Una biografia critica della "casella di social mail" di BERG
Little Printer è un prodotto di oggi. Un oggetto tangibile, ma anche un prodotto, ovvero una conseguenza, della cultura contemporanea. Esemplifica, in modo amichevole e accessibile, il processo di amalgama grazie al quale fisico e digitale diventano uno, creando oggetti ibridi. Mostra come questi due aspetti possano legarsi in una rete di connessioni, ma anche come potrebbero presto comportarsi molti prodotti domestici. Parla, infine, di un aspetto del processo del design contemporaneo, ed è proprio su questo che ci concentreremo. Forse a causa del suo innato talento nel rendere manifesta la promessa di ibridi digitali/fisici in maniera così naturale, Little Printer è già stata ampiamente oggetto di studio. Tuttavia, l'iter progettuale e la cultura da cui emerge sono forse meno noti. Tanto che, in realtà, questo potrebbe essere l'aspetto più interessante della vicenda. Senza dubbio, Little Printer se ne andrà così com'è arrivata e, in quanto premessa odierna ai prodotti di domani, verrà sostituita da una o da numerose tra le possibilità correlate che suggerisce. Ma questa è la natura del settore. Indubbiamente un prodotto dei nostri tempi, Little Printer è anche il risultato di oltre cinque anni di ricerca e sviluppo, una flebile linea che unisce il blocco per gli schizzi con il reparto produzione, il college con la startup, Hackney con Shenzhen. Domus ha parlato con Jack Schulze, uno dei responsabili di BERG, l'azienda londinese che la produce, nel tentativo di far luce tanto sul prodotto quanto sul processo di progetto.
Blocchi per schizzi, annotazioni
Se proprio vogliamo cercare un luogo di nascita per Little Printer, dobbiamo guardare ai blocchi per schizzi di Schulze e al post di Matt Webb My printer, my social letterbox ("La mia stampante, la mia casella di social mail", 6 ottobre 2006): i primi risalgono ai giorni in cui Schulze studiava al Royal College of Art , dove si è reinventato come product designer piuttosto che come grafico (in precedenza aveva studiato al Central Saint Martins College of Art and Design). Tale armonica transizione dal piano grafico a quello del prodotto si rivela immediatamente istruttiva, e ci parla anche della situazione odierna. Un'idea come quella di Little Printer nasce infatti da ambizioni legate al mondo dei prodotti e delle esperienze fisiche, ma anche da uno sfondo formato dallo schermo del computer, un retroterra narrativo e grafico. Pensando al 2013, questa è una posizione perfettamente naturale, ma rappresenta ancora una sfida per molte istituzioni—si tratti di scuole o di media—, strutture orientate a una particolare disciplina, che potrebbero ostacolare progetti di questo tipo così come talvolta invece li agevolano. Mentre la grafica e l'impaginazione sono forme di design fondate su sistemi consolidati, su una particolare tendenza, pochi graphic designer sono incoraggiati a spostarsi facilmente dall'impaginazione a un design industriale basato su procedure di codifica.
Mentre parliamo con Schulze guardando questi vecchi schizzi, ci accorgiamo che i suoi punti di riferimento—forse per effetto della fluidità di influenze—tendono a essere basati su formati narrativi consueti, piuttosto che su oggetti. Questo, se non altro, potrebbe essere un principio organizzativo cardine nel lavoro di BERG. Se Matt Webb dice che "qualsiasi cosa viene trasformata dalla Rete", un'altra traiettoria—che forse corre parallela o forse rappresenta l'altro lato della stessa medaglia—è rappresentata dall'attenzione alla narrativa, al comportamento, che identifica un carattere nella tecnologia. Ciò avviene in parte attraverso la Rete, ambito nel quale i rapporti sociali e culturali sono ora presenti, tangibili e malleabili, inseriti e incorporati in prodotti che rappresentano un ibrido di fisico e digitale; ma avviene anche attraverso la constatazione di come il design possa immettere significato in relazioni altrimenti utilitaristiche e operative tra cose e persone, oltre la semplice personificazione—le ciglia di una Citroën, i cavatappi di Mendini. Senza voler esagerare, si tratta probabilmente di qualcosa che si avvicina a un senso di animismo in oggetti e fenomeni. Più semplicemente, è possibile articolare la differenza in termini di carattere tra un fax e un modem, un vecchio telefono a muro e uno smartphone, una macchina per scrivere e un touchscreen? Altrettanto significativo, comunque, è che non si possa negare l'influenza dei fumetti e della fantascienza sui prodotti BERG: in particolare, quella forma tipicamente britannica di sci-fi comune a prodotti come 2000 AD, The Hitchhiker's Guide to the Galaxy, Watchmen e via discorrendo.
