Il disco che Brian Eno “disegnò” per gli aeroporti

Dalla scelta della cover al contesto in cui è nato, vi raccontiamo la storia di Ambient 1: Music For airports, l’album del 1978 che ha inventato un genere.

Brian Eno, al secolo Brian Peter George Eno, classe 1948, artista visivo, compositore, produttore britannico, genio indiscusso della musica contemporanea, ha rivoluzionato il panorama sonoro del XX secolo con la sua opera Ambient 1: Music For Airports, pubblicata nel 1978 dalla Polydor Records. Questo album non solo ha definito un genere, ovvero la musica ambient – così battezzato da Eno stesso –, ma ha riscritto l’approccio alla composizione musicale trasformando il suono in una questione di design.

 Noto per il suo contributo con i sintetizzatori ai Roxy Music e per le collaborazioni con artisti del calibro di David Bowie, Talking Heads e U2, negli anni Settanta Eno con Mfa ha varcato nuove frontiere sonore e concettuali, influenzando indelebilmente la storia della musica. Music For Airports sigla, infatti, la fine del concetto tradizionale di “ascolto” a favore della genesi di un nuovo modo di concepire la “colonna sonora”, non più di immagini, bensì di ambienti, elaborata per accompagnare gli spazi, inondarli di suoni e ridisegnarne il design emotivo.

Brian Eno. Foto Avro da Wikicommons

Portabilità e astrazione

Anni Settanta: il decennio che ha dato i natali al Boeing 747, rendendo più accessibile raggiungere mete lontane, alla Polaroid, vero e proprio studio fotografico portatile, al Post-it, che ha assecondato una sempre maggiore necessità di sistematizzare la schematizzazione mnemonica, nonché all’oggetto che ha cambiato il modo di ascoltare la musica permettendoci di esplorare il mondo tingendolo con la nostra personale colonna sonora: il walkman Sony. Non solo, è anche il decennio che individua nell’astrazione e nella codificazione cromatica le chiavi per interpretare le mappe delle metropolitane delle grandi città: nel 1972 Massimo Vignelli ridisegna il labirintico sistema di trasporti newyorkese scoperchiandolo ed eliminando l’”overground” per concentrarsi su un arcobaleno di linee punteggiate da nomenclature in Helvetica.

Nel 1977, l’anno del punk, dei Clash, di Never mind the bollocks dei Sex Pistols, di Rocket To Russia dei Ramones, di Trans Europa Express dei Kraftwerk ma anche l’anno delle grandi collaborazioni di Brian Eno con David Bowie (Low e Heroes), accade che l’attesa di un aereo all’aeroporto di Colonia si trasformi nel motore di un cambiamento epocale: durante quel tempo morto Eno si chiede infatti quale tipo di musica sia la più adatta per essere diffusa in una struttura come quella, in particolare tra le persone in procinto di volare e che quindi si trovano in uno stato d’animo d’apprensione. Inizia così a concepire e poi ad assemblare le tracce rilassanti e riflessive di Mfa, con il preciso scopo di utilizzarle negli aeroporti. Tracce in grado di indurre serenità con la loro placida dinamica, un piccolo catalogo di musica ambientale adatto a un’ampia varietà di umori e atmosfere. Più che “coprire” i rumori di un determinato ambiente, Eno immagina suoni che possano aumentare la risonanza emotiva dello spazio, prediligendo sonorità che favoriscano la calma e la riflessione.

Questo album non solo ha definito un genere, ovvero la musica ambient, ma ha riscritto l’approccio alla composizione musicale trasformando il suono in una questione di design.

Il disco fu poi effettivamente diffuso in diversi aeroporti, come il LaGuardia di New York, il Minneapolis-Saint Paul, il San Paolo-Guarulhos, a Stansted nel 1998 e a Düsseldorf nel 2011. Se un normale disco viene concepito per essere suonato in ambienti domestici, Mfa investe un ambito più ampio, dove le vite di più persone si intrecciano dinamicamente.

Note interne dell'album Ambient 1: Music for Airports di Brian Eno

Stilizzazione di un ambiente

Una porzione di mappa geografica? Una visione aerea di laghi, fiumi, foci, depressioni, alture, foreste? Un’immagine assemblata attraverso punti Ben Day – processo caro a Roy Lichtenstein – che attraverso la stampa e la fotoincisione producono aree di vari colori. Spazi verdi, linee azzurre, macchie bianche che definiscono paesaggi obliqui. Questo è quanto vediamo osservando la copertina di Mfa. Un’immagine che ci catapulta immediatamente in un ambiente in realtà non precisamente definibile, al contempo stilizzato e astratto, che ci anticipa il “sapore” di quanto andremo ad ascoltare. D’altronde, quando Eno realizzò Mfa stava cercando una musica funzionale che potesse “colorare l’aria” per adattarsi a determinati stati d’animo, l’equivalente sonoro di un sofisticato profumo per ambienti. La sua ricerca si contrapponeva a quella che allora era la forma dominante di musica ambientale, ovvero l'easy listening, la musica d’ascensore della Muzak, gli arrangiamenti orchestrali di successi pop in chiave leggera e derivativa.

