Una telefonata di lavoro al tavolino del bar, un podcast durante un viaggio in treno, l’ascolto in loop dell’ultimo disco di una pop star qualche minuto dopo che l’ha droppato. E poi “Ok Google, indicazioni per tornare a casa”. È sufficiente contare sommariamente quanti auricolari e cuffie vengono indossati per strada o sui mezzi pubblici, per rendersi conto di quanto l’audio sia centrale nelle nostre vite. O guardare le statistiche che raccontano di giovani ipovedenti disinteressati a imparare il Braille, perché se fino a qualche anno fa leggere era fondamentale, ora basta ascoltare. Continua a leggere sfogliando la gallery.
Quando il Walkman cambiò tutto
Se c’è un anno zero del nostro rapporto con l’audio, quello è il 1979. Sony lancia sul mercato il Walkman e si sgretola il legame biunivoco e obbligato tra luogo fisico e musica. Che fosse registrata o dal vivo, si ascoltava in teatro, nei palazzetti, per strada; oppure in soggiorno dove c’era l’impianto hi-fi, o in macchina dall’autoradio. Poi arriva il Walkman e la musica te la porti semplicemente addosso. Si parla tanto di dispositivi wearable, oggi. Quello di Sony, con le sue cuffiette spugnose che oggi ci sembrano terribilmente primitive, ne ha spianato la strada.
L’arrivo dell’iPod
Negli anni Ottanta e Novanta il Walkman si evolve. Diventa Discman – per i CD – e poi Sony prova il colpo MiniDisc. Basta cassette, la musica diventa digitale. Altri brand lanciano prodotti simili. Il punto di rottura arriva nel 2001, quando Steve Jobs lancia il dispositivo che cambierà la storia di Apple. L’iPod è come un Walkman, ma contiene fino a 10 giga di musica, fino a 2000 canzoni tra cui navigare tramite un display LCD e un’interfaccia disegnata intorno a una ruota cliccabile che diventa subito un’icona. La reference mai esplicitata da Jony Ive, che cura il design di tutti i prodotti Apple dal ritorno di Jobs a Cupertino nel 1997, è la radiolina T3 disegnata da Dieter Rams per Braun nel 1958. Il “lettore mp3” diventa il nuovo standard dell’audio personale. Grandi e piccoli brand si lanciano nel settore. Anche il Walkman di Sony alla fine rinasce come lettore di file digitali.
L’ubiquità degli AirPods
Nel giro di un ventennio le cose sono di nuovo cambiate. Portare con sé una memoria fisica è qualcosa che appartiene al passato. La memoria si è trasferita nel cloud, a cui accediamo dallo smartphone. Il design che riconosciamo come icona dell’audio personale non è più un dispositivo che “contiene” la musica com’era il Walkman, ma gli auricolari con cui ci connettiamo al telefono. Apple lancia gli AirPods nel 2016, in concomitanza con la presentazione dell’iPhone 7. Quelle cuffiette senza filo, che si protraggono dall’orecchio con un piccolo stelo bianco, inizialmente lasciano perplessi. La stampa non le capisce, il pubblico però sì. Diventano nel giro di poco popolarissime e imitatissime. Tanto che quel fattore di forma, con infinite variazioni, è ancora il riferimento di mercato, rielaborato da tanti giganti del tech e dell’audio – da Huawei a Oppo a Xiaomi, a tanti altri brand più piccoli e meno noti.
Il boom dell’audio
Gli AirPods e tutti i loro simili sono la filiazione diretta del Walkman, nonché senza troppi dubbi il dispositivo wearable più popolare sul pianeta. Rispetto alle cuffiette del Walkman, però, la loro funzione cambia. Perché non servono solo ad ascoltare la musica, o un corso di russo (sempre che Duolingo non l’abbia rimosso), ma consentono l’accesso a tutte le esperienze audio che uno smartphone abilita. Podcast, audioarticoli, chiamate, assistenti vocali. Uno smartphone è prima di tutto uno schermo colorato definito da una interfaccia anche piuttosto elementare. Ma è l’audio ad avere acquisito, negli ultimi anni, una importanza sempre maggiore, un utilizzo e un consumo senza precedenti, forse proprio a bilanciare l’eccesso visuale che i telefoni intelligenti hanno portato. C’è chi si isola per ore nella bolla acustica creata dagli AirPods e chi non li toglie mai, continuando a entrare e uscire da quella bolla, tra una telefonata, una conversazione al bar e l’ultima puntata di 99% Invisible.