L'idea di un carattere e di una narrativa associati a tecnologie collegate in rete può essere rintracciata in quello che è chiaramente il precursore di Little Printer, il prototipo Availabot, prodotto dalla BERG nel 2006 e presentato inizialmente da Schulze nella mostra conclusiva del suo master al RCA. Semplice variazione sul tema del giocattolo, Availabot è un personaggio dotato di caratteristiche fisiche, di una fisionomia che rimanda a un amico del suo autore (nel prototipo della BERG si tratta di Matt Jones). Availabot scatta in piedi quando tale persona diventa disponibile in app di messaggistica istantanea, e si ripiega nella condizione opposta. Per quanto semplice, si tratta tuttavia di un'evocazione del carattere della tecnologia di messaggistica istantanea, e della sua interfaccia fisica, ossia quel peculiare, binario rimbalzare tra "vita" e "morte", animato o inerte, con cui iChat, AOL e simili avvolgono i rapporti sociali condotti via cavo.
Eppure, in termini di precise influenze culturali, Schulze è molto chiaro: "Pixar, Apple, Lego, Marvel"—per inciso, nessuna di queste aziende è inglese. Tuttavia, almeno tre di esse (Apple, Lego, Marvel) usano un formato narrativo, mentre la prima, Pixar, è una società che—con livelli di successo variabili, va sottolineato—forse esemplifica al meglio il tentativo di un'azienda convenzionale di hardware e software di mostrarsi personale, accessibile: il computer per noi profani. Perciò, quei primi bozzetti, così curati, a volte sembrano tanto SpongeBob SquarePants quanto Naoto Fukasawa (due esempi che non ho mai associato prima, devo ammettere): bellissimi, strani meccanismi, tracciati in parte sotto l'influenza dell'insegnamento al Royal College of Art di Durrell Bishop, designer ex-Apple e IDEO (in particolare, sottolinea Schulze, il riferimento è a prototipi come la Marble Answering Machine). In uno dei primissimi schizzi, una piccola stampante collocata vicino a un computer portatile è ribattezzata Social Printer. Seguono pagine e pagine di stampanti che hanno caratteristiche o persino difetti umani (la carta penzola, si attorciglia e finisce sbrindellata sul pavimento piuttosto che produrre pile ordinate o rimanere semplicemente bianca). Alcune tra queste diventano personaggi un po' tracagnotti, quasi dei Teletubbies, caratteri in stile Miyazaki, molto più simili a un giocattolo di quanto non lo sia la versione definitiva.
A BERG, con chiunque parli è più facile finire per discutere di Jerry Bruckheimer che di Josef Müller-Brockmann, di Grant Morrison più che di Jasper Morrison, di Mola Ram più che di Dieter Rams. Non che non conoscano i secondi, tutt'altro. In quanto azienda post-internet, che comunica il proprio lavoro mentre è ancora in fase di sviluppo, assieme al pensiero su cui è basato, BERG rende manifesta a tutti la gamma dei propri riferimenti.
Little Printer fa interamente affidamento sul fatto che internet rende facilmente disponibili informa-zioni in precedenza inaccessibili.
Chiacchierando del meteo
A BERG usano anche un'espressione particolare per le caratteristiche di una determinata tecnologia, per parlare di come si lavora con il suo potenziale e con i suoi limiti. "C'interessa quest'idea del 'tempo', delle limitazioni inerenti a una certa cosa. È possibile che gli oggetti abbiano una loro meteorologia, così come accade per i luoghi, e di solito devi lavorarci. Se ti occupi di codici, sei costretto a lavorare con il 'meteo' del server Amazon S3. Cerchi di andarci d'accordo, di lavorarci assieme. Con Little Printer, la carta che si attorciglia fa parte del suo 'meteo'. Se sei Google, Amazon o Apple, hai abbastanza potere per cambiare il meteo dei sistemi: basta che rinchiudi in un seminterrato 40.000 ricercatori di Stanford fino a quando non modificano le condizioni meteo! Noi non possiamo permetterci una cosa del genere, perciò dobbiamo lavorarci assieme". (Mi trattengo dall'osservare che anche questa è una posizione decisamente British).
