Tra gli ultimi lavori dei P+R+V, studio romano di architettura di interni, ideatore di concept legati al mondo della moda e del food, ce ne è uno nel cuore di Roma, e precisamente nel quartiere ebraico, a due passi dalla Sinagoga o Tempio come la chiamano gli abitanti del luogo, che rappresenta un’interessante tappa nel percorso progettuale del team.
La storia è questa: nel 2008, allo studio fu affidata la progettazione di un piccolo locale in Via Santa Maria del Pianto, il Kosher Bistrot. Oggi, a distanza di 10 anni, i proprietari hanno deciso di trasformare il vecchio bistrot in un nuovo locale, Pollaria Kosher Food Coffee & Wine, richiamando come interior designer proprio i P+R+V.
Abbiamo incontrato uno dei partner dello studio per farci raccontare cosa vuol dire doversi confrontare con un proprio progetto dopo tanti anni.
Marco Valenti: Chiedere ad un architetto di rimettere mano a un proprio progetto dopo 10 anni, nello stesso luogo e per gli stessi committenti, è un po’ come chiedere ad un regista di girare il remake di un suo film. Magari uno dei suoi preferiti, che ha riguardato più volte con attenzione nel corso del tempo. Ecco, quando ci è stato proposto di ripensare lo spazio del Kosher Bistrot, un locale nei pressi del Portico di Ottavia, che non solo abbiamo progettato ma anche frequentato, abbiamo pensato che se si fosse trattato di un film avremmo dovuto concentrarci sulla sceneggiatura, cioè sulle parole. Avremmo dovuto provare a raccontare la stessa storia usando un linguaggio diverso. E forse considerare gli arredi al pari di attori sulla scena. Abbiamo immaginato che probabilmente alcuni li avremmo tenuti, considerando quasi un plus i segni del tempo, mentre ne avremmo sicuramente sostituiti altri: quelli non più funzionali alla nuova sceneggiatura, o incapaci di reggere il confronto con le mutazioni del contesto.
L’antico Ghetto di Roma si è trasformato sempre più in uno sfaccettato polo gastronomico, grazie alla crescente attrattiva della tradizione culinaria ebraica
E ha funzionato come riferimento? Voglio dire, è da qui che è scaturita l’idea del progetto?
Inseguendo le analogie con il mondo del cinema, è stata proprio la riflessione sul contesto in cui si trova il locale a farci riflettere su quanto, in dieci anni, fossero cambiati i presupposti del progetto precedente. L’antico Ghetto di Roma si è trasformato sempre più in uno sfaccettato polo gastronomico, grazie alla crescente attrattiva della tradizione culinaria ebraica. Un processo che ha reinterpretato la cucina giudaico romanesca, accostando alle storiche celebri trattorie, recenti realtà che strizzano l’occhio a nuove istanze del food, spaziando dal pasto veloce, da consumare quasi in piedi, fino al take away. E ci è venuta un po’ di nostalgia per quelle atmosfere rilassate, non così lontane cronologicamente, il cui ricordo è sempre più sfocato dalla rapidità con cui cambiano i luoghi storici delle nostre città. E così abbiamo deciso di trasformare il Kosher Bistrot nel manifesto di una piccola osteria contemporanea, che senza volere minimamente essere vintage, potesse in qualche modo evocare l’ospitalità informale, quasi domestica, dei vecchi ristoranti locali. E se a uno sceneggiatore è concesso usare le parole per dare nuovo senso alla stessa trama noi abbiamo usato al loro posto materiali (tanti) e colori (tantissimi), per raccontare da un altro punto di vista una storia d’accoglienza tutta romana. Fatta di tradizione e slanci innovativi.
Ci racconti se ti va la storia delle scelte linguistiche, quelle che hanno determinato la forma del progetto?
L’uso del wall covering effetto marmo fa riferimento alle tradizioni del luogo. O meglio alle tradizioni dei proprietari del locale, la cui famiglia deteneva, pochi portoni più avanti e fino a pochi anni fa, la più antica macelleria kosher del Ghetto, caratterizzata dall’imponente bancone rivestito in lastre di Carrara. Marmo, ma stavolta Verde Alpi , è stato invece utilizzato per i piani dei tavoli, sorretti da una elementare struttura su ruote in ferro laccato avorio. Hanno preso il posto dei precedenti desk perimetrali, occupando lo spazio centrale, addossati alla fascia di rivestimento in piastrelle di ceramica posta a salvaguardia delle pareti. Come si faceva un tempo, anteponendo la funzione di protezione a tutto.
Sono abbinati a semplicissimi sgabelli, che riproducono, come un abaco, la palette cromatica di progetto, caratterizzata da toni neutri come il sabbia e il crema, e tinte cariche di personalità come il Full Ocean (colore dominante del locale), o il caldo Mild Plum.
Il bancone, vero protagonista del locale anche nella versione precedente, conserva il suo ruolo primario aggiornando la propria immagine attraverso un rivestimento di listelli in legno smaltato che rievoca i banconi di tanti locali romani, oggi scomparsi o radicalmente trasformati. E’ completato da una panca che ne trasforma l’immagine da banco di servizio a strumento di accoglienza.
Per l’illuminazione, volutamente bassa e calda, è stata scelta una sequenza seriale di sospensioni monocromatiche che scandiscono verticalmente lo spazio popolandolo di effetti grafici fatti di linee e cerchi. Il dehors, vero pezzo forte del locale, e non certo per merito del progetto, è affacciato verso il Portico di Ottavia e inquadra uno degli scorci più magici di Roma. Abbiamo pensato che non avesse bisogno di alcun elemento di “disturbo” ma soltanto di tavoli e sedie pieghevoli da osteria. Magari solo un po’ più colorati.
- Progetto:
- Pollaria Kosher Food Coffee & Wine
- Architettura:
- P+R+V
- Spazio:
- 50 mq
- Luogo:
- Roma
- Completamento:
- 2018