Una conversazione su Roma, città delle contraddizioni

Roma non è stata costruita in un giorno, ma quasi: la Città Eterna è estesamente moderna e spesso paradossale. Domus ne parla con Giuseppe Grant di Orizzontale e Christian Raimo.

A Roma le contraddizioni e gli opposti conciliati sono infiniti, partendo dal presupposto che la città, nonostante sia stata fondata oltre 2770 anni fa, è in realtà profondamente moderna, come lo sono il 92 per cento dei suoi palazzi, che non sono certo antichi. La Città Eterna vive ancora del suo mito, ma la contemporaneità di Roma è descrivibile solo come la fusione e la successione di elementi diversi, spesso contraddittori. Un “paradigma metastorico e metageografico” come viene descritta in The Passenger – Roma [1], una raccolta di saggi e materiale fotografico pubblicata da Iperborea per il 150esimo anniversario dell’istituzione di Roma come capitale d’Italia. Abbiamo dialogato per l’occasione con Giuseppe Grant del collettivo di architettura Orizzontale, casertano di origini romane che vive a Roma, e Christian Raimo, scrittore e assessore alla Cultura del Municipio III della capitale. Ed è proprio dalla sua recente esperienza come assessore che Raimo esordisce portando sul tavolo della discussione un esempio tanto rappresentativo dei paradossi da sembrare uscito proprio dalla fantasia di uno scrittore quanto essenzialmente normale, a Roma. Quello di una statua che non può essere spostata da dov’è.

“Nel nostro municipio stiamo portando avanti la pedonalizzazione di Piazza Sempione. C’è, però, un comitato di quartiere che sta facendo resistenza verso un progetto molto bello dello Studio Bradaschia, il quale prevede lo spostamento di una statua della Madonna di cinque metri, mentre attualmente si trova in un’isola di traffico al centro delle carreggiate. Si tratta di un’operazione minima per valorizzare l’opera, ma febbraio è comparso in piazza uno striscione con su scritto ‘Giù le mani dalla statua’, ed è stata avviata una petizione dagli estremisti cattolici. Questa settimana – in occasione della giornata Internazionale della donna – il movimento Non una di meno ha invece manifestato contro l’oscurantismo clericale. A Roma il dibattito è questo. È una città dove gli stakeholder principali sono i vecchi, i proprietari principali di quello che accade in città. È anche chiaro che Orizzontale in un qualunque altro luogo avrebbe già modificato molte delle impronte di ciò che accade a Roma, mentre per adesso si fermano a un lavoro molto interstiziale.”

Roma. The passenger. Per esploratori del mondo, Iperborea, 2021

Ripartiamo da un macro-tema, che è in realtà anche un anagramma: Roma-Amor, ovvero quel rapporto di amore e odio, di lode e critica, che lega il cittadino romano alla propria città.
Christian Raimo: C’è un primo immaginario di Roma connotato da immobilismo, degrado, politica, mentre ce n’è un secondo molto più carsico, e almeno in parte internazionale, quasi totalmente assente. L’idea di amore e odio che si prova nei confronti di una capitale per me è qualcosa di più, come un desiderio che va emancipato, fino ad adesso non riconosciuto. Roma è una città retroflessa, dove il mito è molto più grande di ciò che realmente è. Facendo un censimento delle uscite dell’ultimo anno ho individuato circa venti libri che hanno come titolo Roma, e basta. Il mito, l’auto-rappresentazione, l’assolutezza di questa città è ingombrante. Andrea Giardina e André Vauchez nel libro Il mito di Roma  [2] narrano di una città incantata dal suo racconto, il quale vuol dire impero, papato, palazzo, ed essenzialmente vuol dire potere. Dall’altra parte ha creato anche un mito dell’anti-potere, della sedizione: Remoria [3], Giordano Bruno, Pasquino, la Repubblica Romana, la resistenza romana, solo alcuni esempi. Quello, però, che è quasi abortito a Roma è la fantascienza. La città è ha dato luogo ad un immaginario fantascientifico, gotico, steampunk – per esempio il rapporto tra Piranesi e Nolan è un rapporto ormai acquisito nella cinematografia – ma questa cosa non è riuscita a colare nel tessuto della progettazione. Mentre oggi noi non possiamo pensare a New York senza pensare a 1977: Fuga da New York, a Londra senza J. G. Ballard, a Roma è molto difficile.

Roma è una città retroflessa, dove il mito è molto più grande di ciò che realmente è.