Gli auricolari che non ti isolano
Ora è Sony di nuovo a cambiare le carte in tavola, come un cerchio che si chiude. I nuovi LinkBuds, lanciati a inizio 2022, sono un paio di auricolari come non se ne era mai visti prima, con un design “a ciambella”. Se gli AirPods coprono il condotto uditivo esterno, in qualche modo opacizzanod la nostra relazione con il mondo, i LinkBuds invece garantiscono una totale trasparenza se li si indossa spenti. Accendendoli si attivano le raffinate tecnologie di Sony in fatto di conduzione del suono e cancellazione del rumore. Certo, l’isolamento non è completo, e per esempio correre in bici indossandoli non è una esperienza d’ascolto sempre piacevolissima. Eppure sono perfetti per isolarsi quanto necessario e solo quando serve, o fare una chiamata e poi interagire con un collega senza la necessità di sfilarli. Forse sono anche l’assaggio di un futuro in cui dispositivi di questo genere saranno indossati in modo più o meno permanente, entrando in azione solo quando necessario. La possibilità di comandarli con gesti non sul dispositivo, ma direttamente sulle tempie – grazie alla conduzione ossea, con risultati un po’ da fantascienza – aumenta il fascino di un oggetto che sembra un po’ arrivare dal futuro.
Le cuffie a ricarica solare
E sempre da un probabile futuro sembrano arrivare le nuove cuffie Los Angeles di Urbanista, che si possono alimentare sia con un classico cavetto Usb-C, sia con ricarica solare, grazie ai pannelli disposti lungo tutto l’archetto. L’idea è che si ricarichino mentre si usa – sicuramente può funzionare a L.A., forse in altre parti del mondo sarà più difficile, resta comunque una ottima soluzione e la qualità audio di queste cuffie è davvero buona.
Un riproduttore per creare musica
Pare arrivare non dal futuro, ma da un presente parallelo invece il player Stem prodotto da Kano Computing e ideato da Ye – ovvero Kanye West. Ha un aspetto da disco volante, un rivestimento morbido e caldo del tutto inusuale su un oggetto di questo genere e arriva precaricato con gli ultimi album del rapper di Heartless: “Jesus is King”, “Donda” e l’inedito “Donda 2” – sì, fan di Kanye, lo potete ascoltare solo su Stem. I contenuti si gestiscono attraverso un collegamento Usb-C e il sito ufficiale. Si può caricare anche altra musica, ma non è detto che funzioni. Perché Stem non è un semplice riproduttore portatile, ma un invito a giocare con la musica. Grazie a una serie di controlli tattili si possono isolare per esempio la sezione ritmica o la voce di un singolo pezzo, applicare effetti, velocizzarlo o rallentare. Tutto questo semplicemente agendo sul dispositivo, con una serie di combinazioni di tasti che una volta memorizzate riescono anche discretamente naturali. I risultati si possono poi registrare e scaricare. In fondo anche l’hip hop è nato così, grazie a un approccio eterodosso al vinile. Kanye West invita tutti a un salto di concetto: il consumatore di musica è anche chi ne può produrre di nuova. Recuperando una dimensione tattile nell’interazione con l’audio che si è un po’ persa con le varie app da smartphone.
Uno schermo parlante
Una differenza sostanziale rispetto ai tempi del Walkman è che oggi i dispositivi audio siamo abituati a parlarci. E non solo quando usiamo la funzione telefono dello smartphone o inviamo un whatsapp. Quella con gli assistenti vocali è diventata una delle tante forme di interazione che abbiamo con le macchine che ci circondano. Non solo in macchina o in cuffia, ma anche a casa. E questa interazione si fa sempre più sofisticata. Quella con Alexa, lo smart assistant di Amazon, passa anche attraverso una declinazione visiva. La multinazionale di Bezos aveva lanciato già nel 2017 il primo Echo Show, ovvero uno speaker per Alexa dotato di schermo. Una intuizione che trova la sua formulazione più potente nel nuovo Echo Show, uno schermo intelligente da 15 pollici, pensato come una via di mezzo tra un futuristico hub familiare digitale e il caro, vecchio televisore che non poteva mancare in cucina. Lo schermo si personalizza tramite widget, facilita la gestione dei device smart di casa (anche le telecamere) e può essere usato per guardare l’ultima serie di Picard su Prime, un telegiornale o il video di una ricetta. Nonostante lo schermo touch, racchiuso in una cornice che forse poteva essere più sottile, gran parte dell’interazione passa comunque dalla voce.
