“Un’altra” Zaha Hadid a Weil am Rhein, oltre Vitra

Sei anni dopo la stazione dei pompieri per Vitra, che la consacrava icona nel firmamento delle archistar, Hadid tornava nella città tedesca per un progetto di scala paesaggistica, pubblicato da Domus nel 1999.

Dopo un progetto manifesto come la stazione dei pompieri del Vitra Campus – una pietra miliare del decostruttivismo al pari di altri lavori coevi di Libeskind o GehryZaha Hadid è ormai stella di un’era, i primi 2000, dove i progettisti di riferimento erano tutti stelle, archistar. Il suo segno diventerà sinonimo di uno stile e di un approccio all’architettura che si fonda su una dialettica tra segno e contesto, destinata però a creare nuovo senso per i luoghi dove viene tracciato. Il padiglione per l’Esposizione regionale dei giardini, poi codificato come LF1, rappresenta un'estensione del campo di ricerca di Hadid, ha una scala molto più grande e lavora con la forma del paesaggio e della “natura artificializzata” che lo circonda: Domus lo pubblicava 25 anni fa, nel luglio 1999, sul numero 817.

Domus 817, luglio 1999

Lf One: padiglione informativo per il Landesgartenschau, Weil Am Rhein, Germania

Se il numero dei progetti di concorso premiati nel carnet di Zaha Hadid è elevato, quello delle opere effettivamente realizzate è invece notoriamente basso. Weil am Rhein può vantarsi di aver mostrato più fiducia nei confronti della Hadid di tutte le altre grandi metropoli messe insieme.

Questa cittadina di ventottomila abitanti nei dintorni di Basilea annovera infatti la concentrazione più elevata al mondo di edifici della Hadid su una superficie estremamente ridotta (anzi, per la precisione ospita gli unici due progetti mai portati a termine dall’architetto, se si eccettua un edificio d’abitazione di secondaria importanza realizzato a Berlino all’interno dell’Iba). Dopo la caserma dei pompieri del complesso Vitra, inaugurata nel 1993 e nel frattempo ridestinata a centro per il design, nel marzo di quest’anno è stato presentato il padiglione dell’Esposizione regionale del giardino, edificato su un’area un tempo occupata da una cava di ghiaia.

Domus 817, luglio 1999

Già a un primo sguardo i due edifici sembrano avere tanti aspetti in comune quanti sono quelli che li differenziano. Entrambi infatti sorgono al margine della città, lontani da qualsiasi trama edificata, all’interno di una sorta di zoo architettonico; tuttavia mentre nel complesso Vitra la Hadid appare come una prima inter pares, attorniata da colleghi illustri quali Tadao Ando, Frank Gehry e Nicholas Grimshaw, il padiglione informativo si trova invece nel mezzo di una sorta di “gabinetto delle curiosità”, che annovera, fra una casa a traliccio medievale portata qui di peso dall’Alsazia e un bianco tendone rigonfio a dismisura, anche una singolare betoniera corrosa dalla ruggine appartenuta alla cava e una vasca dei divertimenti che fiancheggia il lotto della mostra del giardino.

Tuttavia l’edificio mantiene una distanza incolmabile rispetto al contesto, amministrando con superiorità la propria diversità da questo microcosmo di stranezze architettoniche e non indulgendo minimamente alle forme correnti dell’architettura per il tempo libero.

Come nella caserma dei pompieri anche nel nuovo padiglione predomina il cemento grezzo, il che può comportare per i visitatori, desiderosi di un contatto con la natura, uno sforzo di comprensione superiore a quello che attende i pellegrini dell’architettura che si muovono nel triangolo, diviso fra tre Stati, formato dalla cappella di Le Corbusier a Ronchamp, dal Beyeler-Museum di Piano a Riehen e dalla caserma della stessa Hadid a Weil.

Domus 817, luglio 1999

Le forme acuminate e fortemente dinamiche di quest’ultimo edificio sono riproposte palesemente nell’opera più recente, ma appaiono come acquietate, semplificate e levigate fino a divenire linee che vibrano lievemente. Il corpo di fabbrica, lungo centoquaranta metri, si eleva sulla superficie piana un tempo occupata dalla cava come un’ondulazione del terreno, dà origine a un groviglio di percorsi e si ramifica fino a scomparire nuovamente nel terreno.

Uno dei percorsi, che attraversa l’edificio come una passeggiata coperta e prosegue sotto forma di passerella ben oltre il volume architettonico, ritorna a terra in forma di arco ribassato. Un secondo percorso attraversa invece l’edificio a mezza altezza e termina a nord con una parete coperta, la cui forma ricorda quella di una pala da escavatore. Un terzo percorso, infine, prosegue verso sud fino alla caffetteria. In mezzo a questi tracciati si estende, come per caso, una superficie di ottocentoquaranta metri quadrati che comprende la sala di esposizione, un ristorante e il centro per l’ambiente.

Domus 817, luglio 1999

Già nell’abaco dei materiali, che ricordano nei colori e nella disposizione le stratificazioni della roccia, si mostra una chiara analogia con le formazioni geologiche: le forme dell’edificio potrebbero essere considerate, in effetti, come i resti pietrificati di enormi foglie appartenute a piante preistoriche. Certi virtuosismi costruttivi quali le passerelle autoportanti interne ed esterne, ma soprattutto il gesto tecnico che permette alle lunghe sequenze di ambienti senza pilastri di ripartire i carichi sorreggendosi vicendevolmente, sono destinati invece più che altro a un pubblico esperto.

Tuttavia, come accadeva già nella caserma dei pompieri, l’edificio realizzato, che nelle tavole sembrava terribilmente complicato, appare sorprendentemente chiaro e semplice. L’unico aspetto in cui questa architettura sembra compiacersi è il dispendio di spazio del vuoto puro. Nulla turba l’ascesi, ogni dettaglio è subordinato alla linearità dell’insieme: eppure, allo stesso tempo, i volumi racchiusi tra pareti e copertura appaiono come animati da un movimento interno che trasforma l’edificio in una sorta di flusso spaziale sregolato, virtuale, come se tutti gli elementi tendessero verso mete particolari e misteriose. Il concetto di immobile’ appare, nel descrivere le opere di Zaha Hadid, di scarsa utilità, poiché esse appartengono davvero a un nuovo stadio evolutivo dell’architettura: la categoria dei ‘mobili’.

Immagine di apertura: foto da Wikimedia Commons

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