Una fascia luminosa striata, che sfila nel buio con lenta solennità, o con più preoccupante velocità: poche immagini sono riuscite, nella storia del car design, a coincidere così saldamente con l’identità di un brand. E questo è quello che il friulano Bruno Sacco ha fatto con Mercedes: diventato responsabile del design per la casa di Stoccarda nel 1975, dopo oltre 15 anni di lavoro nella divisione stile assieme a Paul Bracq – che aveva firmato icone viaggianti come la 280 SL “Pagoda” – Sacco ha ridefinito l’identità visuale della gamma Mercedes improntandola ad una uniformità di linguaggio capace di evolvere negli anni. Le ottiche posteriori a nastro nervato, i frontali ampi e le linee tese e razionali: in 25 anni di direzione Sacco li ritroveremo su modelli divenuti leggendari come la spider SL (R129), l’ammiraglia classe S, e le 190 (W201) che rivoluzionarono il riferimento automobilistico delle classi medie anni ’80. Proprio nel marzo del 1986 Sacco, di per sé non incline a comportamenti da design celebrity, aveva incontrato Domus per una conversazione dove proprio di identità e continuità si sarebbe parlato: la pubblicavamo sul numero 670.
A colloquio con Bruno Sacco
Volendo costruire un percorso progettuale ideale attraverso la produzione Mercedes dal 1953 ad oggi è necessario affrontare il problema del rapporto tra continuità e innovamento, tra citazione del passato e proiezione sul futuro. Soffermiamoci in particolare sulla individuazione di elementi archetipi nel design Mercedes.
Bruno Sacco: Impossibile non citare il finto radiatore Mercedes o la nostra stella. Vorrei però sottolineare l’esistenza di caratteristiche intrinseche di disegno che contraddistinguono i vari modelli al di là di tali riferimenti più immediati. Pensiamo ad esempio all’intero profilo laterale con il particolare taglio delle portiere e dei finestrini. Per tornare al radiatore, esso è indubbiamente un importantissimo elemento di marketing ma, allo stesso tempo, un segno discutibile.
Sarei uno strano designer se volessi di colpo abolirlo; tuttavia, lo rimetterò in discussione ogni qualvolta avrà inizio la progettazione di un nuovo modello, non per un aprioristico fastidio - comune a tutti i progettisti - per ciò che non si può cambiare, ma perché rimanga sempre aperta la possibilità di una strada alternativa. Un passo significativo in tale direzione è stato mosso con il modello Sec del 1981 che, tradizionalmente legato alle berline, avrebbe dovuto montare il finto radiatore, mentre adotta il musetto delle vetture sportive. Se volessimo generalizzare questi episodi in un concetto ne risulterebbe la tendenza a costruire il nuovo tenendo presente l’intera storia del design Mercedes. Mi piace definire questo atteggiamento: “uno sguardo all’indietro senza rabbia”.
II ricorso all’oggetto “firmato” è per l’industria automobilistica un fenomeno molto recente. In Mercedes si persegue al contrario una politica di identificazione tra designer ed impresa...
Effettivamente il fenomeno della automobile firmata è fino ad oggi sconosciuto in Mercedes e ritengo che tale rimarrà per sempre! A mio avviso infatti adottando decisamente il “meccanismo della firma” si denuncia la mancanza nell’oggetto di una solida immagine precedente. Con questa argomentazione ho sempre replicato a chi mi interrogava circa il motivo per cui non abbiamo mai accettato proposte e contributi esterni. Non sarebbe possibile: in un particolare intervento di design si riconosce sempre l’autore ed inoltre questi riesce raramente a comprendere quali siano le qualità intrinseche del prodotto che gli è stato chiesto di disegnare, di “vestire”. Alla Mercedes cerchiamo invece di affrontare un problema di funzioni interdipendenti: il nostro design cioè trova la sua giustificazione nella evidenziazione della funzione.
Essere innovativi non significa necessariamente inventare il nuovo assoluto. Design non è stilismo. In generale dobbiamo purtroppo riconoscere che si sta assistendo nell’auto ad una forte omologazione di immagine. Ciò non è dovuto, come generalmente si crede, o almeno non completamente, ai processi tecnici di base. Lo stesso tunnel del vento infatti, pur restringendo in certa misura la libertà del designer, non limita realmente la progettazione. Dall’uti lizzo del tunnel si ottiene solo una conferma sulla validità aerodinamica dell’oggetto. Una vi sione puramente funzionalistica si vanifica non appena due concetti formali diversi si dimostrano, alla verifica, entrambi vali di. La nostra posi zione è dunque definibile come “funzionalismo esteso”, ciò significa tenere conto del fatto che nel design esistono anche elementi “sensuali”. Insomma possiamo accettare che vi siano ormai regole generali, valide in proiezione. Una di queste è senz’altro la forma a cuneo; infatti, per evidenti motivi aerodinamici, linee a deciso sviluppo orizzontale non sembrano avere più senso. In ciò si esauriscono però i vincoli funzionali mentre la ricerca del designer prosegue per la definizione di una nuova forma. La fortuna di Mercedes è che, a differenza di molte altre case automobilistiche o singoli car designers, non si è mai verificata l’eventualità di dover lavorare su più di un progetto all’anno. Concludendo, non credo, almeno per quanto ci riguarda, che si giungerà ad una reale uniformazione dell’oggetto automobile.