Giuseppe Grant: Aldo Rossi descriveva lo spazio-teatro, come uno spazio dove tutto succede e tutto non succede, dove tutto si racconta senza una scrittura ben definita. Secondo me questo è Roma: o la odi o non la odi. È difficile, inoltre, targhettizzare il cittadino e l’utente della città. Come palcoscenico internazionale c’è chi ovviamente ci vive da più tempo e chi invece la vive solo di passaggio. Questi ultimi sono i più penalizzati, non riusciranno mai a capire fino in fondo Roma. Credo che il problema sia sovrascrivere progressivamente una visione, più che un immaginario: rapportarsi con lo spazio vuoto, che rappresenta la strada, il luogo della trasformazione, dello sviluppo, e di qualsiasi cosa che interessa la crescita della città. A Roma manca quasi del tutto il tema dello spazio pubblico, nonché spazio della possibilità. Di questo tema se ne parla poco come bene produttivo, perché non è remunerabili. CR: Aggiungo che a Roma lucra l’impossibilità di avere dello spazio pubblico, l’assenza di luoghi pubblici o culturali. Poiché non ci sono centri giovanili, ad esempio, tu hai una gran quantità di persone che lavora sfruttando proprio questa mancanza. Quindi lo spazio pubblico non è vero che non produce niente, produce reddito per chi ha dei posti che monetizzano l’assenza dello spazio pubblico. GG: Siamo anche abituati a subire quelli che sono contesti sociali e formali non proprio simili al centro storico. Lo spazio pubblico come una risorsa produttiva rientra in una politica di funzionalizzazione, di attivazione di determinate dinamiche che a volte non cambiano solo lo spazio, ma sono piuttosto i presupposti per incanalare risorse sia umane sia sociali, che hanno già un proprio immaginario molto forte. Il compito del progettista e della politica è quello di interpretare potenzialità già esistenti e far parte di questo percorso.

Carlo e Marco allevano cavalli, e ne hanno due in una rimessa di fortuna a Corviale. Foto Andrea Boccalini - Prospekt Photographers

Roma, a dispetto di ciò che comunemente si pensa, è una città per il 92% di edifici nuovi e comunque costruiti dopo la Seconda guerra mondiale. Qual’è il rapporto esistente tra il centro storico e il resto della città?
CR:
Quel 92%, che per me è davvero il 99%, è stato finora visto come la periferia dove la gente abita, mentre è in realtà il luogo a cui deve essere dato il protagonismo. Inoltre, il centro è la sede di Montecitorio e del Vaticano. In una zona che è veramente l’1% della città, ci sono 900 parlamentari, il che significa – tra segreteria di partito, portaborse, e altro – un microcosmo di circa 100.000 persone che compongono la città del potere. Il Vaticano, d’altra parte, è una presenza molto immobilista, proprio perché costante dal punto di vista immobiliare. Inoltre, sopratutto in questo pontificato si sente tanto l’idea di Papa Francesco Bergoglio, che soffre la mancanza in questa componente internazionale nella città. È una presenza ambivalente, perché se da un lato è quella della Grande Bellezza, è anche quella della Caritas. Questo credo faccia parte dell’anima di Roma, dove la ricchezza estrema e la povertà estrema convivono da sempre.

Ci sono delle situazioni anche interstiziali o periferiche dove si stanno configurando degli usi della città, magari dei design anche dal basso, che sono in discontinuità con quello che ci si aspetterebbe?
GG:
Noi di Orizzontale stiamo gestendo con fatica un progetto a Largo Bartolomeo Perestrello, piazza in realtà senza nome e riconosciuta come vuoto normativo. Qui cerchiamo dal 2012 di portare attenzione rispetto alla sperimentazione di interventi leggeri, che possano però creare trasformazioni sia nel breve che nel lungo termine. È un esempio che confluisce in un discorso molto dinamico, sul quale ci si potrebbe fare un ragionamento prototipico sulla definizione di una nuova strategia di trasformazione dello spazio pubblico, basato sia sulla autodeterminazione e canalizzazione di sinergie e energie, sia sulla definizione di uno spazio pubblico e dinamico, creato da una coscienza collettiva. Un altro caso molto interessante è il Lago Bullicante, spuntato fuori circa vent’anni fa conseguentemente a una operazione di para-speculazione edilizia. Lì si dovevano costruire delle palazzine, ma la realizzazione delle fondazioni si è improvvisamente fermata a causa di una falda acquifera. Quest’immenso spazio è stato confiscato, ma ora bisogna capire come indirizzarlo nella normativa perché non è ancora riconosciuto come spazio pubblico.

