Per la nuova era spaziale è stato studiato un outfit adeguato. Allineato ai tempi e all’estetica contemporanea. Lontano anni luce dagli scafandri degli anni Settanta e Ottanta o dalle tute arancioni degli equipaggi della straordinaria epopea dello Space Shuttle (anch’essa non priva di sacrifici) che oggi darebbero davvero troppo l’idea di un laboratorio biochimico. Il 27 maggio il 53enne Doug Hurley e il 49enne Bob Behnken, due astronauti statunitensi che vengono proprio dall’era dello Shuttle, partiranno per la Stazione spaziale internazionale a bordo di Crew Dragon. Una nuova capsula sviluppata dalla SpaceX di Elon Musk, spinta da un razzo Falcon 9 della stessa azienda. Inaugurando così l’era dell’esplorazione spaziale pubblico-privata, restituendo autonomia agli Stati Uniti – che dopo 11 anni torneranno in orbita dal suolo nazionale senza pagare ricchi passaggi sulle Soyuz russe – e segnando un salto importante anche per la stessa creatura del vulcanico imprenditore di Tesla.
Lo faranno dalla storica piattaforma 39a del Kennedy Space Center a Cape Canaveral, Florida, alle 4:33 p.m. US Eastern Time, vale a dire le 22:33 italiane. E saranno avvolti e protetti da un nuovo tipo di tuta spaziale. L’equipaggio di Demo-2, così si chiama la missione, non saranno incastrati in un sarcofago arancione tipo quello delle vecchie Aces (Advanced Crew Escape Suit) che ne aumentavano i volumi e rendevano i movimenti a dir poco complessi ma da un’affascinante tuta targata anch’essa SpaceX. Design unibody, come si direbbe di un laptop, bianche con fregi grigi, loghi statunitense, della Nasa e dell’azienda sviluppatrice, tagli aderenti e con un casco assai meno ingombrante e dalle linee cinematografiche. C’è da immaginare che l’incontro a bordo della Iss con l’equipaggio della Spedizione 63 – con cui la coppia rimarrà almeno un mese – segnerà, anche dal punto di vista plastico, un autentico avvicendamento di epoche.
“Questa tuta è significativamente diversa da quelle che indossavamo sullo Shuttle” ha spiegato lo scorso primo maggio Hurley che partecipo ai voli Sts-129 ed Sts-135. I controlli prevolo sono stati e saranno fino all’ultimo momento gli stessi delle precedenti tenute, per esempio delle Sokol usate dai russi. Non solo: le tenute – che Musk spoilera già da tempo, ispirate anche all’immaginario di videogame come “Halo” ma che non sfigurerebbero al solito concerto dei Daft Punk – in realtà sono già state nello spazio. La prima ricopriva il manichino alla guida della Tesla Roadster sparata nello Spazio da un razzo Falcon nel 2018 in una clamorosa operazione di marketing globale, un’altra è stata usata su un ulteriore manichino: Ripley, spedito in orbita con la missione Demo-1 lo scorso anno.
Si diceva che le tute sembrano uscite da un film. Ed è in effetti quella la sua origine. D’altronde a disegnarle ci ha pensato un nome come Jose Fernandez, scultore e costumista ben noto a Hollywood per i suoi lavori in blockbuster come “Wonder Woman”, “Wolverine”, “Man in Black”, “Batman vs. Superman”, “Alien III” e “Captain America: Civil War” fra i tanti. Il suo esordio è datato 1989 con una pellicola storica: “Gremlins”. Non ci si poteva aspettare nulla di meno, da una mano come quella. E forse perfino qualcosa di più. Secondo Behnken, la tuta – proprio come quella arancione degli Shuttle – diventerà un elemento iconico di questa nuova stagione di lanci (è già in programma un altro volo, battezzato Crew-1).
Alcuni elementi della tuta – ciascuna delle due è stata realizzata su misura – sono riservati, SpaceX ha preferito non divulgarli, salvo enfatizzare come la tenuta sia stata progettata per agire in simbiosi con i grandi pannelli dei computer che gli astronauti useranno per monitorare i diversi sistemi di Crew Dragon e dirigersi verso la Iss. “La tuta è funzionale, leggera e offre protezione da una potenziale depressurizzazione” ha aggiunto la Nasa, in quest’ultimo caso simile a quanto offriva la Aces.
Essenziale anche la logica dei sistemi di sopravvivenza: attraverso un unico attacco passano i sistemi di supporto respiratorio e quelli di comunicazione. Mentre il casco è realizzato anch’esso su misura attraverso la stampa 3D e integra valvole, meccanismi per il sollevamento del visore e la sua chiusura ermetica e i microfoni. La nuova tuta, così avveniristica, non potrà però essere usata per eventuali passeggiate spaziali in programma nel futuro: nell’immediato gli astronauti dovranno continuare a usare le famose Emu, le Extravehicular Mobility Unit che anch’esse risalgono all’era dello Shuttle, definitivamente conclusasi nel 2011, progettate per resistere 8-10 ore alle radiazioni spaziali.
Non saranno le ultime tute che vedremo nei prossimi anni: la Nasa è ovviamente al lavoro per realizzarne di nuove, pensate appositamente per la missione Artemide che nei piani dovrà riportare l’uomo, anzi la prima donna, sulla Luna. Verranno testate a bordo della Iss nel giro di tre anni. Sicuramente saranno però le più belle da un pezzo.
Immagine di apertura: foto credits NASA.