Alla figura di Rafael Moneo, progettista e grande teorico, si associa da decenni un’architettura consapevole del valore della storia e del contesto, compositivo e urbano, trasversale a epoche e resistente agli stili, densa di riferimenti e interpretazioni. La lunga vicenda che lo vede vincitore nel 1989 del concorso per un polo culturale sul sito di un simbolo preesistente, un casinò, un Kursaal appunto, fulcro identitario della città di villeggiatura sulla costa basca, rappresenta una peculiarità nella sua carriera: compare nel suo metodo la presa in considerazione del caso come strumento di progetto, e ad essa si combina il contrasto tra astrazione dei volumi e atmosfera della vita pensata per l’interno. Domus pubblicava questa pietra miliare dell’architettura contemporanea nel marzo del 2000, sul numero 853.
Rafael Moneo a San Sebastián, dall’archivio Domus
Alla vigilia del 2000 si completavano nella città spagnola i lavori del Kursaal, l’auditorium e centro congressi con cui l’architetto premio Pritzker intrecciava caso, gesto radicale e valore urbano del progetto.
View Article details
- Luis Fernández-Galiano
- 14 maggio 2024
Auditorium e centro congressi Kursaal, San Sebastián, Spagna
Situato all’estuario del fiume, e tuttavia collocato dal progettista in modo da non compromettere l’assetto naturale circostante, l’edificio si staglia, nella sua doppia struttura, a sembianza di due giganteschi scogli gettati sulla terraferma: auditorium e sala congressi. L’uno di concezione asimmetrica, mentre l’altra è a forma di cubo leggermente allungato. Gli ingressi sono collocati a livello della piattaforma inferiore che funge allo stesso tempo da zona di comunicazione, aprendosi verso la città in un ampio spazio libero.
Dio non gioca ai dadi, Rafael Moneo, sì. Tirando su di un tappeto di sabbia questi colossali cubi cristallini, l’architetto navarrese colloca il suo progetto sotto il segno del caso, a cui deve anche il nome. Kursaal è la dizione tedesca per Casinò, un termine cosmopolita che ebbe la sua fortuna nella Belle Epoque. Nel 1922 sulle spiagge della foce dell’Urumea era sorto un grande Casinò, ed è proprio sull’area di questo edificio demolito nel 1973 che s’innalzano oggi l’Auditorium e il Centro Congressi di San Sebastián. Influenzato dal nome, Moneo fa oscillare il nuovo Kursaal tra il sapiente gioco dei volumi e la docile dipendenza dal caso degli incastri, abbandonando sulla spiaggia di Gros questi prismi di vetro opalino, per metà interrati nella sabbia come cubetti di ghiaccio di una bevanda rovesciata con la determinazione violenta che si usa per capovolgere il bussolotto sul feltro consumato del tavolo da gioco.
La posta era molto alta, e la polemica che si accese intorno al progetto dal momento dell’aggiudicazione del premio dopo il concorso indetto nel 1989 descrive con eloquenza il suo carattere abrasivo in una città che aveva scelto come segno di identità un romanticismo sgualcito, tra lo stile isabellino e il pompier. Tuttavia l’esame retrospettivo degli altri elaborati in concorso non può che riconfermare l’acutezza di giudizio della giuria che scelse il progetto di Moneo.
Né la pittoresca proposta di Peña Ganchegui y Corrales, né il prevedibile cilindro di Mario Botta o la copertura ondulata di Arata Isozaki, e neppure il prisma con i parasole tecnologici di Norman Foster o l’estensione onirica della geometria dell’‘ensanche’ di Juan Navarro Baldeweg si avvicinavano alla brillantezza intuiva e rischiosa dei cubi irregolari e inclinati che hanno finito per alzarsi il quel luogo che gli abitanti di San Sebastián chiamavano area K. Il prolungato processo di gestazione dell’edificio è stato in più di un’occasione sul punto di interrompersi. Aggiudicato il concorso nell’aprile del 1990, i lavori non cominciarono che cinque anni più tardi, e neppure i quattro anni abbondanti di cantiere furono privi di crisi, culminate nel noto crollo di una parte dei solai e della scala del 20 aprile del 1998.
Ma i rischi maggiori per la realizzazione del progetto si sono avuti senza dubbio nell’interminabile periodo trascorso tra l’aggiudicazione del concorso e l’inizio del cantiere, nel quale il Kursaal si è trasformato nella pietra angolare del dibattito politico sulla modernità in architettura. La prima immagine del Kursaal è radicale. Pur tuttavia le sue forme apparentemente aggressive, per l’asprezza geometrica dei suoi spigoli e per l’ermetismo inquietante dei suoi piani inclinati, si dissolvono appena varcata la soglia, quando il visitatore si immerge nel chiarore caldo e acquoso dei suoi interni in legno di cedro e luce diffusa. Rivestite in legno, le scatole di cemento dei due auditorium si allontanano dalla spessa facciata di vetro traslucido, formando strette gole luminose che si percorrono con amena serenità e che conducono a un ordinato labirinto di sale per riunioni e zone di servizio, raggruppate su uno zoccolo parzialmente interrato che sottrae protagonismo percettivo alle pur estese aree ausiliarie.
Nascosto in buona parte come un iceberg scolpito, il Kursaal addolcisce il suo contatto con la città lungo la avenida de la Zurriola, dove si aprono gli accessi sotto un portico enfaticamente orizzontale e dove si fiancheggiano un ristorante e una sala d’esposizioni e quindi numerosi negozi che rendono domestico questo fronte urbano. In contrasto con il Guggenheim di Bilbao che fa sporgere la sua tempesta di titanio sull’asse delle strade che vi si dirigono, il Kursaal separa i prismi perché tra loro si insinui la vista del mare dell’unica via che si scontra con il complesso, mentre i due cubi di cristallo fanno capolino verso i due immediati incidenti geografici, i monti Urgull e Ullia con sensibilità paesaggistica, con discrezione e quasi in sordina.
Realizzato a Harvard durante il soggiorno di Moneo come ‘Chairman’ di architettura presso la Graduate School of Design, il progetto del Kursaal è un inedito nella carriera dell’architetto, senza chiari antecedenti nei suoi lavori anteriori né influenze significative nelle opere successive. La brillantezza intuitiva, con la quale risponde alla topografia di San Sebastián a partire dalle forme instabili allora in discussione negli Stati Uniti, fu una congiuntura felice che ha dovuto sorprendere il proprio progettista, di indole in genere più discreta, anche se disposto talvolta a lanciarsi all’avventura plastica con la inquieta curiosità dell’intellettuale che è. E l’architetto afferma di aver cercato di riconciliare in questa proposta la compattezza pragmatica della disciplina con la frammentazione instabile dell’epoca e l’elementarità materiale del minimalismo artistico.