Nella poetica di progetto della Mercedes Benz si evitano quelle brusche linee di demarcazione che rendono, da un giorno all’altro superato il modello precedente.
Dall’esperienza stessa abbiamo dedotto l’insegnamento che linee formali in netto contrasto con quelle ad esse precedenti, e quindi stimolanti a fondo le reazioni dell’utenza, sono soggette in realtà ad una obsolescenza più rapida. In tal senso il design - o forse in questa accezione sarebbe più corretto parlare di styling - può trasformarsi in uno strumento per accelerare o rallentare le esigenze del mercato. Esaminando ad esempio lo sviluppo della classe S attraverso le serie W108 (1965), W116 (1972), W126 (1979) si dimostra che anche perseguendo fini differenziati: il comfort, la sicurezza sulla strada, il risparmio energetico è possibile mantenere una linea evolutiva coerente. Causa questa primaria della longevità dei modelli Mercedes.
La fedeltà ad un tale principio, in cui risiede in certo senso la filosofia del design Mercedes, mi risulta sia stata disattesa in maniera eclatante una sola volta: con la famosa serie S del 1959, la Mercedes “con le pinne”
Tale serie è stata spesso considerata una fase dubbia nello sviluppo Mercedes, di una “aria di famiglia” che pervaderebbe l’intera produzione Mercedes, in quali termini si pone il rapporto tra grandi e piccole serie? È assolutamente certo che la stona del dopoguerra riconosce come capostipite la vettura più importante. Si tratta in un certo senso di una vera e propria legge: la cosiddetta classe S fa l’immagine. A metà degli anni ‘70 ci rendemmo conto però che il clima sociale si stava profondamente modificando in una direzione che rendeva impossibile seguire i criteri base che ancora ci avevano ispirato per l’elaborazione della serie S del 1972. Quelle vetture avevano segnato un punto culminale. Iniziammo nel 1973 la progettazione della nuova serie S decisi a rappresentare un mondo ormai cambia to, realisticamente teso alla diminuzione dei consumi.
Si mirava ancora ad offrire una grande sicurezza, non ottenuta però attraverso un ulteriore aumento delle dimensioni. La classe S del 1979 ne risultò in tutti i sensi più sobria, meno pesante.
Arrivati all’oggi vediamo dunque come si inseriscono nella storia dell’immagine Mercedes quei due straordinari oggetti di design che sono la 190 del 1982 e la serie W124 del 1984.
La 190, un’auto fortunatamente molto discussa, ha fatto compiere all’azienda un passo quasi traumatico a livello d’immagine. Solo aggredendo si poteva infatti puntare su di un segmento di mercato che non era tradizionalmente Mercedes. Il cliente italiano acquistava una vettura Mercedes perché ritenuta comoda, sicura, solida, connotata come status symbol e non in funzione delle sue superiori caratteristiche tecniche. La 190 arriva a dimostrare con prepotenza il suo enorme bagaglio di progresso tecnologico.
Possiamo dunque supporre che con la 190 e la serie W124 si sia invertito quel meccanismo che ha sempre visto come capostipite dell’immagine la classe S?
Direi di no, questi ultimi modelli derivano infatti dalla classe S del 1979. Sarebbe stato tuttavia imperdonabile progettare una nuova compatta riducendo dimensionalmente quella serie. Dobbiamo pertanto ricordare i prototipi C111/III/III. Il primo ed il secondo, elaborati nel 1970, fanno parte dei presupposti formali della serie S, nata prevalentemente da ricerche aerodinamiche. Il terzo, sviluppato nel 1977, contiene moltissimi degli elementi di ricerca che si concretizzano nel 1982 e nel 1984, in particolare i presupposti per la caratteristica forma spigolosa della 190. In questo prototipo inoltre ritroviamo la famosa pinna posteriore, elemento essenziale di stabilizzazione della vettura lanciata a 300 Km/h. Vorrei aver chiarito con ciò che un’auto dalle buone caratteristiche di penetrazione non occorre sia necessariamente smussata. Ci si può allontanare dall’eterno mito dell’uovo, della goccia.
Questo appassionato spostamento di campo verso i prototipi pare adatto a moderare la tesi di una rigorosa continuità progettuale, ricostruibile attraverso le berline Mercedes.
È questa in effetti la mia intima convinzione. Esiste indubbiamente una continuità, una serie impressionante di connessioni, ma con dei momenti significativi di sregolatezza. Sarebbe sufficiente altrimenti inserire in un elaboratore i dati relativi alla serie S, alla 190 ed alla serie W124 per ottenere la berlina Mercedes del futuro. Un’immagine troppo rigida della progettazione in Mercedes.