Solo vent’anni fa indossare un paio di cuffiette per strada non era la norma, ma una eccezione. Collegate a un walkman, un lettore cd portatile o un minidisc, usava gli auricolari chi correva al parco – ma il running non era esploso come lo sport popolare del nuovo millennio – e soprattutto chi ascoltava musica sui mezzi pubblici o sui treni, più raramente camminando per strada. Qualche coraggioso sperimentava l’auricolare bluetooth (singolo, d’ordinanza) collegato al Nokia. I cuffioni erano legati alle sottoculture urbane e comunque rarissimi. Usavano le cuffione, a casa o in studio, audiofili e professionisti della musica.
L’arrivo dell’iPhone e il boom degli smartphone ha cambiato tutto. Con un dispositivo per telefonare e ascoltare musica, guardare video e giocare sempre in tasca, isolarsi nella propria bolla, anche sonora, è diventata la normalità. Gli auricolari si sono moltiplicati: rigorosamente con il cavetto, quasi sempre attorcigliato, come un paradossale monito di vecchi problemi che accompagnava l’affermarsi della nuova tecnologia.
Apple presenta gli AirPods, i suoi auricolari senza fili, nel 2016. La stampa li sbeffeggia. Sbaglia: due anni dopo sono il dispositivo più venduto di Cupertino, desideratissimo e imitatissimo. Tutti i grandi marchi di tecnologia (e non solo loro) hanno a catalogo oggi degli auricolari wireless. Nel 2019 Tim Cook definisce gli AirPods “un fenomeno culturale”. Diventano la normalità.
Ma la normalità annoia. Soprattutto nel nostro mondo iper individualista, dove l’immagine unica e al tempo stesso imitabile che diamo di noi sui social media è un patrimonio su cui le Kim Kardashian e le Chiara Ferragni di tutto il mondo hanno costruito imperi. “Switch my hair, they gon’ copy her/ Switch my gear, they gon’ copy her/ Look at how they stare, just a copier”, per citare la rapper Nicki Minaj.
“Gli AirPods sono diventati troppo diffusi per essere cool”, scrive Rory Satran sul Wall Street Journal, in un articolo dal titolo che lascia pochi dubbi, Are AirPods Out? Why Cool Kids Are Wearing Wired Headphones, dove i cool kids in questione sono tra gli altri Bella Hadid, Lily-Rose Depp and Zoë Kravitz. Un profilo Instagram, @wireditgirls, celebra l’uso di cuffie e auricolari con il cavo, sull’onda dell’estetica Y2K che riporta l’inizio del millennio nel linguaggio di stile dei nostri giorni.
Al di là delle scelte estetiche di quell’1% che fa tendenza, la verità è che gli auricolari con il cavo sono ancora abbondantemente intorno a noi. Basta parlare con un po’ di persone, guardarsi intorno, per vedere quanto siano ancora usati. Quindi, dopo anni di auricolari wireless di ogni genere e marca, che sulla scrivania di un giornalista tech piovono come una stagione dei monsoni senza sosta, mi è sembrato sensato provare a tornare a quelli con il cavo, per capire pregi e difetti sul piano della funzionalità, a prescindere dal fattore fighezza del retrò – che comunque confermo: se ti vedono in giro con un bel paio di auricolari con il filo gli amici si incuriosiscono parecchio.
La scelta è caduta su un modello d’eccezione, i Sennheiser IE600, auricolari che hanno la particolarità di essere stampati 3D e poi rifiniti a mano utilizzando un metallo amorfo, lo zirconio. Un materiale estremamente resistente, che partecipa a un’estetica che si sgancia nettamente dal “solito” auricolare di plastica a cui siamo abituati. La qualità del suono, ovviamente, è garantita dal marchio Sennheiser e da un incredibile comparto tecnico miniaturizzato nel pochissimo spazio a disposizione.
Le Sennheiser IE600 sono dotate di cavo in Kevlar, dotato di un archetto morbido sulle due estremità; si appoggia alla parte superiore dell’orecchio, prendendone la forma. Questo modo di indossarle è una soluzione che diminuisce i rischi di “sgancio” delle cuffiette e garantisce il miglior risultato in ear, anche se lo troverà un po’ complesso chi non ci è abituato. Gli auricolari non sono dotati di un microfono. Come backup “da battaglia”, per questa prova abbiamo usato le 1More triple driver che, a una frazione del prezzo delle Sennheiser (intorno agli 80 euro), garantiscono un compromesso di qualità, sono dotate di microfono e si inseriscono velocemente nell’orecchio.
Ma alla prova pratica, com’è tornare alle cuffie con il cavo? In sintesi, così:
PRO
- Li puoi usare su qualsiasi device (al limite ti serve un adattatore) senza dovere fare complicatissime procedure di pairing bluetooth;
- Non si scarica mai la batteria;
- Puoi sfilare un auricolare se devi parlare con qualcuno, senza il problema di perderlo;
- Non hanno un ingombrante astuccio di ricarica da portare in tasca: occupano poco spazio (ok, Sennheiser ti fornisce un astuccio, ma sinceramente, chi lo userà davvero?);
- Non vivi nel terrore che qualcuno ti urti facendoti cadere gli AirPods e perdendoli nell’affollatissima metro del mattino;
- Esistono soluzioni di qualità per un prezzo accessibile;
- Sono dannatamente semplici e non hanno il filtro delle opzioni software.
CONTRO
- Il cavo non è la soluzione migliore quando c’è maltempo;
- Non integrano livelli e livelli di soluzioni tecnologiche che sono invece a bordo di quelli wireless, a partire dalla cancellazione del rumore (ma può essere anche un bene, l’ascolto è più semplice e pulito);
- Non ti puoi allontanare dal telefono e parlare;
- Molti smartphone oggi hanno una sola porta di ingresso, quindi devi scegliere se usarla per caricare o per gli auricolari (ma la carica wireless sul dorso un po’ ti salva);
- Si attorcigliano, non c’è niente da fare: alle volte è proprio frustrante.
Per chiudere, due aspetti importanti, non direttamente legati alla funzionalità del design, ma che dovremmo avere tutti in mente prima di comprare degli auricolari: la prima è che gli auricolari wireless contengono batterie. Ogni volta che ne compriamo un paio, stiamo aumentando l’e-waste del futuro. Dal punto di vista ecologico, non sono i dispositivi più “friendly” possibile, e dovremmo comprarli per usarli il più a lungo possibile – un po’ lo stesso discorso dei monopattini elettrici, insomma.
Poi c’è una questione audio: ci sono degli ottimi auricolari wireless, come delle ottime cuffie senza fili, e l’integrazione software ha sicuramente aperto nuove possibilità, sia di utilizzo (pensate alle opzioni trasparenza), sia sonore (l’audio spaziale è l’esempio più clamoroso). Ma facendo un giro dei siti per audiofili, scoprirete abbastanza velocemente che con il bluetooth qualcosa si perde sempre a livello di suono e l’Anc, ovvero la cancellazione del rumore, una parte dei suoni se la “mangia” proprio. Un compromesso che si può accettare in cambio di una maggiore funzionalità. Ma allora viene da chiedersi, davvero: gli auricolari wireless sono davvero più funzionali?