La democratizzazione della soundbar
Gli assistenti vocali e il nuovo modo di vivere il rapporto con l’audio – che non è più solo musica, ma anche un podcast o una telefonata– hanno portato all’evoluzione delle soundbar. Un tempo, erano un vizio per audiofili che volevano godersi al meglio la loro collezione di film in blu-ray. Oggi diventa un hub audio da zona living, che magari potresti non collegare mai al TV. Ne è un esempio lampante la nuova Sonos Beam, una soundbar dalle dimensioni contenute, ma come da abitudine per l’azienda americana, con una resa audio eccellente – e la versione appena lanciata è anche compatibile con Dolby Atmos. È compatibile con gli assistenti vocali (Alexa e Google) e soprattutto fa parte del potente ecosistema Sonos, che permette di collegare più dispositivi audio in casa via wi-fi, oltre che di gestire da una unica app la libreria musicale e i vari servizi audio (radio, podcast e così via).
Se la musica vede la luce
Nonostante qualche tentativo di integrare funzioni audio in altri dispositivi, come negli occhiali – ci hanno provato tra gli altri Huawei, Bose e Razer, con risultati non sempre soddisfacenti – cuffie e cuffiette regnano comunque sovrane in fatto di audio wearable. Qualcosa di diverso invece lo si trova a casa. Una strana ma interessante tendenza, inaugurata da Ikea e Sonos con la abat-jour Symfonisk, è quella di accoppiare luce e suono. LSPX-S3 è l’arcano nome con cui Sony chiama uno dei dispositivi più affascinanti e “strambi” della sua produzione recente, o più semplicemente Glass Sound Speaker: una lampada più piccola di quel che si immaginerebbe dalle foto, dalle linee affusolate e snelle, disponibile in una sola colorazione neutra e metallica. I comandi sono ridotti al minimo, con un sensore touch per controllare l’intensità della luce e pochi pulsanti per gestire la riproduzione audio; quello per la connessione bluetooth si trova sul fondo. Elegantissima e minimale, è una splendida luce da scrivania con un’ottima resa sonora.
Quando il Walkman cambiò tutto
Se c’è un anno zero del nostro rapporto con l’audio, quello è il 1979. Sony lancia sul mercato il Walkman e si sgretola il legame biunivoco e obbligato tra luogo fisico e musica. Che fosse registrata o dal vivo, si ascoltava in teatro, nei palazzetti, per strada; oppure in soggiorno dove c’era l’impianto hi-fi, o in macchina dall’autoradio. Poi arriva il Walkman e la musica te la porti semplicemente addosso. Si parla tanto di dispositivi wearable, oggi. Quello di Sony, con le sue cuffiette spugnose che oggi ci sembrano terribilmente primitive, ne ha spianato la strada.
L’arrivo dell’iPod
Negli anni Ottanta e Novanta il Walkman si evolve. Diventa Discman – per i CD – e poi Sony prova il colpo MiniDisc. Basta cassette, la musica diventa digitale. Altri brand lanciano prodotti simili. Il punto di rottura arriva nel 2001, quando Steve Jobs lancia il dispositivo che cambierà la storia di Apple. L’iPod è come un Walkman, ma contiene fino a 10 giga di musica, fino a 2000 canzoni tra cui navigare tramite un display LCD e un’interfaccia disegnata intorno a una ruota cliccabile che diventa subito un’icona. La reference mai esplicitata da Jony Ive, che cura il design di tutti i prodotti Apple dal ritorno di Jobs a Cupertino nel 1997, è la radiolina T3 disegnata da Dieter Rams per Braun nel 1958. Il “lettore mp3” diventa il nuovo standard dell’audio personale. Grandi e piccoli brand si lanciano nel settore. Anche il Walkman di Sony alla fine rinasce come lettore di file digitali.
