lo conosceva già, ma era la prima volta che sedevano insieme a cena. La conversazione è stata molto intensa"– Leopold Banchini.
Ci sono stati diversi momenti di ascolto e concentrazione quando per esempio Idris ha raccontato la sua storia o quando la cooperante di una ONG ha spiegato la sua esperienza di lavoro in Italia, un momento semplice e formale allo stesso tempo.
I partecipanti hanno progettato l’intera esperienza: il modo di vestirsi, gli inviti, il menu, l’argomento di conversazione.
Abbiamo girato diversi negozi per recuperare i materiali. Sono stati usati pallet, fusti in plastica per la birra usa-e-getta, corde, legno e pittura.
La prima idea di Leopold Banchini e Pierre Cauderay per Siracusa è stata di costruire uno spazio con le proprie mani. “È un’esperienza molto importante per un architetto”, spiegano.
“Si trattava di costruire uno spazio e di discutere insieme cosa avremmo voluto che succedesse in quel luogo”. Un tema forte è stato il mare, che circonda la città e in particolare il centro storico di Ortigia.
Un altro elemento-chiave per capire Siracusa è stato il cibo: la Sicilia è stata per tantissimi anni una terra di scambi e influenze, molti degli ingredienti dei piatti più tipici della regione – il pistacchio e lo zafferano, per esempio – vengono da altrove.
“Il mare è il confine da attraversare”, spiegano Banchini e Cauderay. “Abbiamo proposto agli studenti di costruire qualcosa sul mare”. Si è deciso di realizzare una piattaforma galleggiante e, dopo una serie di considerazioni – restare 24 ore, una notte intera –, si è pensato di organizzare una lunga cena in mezzo all’acqua.
Matteo Ghidoni, fondatore di Salottobuono, ha indagato la relazione – strettissima – tra Siracusa e l’acqua, attraverso una serie di piccole installazioni pubbliche nel quartiere della Graziella. Partita come una doccia d’angolo, questa installazione ha finito per offrire un ombrello d’acqua, un angolo di fresco.
“Le installazioni che funzionano meglio sono quelle dove puoi immaginare, dopo una giornata di lavoro, di passare e sciacquarti di dosso la fatica. L’installazione suggerisce un rituale pubblico che supera il confine tra pubblico e privato”.
La Graziella era il quartiere dei pescatori perché è molto vicino al porto piccolo e oggi ha ancora diversi edifici malmessi o abbandonati. Il nostro approccio è stato identificare i luoghi, ripulirli e poi lavorare con l’acqua, giocando sulle sue funzioni primarie – igiene personale, approvvigionamento – e sulla sua presenza simbolica all’interno della città.
I punti d’acqua diventano punti di riferimento e l’espressione diretta e concreta del tema dell’accoglienza con una sovrapposizione di usi che si sono stratificati nella storia cambiando il volto della città.
“È stato importante mostrare che prendersi cura di un piccolo spazio mostrando che con poco si può migliorare la situazione e generare idee nuove”.
I partecipanti hanno progettato cinque bagni nel quartiere della Graziella, prendendo ispirazione dalle antiche fonti d'acqua situate nell'isola di Ortigia.
Matteo Ghidoni con gli studenti alla presentazione dei progetti del workshop
In questo workshop i partecipanti hanno lavorato con due piante, l’opuntia (o fico d’India) e l’agave. Entrambe sono piante introdotte dal Messico in Sicilia nel XVII secolo e sono diventate uno spettacolo così comune che molti italiani le considerano endemiche.
I partecipanti hanno appreso la storia e il motivo per cui queste piante grasse hanno compiuto questo viaggio transatlantico e hanno usato le tecniche mesoamericane tradizionali per produrre tessuti, coloranti, stucchi e persino cibo usando queste piante.
“In un’epoca in cui sembra che stiamo rivivendo un aumento delle ideologie nazionaliste che affermano di cercare di preservare la cultura tradizionale di una nazione demonizzando ciò che è considerato straniero, è estremamente importante ricordare che ciò che percepiamo come l’identità di un luogo, dalla sua cultura al suo paesaggio, è stato in costante flusso per secoli”, spiega Laposse.
“Per questo pezzo abbiamo usato l’agave che abbiamo raccolto e dopo averlo spappolato usando le spazzole e dopo averlo pulito, abbiamo prodotto delle fibre utilizzabili. Quindi, migliaia di singoli fili sono stati annodati usando una tecnica a gancio”. – Fernando Laposse
In questo workshop, i partecipanti hanno esplorato il potenziale delle fibre vegetali delle piante di agave, per creare una varietà di oggetti.
“Oltre a parlare della storia della migrazione e del commercio delle piante, ci siamo anche concentrati sul valore delle abilità artigianali e manuali. I prodotti sono una testimonianza del duro lavoro e della pazienza della comunità; un'impresa notevole in soli tre giorni! "– Fernando Laposse
Dopo un’analisi del tessuto urbano, condotta attraverso metodi e strategie che vedano il coinvolgimento degli abitanti della città, i partecipanti hanno realizzato una serie di arredi urbani “parassiti”, in grado di sfruttare elementi già presenti sul territorio, dando loro una nuova vita.
Una delle aree scelte per il workshop è stato il parcheggio Talete, una spianata di cemento affacciata sul mare, con 80 panchine, ma nessuna ombra.
Gli studenti hanno creato un segnaposto, simile a quello di Google maps, per indicare i luoghi panoramici del centro storico dove poszionarsi per un selfie.
Fili colorati tesi lungo i tubi Innocenti che puntellano gli edifici abbandonati della città. Un atto di riappropriazione dello spazio pubblico.
Le installazioni degli studenti, realizzate in tre giorni con pochi soldi e con materiali di riciclo e riclabili, di sono appropriate del linguaggio degli elementi già presenti al posto di rimuoverli.
Il cartello creato dagli studenti, simile a quello che indica la posizione su Google maps, segnala i punti panoramici ideali per un selfie.
Gli studenti hanno progettato una tenda per ombreggiare le panchine del parcheggio Talete.
Francesco Faccin (a destra) con due studenti. Il gruppo ha lavorato sugli arredi urbani di Ortigia, con piccoli gesti di progetto, cercando di riappropriarsi degli spazi abbandonati. I progetti saranno presentati alla municipalità.