Nel mese di Aprile di 123 anni fa nasceva Adriano Olivetti. Una vita breve la sua, interrotta improvvisamente (e misteriosamente) a meno di 60 anni, nel febbraio 1960. Di formazione ebraica (da parte di padre) e valdese (da parte di madre), e successivamente convertito al cattolicesimo, con la sua Olivetti Adriano, in poco meno di trent’anni, era riuscito a coniugare profitto aziendale e investimenti comunitari con una visione imprenditoriale illuminata che affondava radici nella filosofia, in particolare di autori come Emmanuel Mounier, Jacques Maritain e Simone Weil.
“Non ho mai visto una persona, in panni grigio verdi e con pistola alla cintola, più goffa e meno marziale di lui. Aveva un'aria molto malinconica, forse perché non gli piaceva niente fare il soldato; era timido e silenzioso, ma quando parlava, parlava allora a lungo e a voce bassissima, e diceva cose confuse ed oscure, fissando il vuoto con i piccoli occhi celesti, che erano insieme freddi e sognanti,” così Natalia Ginzburg descriveva il giovane Olivetti a cavallo del primo conflitto mondiale nel suo Lessico Famigliare.
Nel 1932, sotto la supervisione di Adriano, l’azienda fondata dal padre Camillo a Ivrea nel 1908 mette a punto la prima macchina da scrivere meccanica portatile della sua storia, la MP1 su progetto di Riccardo Levi e design di Aldo e Adriano Mangelli.
I tratti affusolati della scocca, specialmente nella sua colorazione rossa, sembrano anticipare la Olivetti che verrà, in modo particolare la sua storica Valentine del 1969 su design di Ettore Sottsass Jr. e Perry A. King. Alla morte di Adriano nel 1960, in effetti, la Olivetti presenta già i semi che la porteranno a fiorire all’insegna di quattro capisaldi: la funzionalità, l’innovazione, l’estetica e, da non dimenticare, le collaborazioni con creativi esterni all’azienda.
Il design democratico
Per assurdo, è proprio all’indomani della morte del suo demiurgo filosofico che la Olivetti per i successivi tre decenni arriverà a incarnare un unicum imprenditoriale su scala globale, un punto d’incontro armonioso tra innovazione tecnologica, progettuale e welfare.
Ma c’è di più. La stagione del miracolo economico mette Olivetti di fronte alla possibilità di attuare quella sua visione di design democratico che affonda le radici nell’Art & Crafts inglese e nell’etica calvinista, e che molteplici realtà imprenditoriali italiane (e non solo) da Brionvega a Braun proveranno a inseguire durante i Sessanta e Settanta.
Eppure, Olivetti ci riesce più di tutti, diventando un marchio totalizzante nei confronti della quotidianità, capace di estendere il proprio lavoro concettuale e progettuale sulle macchine da computazione in una più ampia questione di lifestyle. Uno stile di vita Olivetti che sapeva mantenere una sintesi squisita tra forma e funzione, tra la pragmaticità delle mansioni quotidiane e la ricerca – spesso pionieristica – sul design. Oggetti da usare, ma prima ancora da possedere, da vivere: degli status symbol accessibili. Perchè, sì, Olivetti era desiderabile, ambito, ma profondamente democratico, dal suo retroterra teorico fino al prodotto finito.
Una Valentine costava infatti, in base agli accessori, tra le Lire 100.000 e 150.000, circa un sesto-ottavo del prezzo di un'utilitaria FIAT di fine decennio, come la 850 che oscillava tra le 600.000 e le 800.000 mila lire. Un costo che, oggi, la renderebbe paragonabile a un Mac Apple, azienda spesso identificata come discepolo della visione di Olivetti.
Rigore irriverente
E poco importa se l’impiegato, la dattilografa, lo studente e la casalinga erano inconsapevoli che la loro macchina da scrivere era stata disegnata da Ettore Sottsass Jr. o che il loro fermacarte era un’intuizione del poeta Giorgio Soavi. Anzi, ciò non faceva che nobilitare ed elevare la missione di Olivetti. Il buon design come elemento necessario alla quotidianità, anzichè – come diremmo oggi – mera questione di hype e collaborazioni in edizione limitata per cui mettersi in coda all’alba fuori da un negozio o speculare in resell.
Basterebbe guardare alla campagna pubblicitaria per la Valentine, così Swinging e yè-yè, con un dinamica da fotoromanzo, da potersi confondere con quella di un marchio di vestiti o di un gruppo musicale. A vederla, oggi come ieri, verrebbe voglia di acquistare l’oggetto come pezzo di lifestyle, con quella sua custodia in plastica rossa e la maniglia a renderla una borsa di design, concettuale e provocatorio. Un’altra pubblicità, sempre per la Valentine, utilizza una serigrafia fucsia su carta argentata che ricorda gli esperimenti cromatici che negli stessi anni Mario Schifano impiega per l’artwork dell’album di culto Dedicato a… delle sue Stelle di Mario Schifano: un complesso psichedelico, per l’appunto.
“Forse tutta la grafica con la quale abbiamo annunciato la Valentine, non è perfetta: forse si scosta molto dalla antica, famosa, favolosa, classica impostazione della Olivetti, ma spero ci sarà perdonata la presunzione — che certo non è irriverenza — per aver tentato un’apertura verso i nuovi tempi e anche verso la nuova struttura dei programmi dell’industria che affronta ogni giorno responsabilità più vaste e società più coscienti,” spiegava Sottsass alla rivista Notizie Olivetti.