L’ubiquità degli AirPods
Nel giro di un ventennio le cose sono di nuovo cambiate. Portare con sé una memoria fisica è qualcosa che appartiene al passato. La memoria si è trasferita nel cloud, a cui accediamo dallo smartphone. Il design che riconosciamo come icona dell’audio personale non è più un dispositivo che “contiene” la musica com’era il Walkman, ma gli auricolari con cui ci connettiamo al telefono. Apple lancia gli AirPods nel 2016, in concomitanza con la presentazione dell’iPhone 7. Quelle cuffiette senza filo, che si protraggono dall’orecchio con un piccolo stelo bianco, inizialmente lasciano perplessi. La stampa non le capisce, il pubblico però sì. Diventano nel giro di poco popolarissime e imitatissime. Tanto che quel fattore di forma, con infinite variazioni, è ancora il riferimento di mercato, rielaborato da tanti giganti del tech e dell’audio – da Huawei a Oppo a Xiaomi, a tanti altri brand più piccoli e meno noti.
Il boom dell’audio
Gli AirPods e tutti i loro simili sono la filiazione diretta del Walkman, nonché senza troppi dubbi il dispositivo wearable più popolare sul pianeta. Rispetto alle cuffiette del Walkman, però, la loro funzione cambia. Perché non servono solo ad ascoltare la musica, o un corso di russo (sempre che Duolingo non l’abbia rimosso), ma consentono l’accesso a tutte le esperienze audio che uno smartphone abilita. Podcast, audioarticoli, chiamate, assistenti vocali. Uno smartphone è prima di tutto uno schermo colorato definito da una interfaccia anche piuttosto elementare. Ma è l’audio ad avere acquisito, negli ultimi anni, una importanza sempre maggiore, un utilizzo e un consumo senza precedenti, forse proprio a bilanciare l’eccesso visuale che i telefoni intelligenti hanno portato. C’è chi si isola per ore nella bolla acustica creata dagli AirPods e chi non li toglie mai, continuando a entrare e uscire da quella bolla, tra una telefonata, una conversazione al bar e l’ultima puntata di 99% Invisible.
Gli auricolari che non ti isolano
Ora è Sony di nuovo a cambiare le carte in tavola, come un cerchio che si chiude. I nuovi LinkBuds, lanciati a inizio 2022, sono un paio di auricolari come non se ne era mai visti prima, con un design “a ciambella”. Se gli AirPods coprono il condotto uditivo esterno, in qualche modo opacizzanod la nostra relazione con il mondo, i LinkBuds invece garantiscono una totale trasparenza se li si indossa spenti. Accendendoli si attivano le raffinate tecnologie di Sony in fatto di conduzione del suono e cancellazione del rumore. Certo, l’isolamento non è completo, e per esempio correre in bici indossandoli non è una esperienza d’ascolto sempre piacevolissima. Eppure sono perfetti per isolarsi quanto necessario e solo quando serve, o fare una chiamata e poi interagire con un collega senza la necessità di sfilarli. Forse sono anche l’assaggio di un futuro in cui dispositivi di questo genere saranno indossati in modo più o meno permanente, entrando in azione solo quando necessario. La possibilità di comandarli con gesti non sul dispositivo, ma direttamente sulle tempie – grazie alla conduzione ossea, con risultati un po’ da fantascienza – aumenta il fascino di un oggetto che sembra un po’ arrivare dal futuro.
Le cuffie a ricarica solare
E sempre da un probabile futuro sembrano arrivare le nuove cuffie Los Angeles di Urbanista, che si possono alimentare sia con un classico cavetto Usb-C, sia con ricarica solare, grazie ai pannelli disposti lungo tutto l’archetto. L’idea è che si ricarichino mentre si usa – sicuramente può funzionare a L.A., forse in altre parti del mondo sarà più difficile, resta comunque una ottima soluzione e la qualità audio di queste cuffie è davvero buona.
