Se un noto rimbrotto recita “questa casa non è un albergo” quando si ravvisa l’incauta attitudine di scambiare il focolare domestico, simbolo di radicamento e intimità, con un luogo di passaggio indifferente e veloce, talvolta si può anche capovolgere la frase e affermare che “questo albergo non è una casa”, quando si assume (come faceva George Bernard Shaw) che il vantaggio di un hotel è quello di essere un ottimo rifugio dalla vita domestica.
E proprio questa pulsione all’evasione dagli schiaccianti ingranaggi della routine quotidiana, oltre ad un’accoglienza che offre il privilegio di farsi “coccolare” (materialmente e spiritualmente) senza riserve, contribuisce al fascino dell’albergo (di lusso e non) come luogo di appagamento e rigenerazione personale, anche se solo temporanei.
Davanti a un tema così legato all’individualità che però si immerge in un fenomeno di massa, all’edificio non-casa per eccellenza che però regala (vende) un’esperienza alternativa dell’abitare, oltre che davanti ad un tema di rappresentazione sociale ed economica secondo per importanza solo a pochi altri, l’architettura si è trovata nella sua storia più o meno recente a cercare diversi approcci. Le stesse carriere di alcuni nomi tra i più rilevanti dei decenni passati e attuali hanno in un progetto d’albergo un punto di svolta, un momento di profondità particolare della loro ricerca e della loro espressione.
Proponiamo una selezione di alberghi progettati dai più grandi architetti di sempre (Wright, Lautner, Le Corbusier, Jacobsen, Ponti, Niemeyer, Rossi, Thun, Gehry, Botta, Foster, Kuma, Hadid, Oma), nella consapevolezza che il soggiorno in un pezzo di storia dell’architettura moderna e contemporanea, ad eccezione che per qualche (raro) caso, può richiedere un impegno economico non altrettanto godibile dell’esperienza immersiva che propone.