Dall’ufficio alle case: l’oggettistica e l’editoria Olivetti
Dopotutto, la storia della Olivetti è sempre stata distinta da una certa irriverenza nello spingersi oltre gli schemi dell’industria del tempo, pur senza compromettere il rigore piemontese e valdese delle radici.
Le macchine da scrivere e i calcolatori premio ADI ne hanno segnato la storia, ma c’è di più. Olivetti è un catalogo immenso e sorprendente di progetti che sanno guardare ben oltre la sola dimensione materiale, coinvolgendo molteplici aspetti della vita degli italiani, dalle famiglie dei dipendenti a tutta la nazione. Ci sono le borse, i vinili, dalle copertine moderniste e optical, con esercizi e ritmi per la dattilografia e, soprattutto, c’è la linea arredo ufficio Olivetti Synthesis. Una delle cifre Olivettiane, essa spazia da scrivanie e sedie a posaceneri, portamatite, portalettere e telefoni a firma, tra gli altri, di BBPR, Ettore Sottsass Jr., Alessandro Mendini, Bruno Munari e Giorgio Soavi. Quest’ultimo, poeta e scrittore, trova negli anni Cinquanta un mecenate in Adriano Olivetti, promotore di progetti editoriali ambiziosi e lungimiranti come testimonia il suo coinvolgimento nella fondazione di testate come L’Espresso e Casabella.
Nel 1946, sotto il simbolo olivettiano liberale e socialista della campana, nascono le Edizioni di Comunità, casa editrice tutt’ora esistente che a Seconda Guerra Mondiale ancora in corso già proiettava il servizio culturale come cardine per la rinascita economica dell’Italia. Con essa, arriva la rivista Comunità, che armonizza una spiccata attenzione nei confronti del progetto grafico a contributi dal taglio socio-politico, economico e culturale a cura, tra gli altri, di Carlo Argan, Alberto Moravia, Cesare Pavese, Norberto Bobbio. Analogamente, a Ivrea la diffusione della cultura passa organicamente per tutta la comunità dei dipendenti e delle loro famiglie, con il dopolavoro e la biblioteca aziendale, mentre il Centro Culturale Olivetti ospita conferenze di intellettuali (tra questi, per ben tre volte, Pier Paolo Pasolini) e gli uffici vengono impreziositi da opere d’arte.
Oltre la fabbrica: l’architettura Olivetti
Il concetto di comunità, cardine della filosofia olivettiana, non poteva che materializzarsi uscendo dalla sola dimensione della fabbrica e dell’ufficio. L’incontro con gli architetti Figini e Pollini negli anni ‘30, quando Adriano su pressioni della moglie Paola Levi si trasferisce a Milano, si rivela fondamentale ai fini di un’epifania filosofico-architettonica destinata a farsi tutt’uno con la sua visione imprenditoriale.
Olivetti, dunque, aggiorna ed espande i canoni di quell’imprendatorialismo paternalistico da villaggio operaio che nell’Europa dell’800 aveva già portato Manchester in Italia, con il Lanificio Rossi di Schio, Vicenza, ma anche con il Villaggio Leumann di Collegno, Torino.
Oggi patrimonio Unesco, le architetture sociali e civili Olivetti – dall’Unità Residenziale Ovest (meglio nota come Talponia) di Gabetti e Isola all’Unità Residenziale Est, conosciuto anche come l’ex hotel con piscina e cinema La Serra di Cappai e Mainardis – sono il fiore all’occhiello di una visione democratica del vivere il marchio che si estende oltre la sola oggettistica e lo spazio aziendale, senza l’ossessione capitalista per l’onnipresenza ed il monopolio della brandizzazione. Piuttosto, un servizio alla comunità.
L’eredità Olivetti
Oggi, girando per mercatini dell’usato e declinando la parola chiave ‘Olivetti’ su siti e app di compravendita online ci si imbatte in innumerevoli testimonianze del lascito progettuale Olivetti. Inebriati dal fascino retromaniaco dell’immagine coordinata aziendale, si vendono anche singole pubblicità ritagliate da riviste d’epoca a costi quasi sempre superiori ai numeri delle pubblicazioni stesse. Le macchine da scrivere diventano oggettistica per interni, anche se spesso con stucchevole nostalgia da arredatori Millennial di wine bar. I posaceneri e portamatite della linea Synthesis sono oggi ambiti per usi domestici, visionari come non mai, mentre le borse per macchine da scrivere e primi personal computer si prestano a essere continuamente reimmaginate nelle strade.
Qualunque sia il nostro modo di vivere e intendere l’oggettistica olivettiana che fu, questi lasciti domestici compongono un’archeologia socio-economica e progettuale italiana sedimentata nelle case delle famiglie di ex dipendenti e clienti. A riprova del fatto che Olivetti arrivò a totalizzare la nostra quotidianità, sempre con armonia e garbo come il Maestro Manzi o un quiz televisivo RAI, un ospite alla tavola domestica, mai un intruso.
Sembra ricordarcelo, per ultima, la linea di prodotti in occasione del mondiale Italia 90. Guardando indietro, il canto del cigno non solo dell’azienda di Ivrea che nel decennio alle porte avrebbe avviato il lungo e doloroso processo di frammentazione e smantellamento, ma anche dell’Italia tutta che con Mani Pulite si avviava alla capitolazione della Prima Repubblica, fautrice del miracolo economico a cui tanto Olivetti contribuì.
Immagine di apertura: Olivetti, Lettera 22, pubblicità. Da Olivetti. Storie da una collezione, di Polano S., Santero A., Ronzani Editore. Courtesy Olivetti