L’astrattismo cartografico della copertina di Mfa evolve nei capitoli successivi della serie che Eno dedica alla musica ambient, ovvero Ambient 2: The Plateaux of Mirror (con Harold Budd), Ambient 3: Day of Radiance (con Laraaji) e Ambient 4: On Land. A pianure, alture e fiumi si sommano dapprima retinature rosse, per poi zoomare maggiormente rendendo la trama sempre più evidente e lasciando spazio a circoscritte aree bianche - nuvole o laghi? – e a sovrapposizioni di pattern puntinati.

Il suono: una questione di design

Mfa esce nel 1978 in formato cassetta e Lp. Quattro sono le tracce che lo costituiscono: 1/1, 2/1, 1/2 e 2/2, ovvero prima e seconda traccia della prima facciata e prima e seconda traccia della seconda facciata. Non ci sono testi, né canzoni. Ogni pezzo è organizzato in gruppi di suoni che si ripetono a intervalli irregolari. Loop di nastri e sovraincisioni di sintetizzatori. Le partiture, contenute nelle note di copertina, sono immagini disegnate dallo stesso Brian Eno. Non essendo in grado di leggere o scrivere spartiti, Eno utilizza simboli grafici per indicare ogni frase. Osservando attentamente si possono notare punti, linee dritte e curve, cerchi, scale, parallelepipedi, su ogni riga simboli distanziati in modo diverso a testimonianza della tecnica di registrazione utilizzata per realizzare l’album.

Analizzando il disco nell’insieme, risulta evidente come le note siano sospese in uno spazio non dissimile da quello di un quadro. Forme e colori giustapposti, senza una logica udibile che li colleghi, un design di relazioni sonocromatiche svincolate da uno sviluppo narrativo. In quanto “spartiti” di musica su nastro, le tracce che compongono Mfa si configurano come tessiture visive piuttosto che istruzioni per esecutori. Con questo disco Eno pare dirci che si può manipolare così tanto un suono registrato da farlo diventare plastico quasi come l’argilla nelle mani di uno scultore. In una tale visione il termine “ambient” viene quindi a designare una funzione variabile che la musica può svolgere, delineando atmosfere e sfumature, persino stati d’animo, interagendo con contesti acustici e sociali più ampi. La musica ambient non è concepita e progettata da Eno per assorbire completamente l'attenzione di chi la ascolta, rappresenta piuttosto una bizzarra prospettiva, un riposizionamento percettivo del Sé nello spazio. Una tinta sonora in grado di accogliere più livelli di attenzione senza imporne uno in particolare. Ignorabile e interessante allo stesso tempo, Mfa entra nella vita dell’ascoltatore in maniera obliqua, delicata ma inevitabilmente trasformativa.

Partiture grafiche di Ambient 1: Music for Airports di Brian Eno

Ascolto estetico e prismatico

L’impossibilità di intuire lo sviluppo melodico delle tracce che lo compongono, l’assenza di virtuosismi tecnici, il rilassante disorientamento a cui espone l’ascoltatore, suscitano interrogativi su come possa essere stata realizzata un’opera come Mfa, su come debba essere approcciata. Ed è proprio la tensione a questi quesiti che ci trasporta nel regno dell’arte concettuale. Così come lo fece la Fontana di Duchamp nel 1917.

Un’immagine assemblata attraverso punti Ben Day che attraverso la stampa e la fotoincisione producono aree di vari colori.

Mfa rappresenta una sorta di trattato teorico che configura il campo sonoro non tanto come opera musicale, quanto piuttosto come interazione dinamica e imprevedibile con il design di ogni spazio, fisico o mentale, con cui entra in contatto. Un’ecologia dell’ascolto espansiva in cui opera, artista, ascoltatore, le tecnologie utilizzate e gli ambienti entrano in risonanza. Con Mfa Eno persegue modalità sonore che richiedono da parte dei fruitori di porsi nei confronti dell’ascolto in maniera non tradizionale, di apprezzare le caratteristiche non-musicali del suono come “oggetto estetico”, amplificando in maniera prismatica la consapevolezza di differenti percezioni sensoriali.

La copertina di Ambient 3: Day of Radiance di Brian Eno

L’eredità di Music For Airports

Ambient 1: Music For Airports è considerato, a ragione, il manifesto del genere ambient. Eno stesso ha proseguito la serie con i già citati Ambient 2: The Plateaux of Mirror (con Harold Budd), Ambient 3: Day of Radiance (con Laraaji) e Ambient 4: On Land. Selected Ambient Works 85-92 di Aphex Twin, ma anche i Disintegration Loops di William Basinski – solo per citarne alcuni – rappresentano punti di riferimento imprescindibili di come il genere creato da Eno si sia espanso dopo la sua serie iniziale. Ma l’influenza di questo disco si estende ben oltre il mondo della musica ambient. Artisti di vari generi, dai compositori di musica elettronica ai produttori di musica pop, hanno citato Eno come fonte d’ispirazione. Inoltre, l’idea di utilizzare la musica per riconfigurare positivamente la fruizione degli spazi pubblici è stata adottata in plurimi contesti, dalle gallerie d’arte agli ospedali. Mfa non è, dunque, solo un album, ma un concetto rivoluzionario che ha cambiato il modo in cui pensiamo la musica e il suo ruolo nella nostra vita quotidiana. Con la sua visione Eno ha creato un’opera che si offre al pubblico del XXI secolo come un’oasi di calma in un mondo sempre più frenetico. Per il neofita di musica sperimentale e ambient che non sa da dove cominciare, non può esserci introduzione migliore.