Little Printer è disegnata per stare nella cucina, nel soggiorno, nello studio di oggi, circondata dalla tecnologia odierna, dell'immediato futuro e del passato recente. È un passo oltre il quadrante, ma non due. Little Printer non si proietta troppo in avanti; non è utopica ma nemmeno distopica. Non promette chissacché, esegue. "Abbiamo scelto di far parte del paesaggio culturale. Siamo ossessionati da queste idee del futuro immediato, dell'universo della porta accanto, dall'estrapolare prospettive particolari", dice Schulze. Post-Poppins, Schulze ritiene che questa sottile interpretazione degli oggetti domestici come cose dotate di un carattere continui oggi nel lavoro della Pixar. "Toy Story lo fa tramite osservazioni e personaggi strambi, originali, a volte tragici. Parla di obsolescenza, decadenza, entropia. E tutti i giocattoli sono un po' approssimativi. C'interessa questa interpretazione della tecnologia che riconosce che non tutto è perfetto. Ci attirano i bordi smangiati, gli oggetti in cattivo stato, i componenti rotti, la tecnologia dall'uso impacciato. Qualche tempo fa c'è stato un momento in cui si parlava di software educati. È un'idea che detesto. Mi irrita quando Flickr mi saluta in hawaiano, suona un poco borioso". Invero, nella sua volontà di stabilire una versione onnicomprensiva, universale e generale della buone maniere, finisce ironicamente per essere maleducato in una situazione particolare .
Il lavoro di BERG sembra diffidare in modo critico di questa visione utopica della tecnologia come qualcosa che rappresenti inesorabilmente il progresso, che crei una specie di futuro radioso e senza intoppi. In parte, come dice Schulze, perché "l'utopia è profondamente ovvia, anche senza contare il fatto che non accadrà. Non c'interessa questa idea della tecnologia invisibile in senso modernista. La tecnologia sarà invisibile, ma solo se è profondamente inserita nella cultura entro la quale nasce. Mettendo in primo piano la cultura, sposti in secondo piano la tecnologia. Si tratta della differenza tra il farsi strada a fatica attraverso i vecchi menù Nokia, nel tentativo di far qualcosa di molto semplice, e abitare lo sfavillante e dinamico universo di iOS. Ecco, allora, che la tecnologia è lì, ma è a tutti gli effetti invisibile, dato che la cultura è messa in primo piano". Ma questa forte enfasi sul rendere viva la rete attraverso gli oggetti suggerisce non solamente una nuova classe di prodotti ma anche un diverso tipo di processo progettuale, una maniera diversa di pensare il design, che mette in risalto la narrativa, il carattere e l'interazione negli oggetti.
Paul Thompson, rettore del Royal College of Art, mi dice che il 60% circa dei laureati afferma oggi di voler aprire un'attività in proprio alla fine degli studi. Anziché cercare di lavorare per Givenchy, Samsung, Toyota, Philips o Siemens, vogliono fare da soli. Si tratta di un cambiamento radicale rispetto a solo qualche anno fa, ricollegabile in parte alla Kickstarterizzazione dell'attività, in parte alla spinta egemonica esercitata dall'idea di "startup".
A un livello più elementare, si tratta anche di un'altra forma di disintermediazione determinata da internet. Oggi alla Coudal non lavorano semplicemente alla consulenza di design, ma realizzano anche prodotti in proprio, come l'affermato Field Notes. Piuttosto che limitarsi a scrivere codici per altri, la 37 Signals produce da sola i suoi programmi, come Basecamp, ma anche libri che spiegano come ciò cambi la filosofia aziendale. Oggi, un'azienda come BERG, con significativi livelli di ambizione—va sottolineato—può produrre gran parte di quello che di solito era disintegrato verticalmente per piccole aziende.