Un riproduttore per creare musica
Pare arrivare non dal futuro, ma da un presente parallelo invece il player Stem prodotto da Kano Computing e ideato da Ye – ovvero Kanye West. Ha un aspetto da disco volante, un rivestimento morbido e caldo del tutto inusuale su un oggetto di questo genere e arriva precaricato con gli ultimi album del rapper di Heartless: “Jesus is King”, “Donda” e l’inedito “Donda 2” – sì, fan di Kanye, lo potete ascoltare solo su Stem. I contenuti si gestiscono attraverso un collegamento Usb-C e il sito ufficiale. Si può caricare anche altra musica, ma non è detto che funzioni. Perché Stem non è un semplice riproduttore portatile, ma un invito a giocare con la musica. Grazie a una serie di controlli tattili si possono isolare per esempio la sezione ritmica o la voce di un singolo pezzo, applicare effetti, velocizzarlo o rallentare. Tutto questo semplicemente agendo sul dispositivo, con una serie di combinazioni di tasti che una volta memorizzate riescono anche discretamente naturali. I risultati si possono poi registrare e scaricare. In fondo anche l’hip hop è nato così, grazie a un approccio eterodosso al vinile. Kanye West invita tutti a un salto di concetto: il consumatore di musica è anche chi ne può produrre di nuova. Recuperando una dimensione tattile nell’interazione con l’audio che si è un po’ persa con le varie app da smartphone.
Uno schermo parlante
Una differenza sostanziale rispetto ai tempi del Walkman è che oggi i dispositivi audio siamo abituati a parlarci. E non solo quando usiamo la funzione telefono dello smartphone o inviamo un whatsapp. Quella con gli assistenti vocali è diventata una delle tante forme di interazione che abbiamo con le macchine che ci circondano. Non solo in macchina o in cuffia, ma anche a casa. E questa interazione si fa sempre più sofisticata. Quella con Alexa, lo smart assistant di Amazon, passa anche attraverso una declinazione visiva. La multinazionale di Bezos aveva lanciato già nel 2017 il primo Echo Show, ovvero uno speaker per Alexa dotato di schermo. Una intuizione che trova la sua formulazione più potente nel nuovo Echo Show, uno schermo intelligente da 15 pollici, pensato come una via di mezzo tra un futuristico hub familiare digitale e il caro, vecchio televisore che non poteva mancare in cucina. Lo schermo si personalizza tramite widget, facilita la gestione dei device smart di casa (anche le telecamere) e può essere usato per guardare l’ultima serie di Picard su Prime, un telegiornale o il video di una ricetta. Nonostante lo schermo touch, racchiuso in una cornice che forse poteva essere più sottile, gran parte dell’interazione passa comunque dalla voce.
La democratizzazione della soundbar
Gli assistenti vocali e il nuovo modo di vivere il rapporto con l’audio – che non è più solo musica, ma anche un podcast o una telefonata– hanno portato all’evoluzione delle soundbar. Un tempo, erano un vizio per audiofili che volevano godersi al meglio la loro collezione di film in blu-ray. Oggi diventa un hub audio da zona living, che magari potresti non collegare mai al TV. Ne è un esempio lampante la nuova Sonos Beam, una soundbar dalle dimensioni contenute, ma come da abitudine per l’azienda americana, con una resa audio eccellente – e la versione appena lanciata è anche compatibile con Dolby Atmos. È compatibile con gli assistenti vocali (Alexa e Google) e soprattutto fa parte del potente ecosistema Sonos, che permette di collegare più dispositivi audio in casa via wi-fi, oltre che di gestire da una unica app la libreria musicale e i vari servizi audio (radio, podcast e così via).
Se la musica vede la luce
Nonostante qualche tentativo di integrare funzioni audio in altri dispositivi, come negli occhiali – ci hanno provato tra gli altri Huawei, Bose e Razer, con risultati non sempre soddisfacenti – cuffie e cuffiette regnano comunque sovrane in fatto di audio wearable. Qualcosa di diverso invece lo si trova a casa. Una strana ma interessante tendenza, inaugurata da Ikea e Sonos con la abat-jour Symfonisk, è quella di accoppiare luce e suono. LSPX-S3 è l’arcano nome con cui Sony chiama uno dei dispositivi più affascinanti e “strambi” della sua produzione recente, o più semplicemente Glass Sound Speaker: una lampada più piccola di quel che si immaginerebbe dalle foto, dalle linee affusolate e snelle, disponibile in una sola colorazione neutra e metallica. I comandi sono ridotti al minimo, con un sensore touch per controllare l’intensità della luce e pochi pulsanti per gestire la riproduzione audio; quello per la connessione bluetooth si trova sul fondo. Elegantissima e minimale, è una splendida luce da scrivania con un’ottima resa sonora.
Immagine in apertura: Sony LSPX-S3. Courtesy Sony