Bozzetti in hardware
Parallelamente a questi schizzi su quaderni Moleskine®, il progetto avanza lentamente, negli anni, anche attraverso l'hardware. Schulze, Andy Huntington, Nick Ludlam e altri di BERG dissezionavano l'hardware nell'identica maniera in cui ciò emerge dagli schizzi: poco a poco, in vicoli ciechi e false partenze, in marchingegni sperimentali in stile Heath Robinson. L'equivalente hardware del blocco per schizzi di Schulze è uno scatolone malandato, che riposa su una mensola del magazzino nel laboratorio di BERG. Lo scatolone contiene un'accozzaglia di borse di plastica e componenti elettronici, fondamentalmente i fossili degli antenati di Little Printer, stampe pinzate di PDF di documentazione sui componenti, una scheda di circuiti prestampati con attaccato un POS. La carta presenta una stampa a bassa risoluzione dei denti di Andy Huntington, che rivela un esperimento in cui si tenta di far disegnare facce e altre forme a queste banali stampanti commerciali, progettate per elencare i prodotti della lista della spesa. Non ci sono scocche esterne, solo i componenti interni, e Schulze li deve sostenere con delicatezza, come se avesse una ragnatela tra le dita. Schulze srotola un'altra stampa di prova che mostra come la barra orizzontale di una A maiuscola è più pallida dei segmenti verticali: questo perché il componente termico della stampante non riesce a generare sufficiente potenza per produrre un nero omogeneamente intenso attraverso un profilo orizzontale. Più in basso, sul rotolo di carta, compare un volto le cui sopracciglia, per la stessa ragione, sono più pallide di occhi e naso.
Di conseguenza, è ora necessario mettere seriamente in discussione il valore di produrre designer che non 'fanno' elettronica, che non 'fanno' codifica. È una sfida per la convenzionale formazione accademica nel design che, nonostante i progressi degli ultimi dieci anni, tende ancora a separare il produrre forme fisiche dalla codifica, il software dall'hardware. Proprio come è una sfida per i tradizionali media sul design, che non possono parlare di codifica con alcuna autorità. Bilanciare l'"inventore generalista creativo", come Schulze, con la profonda esperienza nella fabbricazione di forme di qualcuno come Ludlam è una sfida non solo per l'azienda contemporanea, ma anche per il settore scolastico. Allo stesso modo, tuttavia, i designer stessi possono adottare queste nuove possibilità più in fretta che mai, se ne hanno l'attitudine. Schulze sottolinea che Little Printer fa interamente affidamento sul fatto che internet rende facilmente disponibili informazioni in precedenza inaccessibili—per esempio, documentazione per singoli componenti hardware trovati a fiere del settore o da venditori online—, penetra sotto la pelle del componente, capisce il suo 'meteo'.
Schulze sottolinea ancora l'influenza di Durrell Bishop. Da sempre avverso all'enfasi, Bishop lavora ossessivamente per scoprire il funzionamento di tutti i dettagli, decostruendoli per comprendere il "meteo" del sistema quale strumento per entrare 'sotto la loro pelle'.
New British Modern Schulze mi mostra una presentazione Keynote realizzata da Matt Brown—allora a BERG, oggi alla Apple. È un documento intitolato New British Modern, e illustra con chiarezza le basi estetiche che fanno di Little Printer un prodotto British. Non secondo lo stile "James Bond e la regina in elicottero", ma in maniera più sottile, in termini di toni, forme, condizioni. Come documento, è in parte solo il residuo di un processo di design, ma è anche uno straordinario atto curatoriale, quasi il DNA di quella che potrebbe essere una grande mostra. È fatto di immagini e filmati conditi con piccole annotazioni personali come "raggi morbidi, forme umane ma processi industriali, piccoli smussi, arancioni terrosi e caldi, geometrico ma non freddo…", che elencano una serie di riferimenti liberamente tratti dall'ultimo secolo, e tutti, se non strettamente British per provenienza, del tutto British per influenza. In parte prevedibili, in parte improbabili, insieme contribuiscono poeticamente a costruire un'identità molto omogenea ma anche molto ricca.
The Velodrome, le sedie di Robin Day, le lampade di Barber Osgerby, l'intero ristorante Canteen, i colori di Eley Kishimoto, i motivi di Timorous Beasties, David Gentleman per British Steel, le posate di David Mellor, la Design Research Unit, Bagpuss di Oliver Postgate, Caslon and Plantin, Kinnear and Calvert, Saville and Garland, le mandibole scattanti della cassa in Open All Hours, il modo in cui si muove il furgone di Postman Pat, l'animazione dell'orologio di BBC Two negli anni Settanta, particolarmente la lancetta dei minuti, i video "Soft" di Lemon Jelly…
Si è trattato di una decisione consapevole? Tuttavia, per quanto anche i Google Glasses siano certamente un oggetto digitale/fisico, non dispongono ancora di questo carattere o di questo spirito, in particolare se paragonati al modo in cui queste braccia inerti, staccate dagli occhiali, e questi pulsanti sporgenti trasmettono un oggetto umanizzato in modo molto simile a ciò che fanno i giocattoli—e, di certo, a come ha fatto Munari, o a come fa la Pixar.
Little Printer è lontana dalla tagliente critica alle interfacce contemporanee fatta da Bret Victor, che le definisce "immagini sotto vetro", dato che è possibile avere immagini sì, vetro, no. Nel modo in cui articola supporti e pulsanti ricorda di più la splendida e idiosincratica lampada Tizio di Richard Sapper – con il suo incedere fatto di un perpetuo esercizio di equilibrio e lo schiocco del suo interruttore rosso, un po' goffa ma elegante al tempo stesso – che gli sforzi di raggiungere un minimalismo senza incrinature solitamente perpetrati in modo quasi inconsapevole nei prodotti tecnologici. In altre iterazioni, le stanghette degli occhiali vengono sostituite dai manici di una forbice che, come sottolinea Schulze, sono a loro volta "oggetti molto familiari, che parlano alle mani allo stesso modo in cui gli occhiali parlano al viso e alle orecchie". Altri vecchi prototipi mostrano Little Printer in forma di cuneo di legno. In sé hanno un certo fascino ma, come puntualizza Schulze, nonostante abbiano volti e frange, il carattere non emerge. E anche se le gambe appaiono su carta, per far dì che un corpo funzioni come corpo esse diventano indispensabili. Questi elementi dotati di carattere derivano dall'interazione formale tra BERG e Luckybite, ma anche da Denise Wilson della BERG, abile ideatrice di gran parte della cornice visuale che è stampata su carta da Little Printer. La sua scrivania è circondata da stampe delle facce 'dentro' Little Printer, con più pettinature diverse che in un numero di Grazia. Per quanto rappresenti chiaramente uno degli aspetti dall'impatto più immediato di Little Printer, l'importanza dei capelli va oltre lo stile: ma, in quanto allusione a qualcosa di organico, che cresce, rivela di nuovo quel pensiero alla Tamagotchi che sta dietro al progetto.
Per chiudere il cerchio, e nel linguaggio del settore, il processo di design di BERG deve comprendere produzione, promozione, vendita, logistica e assistenza. Ma come prodotto connesso in rete, c'è un ulteriore mossa strategica. Con tutto il suo fascino un po' malinconico, Little Printer potrebbe rivelarsi una specie di cavallo di Troia. Il congegno fa affidamento su una connessione BERG Cloud, attraverso una scatolina che si collega al vostro wi-fi e passa dati alla stampante. In modo ingegnoso, questo è inoltre un portale di contenuti che potrebbe collegare anche qualsiasi altro tipo di congegno, permettendoci di guidare i vari tipi di dati che articolano la nostra vita alla sequenza di strumenti collegati in casa, in ufficio o per strada. Da BERG lo descrivono come "un sistema nervoso per prodotti connessi"; ciò si traduce grossomodo in qualcosa che introduce furtivamente l'azienda, in modalità piattaforma, in luoghi interessanti di ogni genere. Ciò significa che è necessario anche trattare con l'associazione dei contenuti. Little Printer, come iTunes, deve anche avere una piattaforma per pubblicare, distribuire e gestire feed sui contenuti dentro e fuori il congegno, ma anche documentazione leggibile per creatori di contenuti come Twitter, Arup e The Guardian, oltre alla confezione BERG Cloud— un "sistema nervoso per prodotti connessi". (In realtà, Little Printer è un cavallo di Troia, che introduce furtivamente l'azienda, in modalità piattaforma, in luoghi interessanti di ogni genere.)
Questo non vuol dire che Little Printer sia un prodotto da Nuova Estetica: è un po' più lento, più calmo, non insiste. Aspetto e materiali sono un po' datati, e l'estetica che produce su carta è improntata tanto ai pixel degli anni Ottanta quanto a quelli del 2013. (È interessante notare come Nike+ FuelBand, altro prodotto che incarna la contemporaneità, usi a sua volta un'estetica datata come mezzo per introdurre prestazioni più sofisticate).