Lago Bullicante, Ex Snia, Roma

CR: Ci sono dei quartieri che chi non sta a Roma non conosce, come ad esempio Quartaccio e Ottavia-Palmarola. Posti costruiti malissimo, dove non c’è neanche la città fai-da-te. Poi ci sono dei luoghi interessanti perché sono dei luoghi di conflitto, appunto Tor Bella Monica e San Basilio. Sono quartieri dove le questioni geonazionali e sociali sono immensamente raccontate nel discorso pubblico, ma quei racconti non coincidono mai con le vere linee di conflitto che ci sono all’interno delle storie. Una delle cose di cui non si parla è l’importanza delle figure femminili. Nella politica romana dal basso, le donne hanno molta più importanza degli uomini, per una serie di ragioni anche economiche. Nelle classi basse le donne lavorano molto di più degli uomini, semplicemente perché il lavoro di cura è un lavoro molto più sicuro di quello di edilizia o di micro-criminalità. Questo, per esempio, si è visto tantissimo con la pandemia, che spesso ha messo in ginocchio famiglie a monoreddito femminile. Poi mi interessa moltissimo il quadrante circostante l’Aeroporto Roma Urbe, con le case costruite intorno alla struttura e l’università di ingegneria aerospaziale, dove non ci sono studenti italiani se non quattro o cinque. Di lì arriviamo poi al parco Labia. La quantità non di verde ma di campagna all’interno della città è enorme. Chilometri e chilometri di campagna e continuiamo a non capire le potenzialità di un grande comune agricolo. Parliamo ad esempio dell’omicidio di Varani. Per uno non di Roma, non ha presente che la distanza dalla casa di Varani a quella di Foffo è di 31 km quando. Quanto lo chiamano sono circa l’1:30 di notte promettendogli 150 euro. Varani prende l’autobus notturno: da La Storta a Colli Aniele devi prendere due notturni e ci metti all’incirca due ore e mezza. Per me il massacro avviene quando prende l’autobus alle due di notte. Sono tali e tanti a Roma i rapporti di classe e di ghettizzazione, per cui mentre Foffo e Prato si spendono 1500 euro di cocaina in quattro giorni, una persona per 150 euro si fa due ore di viaggio di notte. Se tu pensi poi ci sono circa 20.000 senza tetto, dal 1994 circa 7.000 persone nei campi rom, altri 6.000 negli accampamenti informali, più le due più grosse prigioni dello stato, arriviamo circa a 40.000/50.000 persone senza cittadinanza in luoghi di internamento e di marginalità sociale assoluta. Di fatto la città non vive di periferie ma di questi ghetti.

Il piazzale posteriore di Corviale. Foto Andrea Boccalini - Prospekt Photographers

Non è, però, ancora uscito il tema del futuro e di un potenziale miglioramento, mentre Roma viene trattata più come un arcipelago che come una città.
GG:
In realtà chi vive la città è radicato al presente, perché ogni giorno convivi con un’idea un po’ d’accettazione e un po’ di speranza. Però il futuro è basato anche su un’idea di genuina ironia per i romani, in modo che ci si possa proiettare sul futuro con un’attitudine progressista. CR: Un libro molto bello sul futuro è Una Capitale sul mare [4] di Gualtiero Bonvino, architetto e urbanista londinese, ambientato interamente a Ostia. Lui usa la fantascienza per fare un rendering di una città mediterranea e marina. Ecco, se io dovessi pensare un piano sull’evoluzione di Roma penserei a una città proiettata tantissimo sul mediterraneo e sulla dimensione naturale

GG: Ostia può creare un’accelerazione su un’idea del futuro. Io però guarderei anche tutti quegli spazi che creano un arcipelago di piccolissime isole, i quali riempiono tutti quegli spazi interstiziali che la città fa finta di non vedere. Con Orizzontale inizialmente volevamo mettere in sinergia tutte quelle risorse che una metropoli ti dà sotto forma di scarti, che sono sia materiali, come rifiuti delle filiere produttive e spazi inutilizzati, sia immateriali, come usi o dinamiche di rapporto più legate alle relazioni sociale. In una nostra precedente visione, abbiamo paragonato il ruolo dell’architetto al rabdomante dei nostri tempi. Si va alla ricerca di un obiettivo, come quello che nel nostro caso è di provare a stimolare la riattivazione di uno spazio pubblico arido. Ma è il ruolo di un rabdomante non è altro che quello di continuare questa estenuante ricerca dell’acqua, che può essere seccante e noiosa, però persevera e insiste, perché c’è una base di giustezza. È un sentore collettivamente sentito con una connotazione utile e necessaria, quindi se alla fine arrivi a trovare l’acqua a quel punto non sarà una piccola sorgente, ma un geyser.

Immagine di apertura: Una vedetta guarda Roma dai tetti di cordiale che sovrastano la città. Foto Andrea Boccalini - Prospekt Photographers

  • Roma. The passenger. Per esploratori del mondo, Iperborea, 2021
  • Il mito di Roma: da Carlo Magno a Mussolini, Andrea Giardina e André Vauchez, Editori Laterza, 2000
  • Remoria: La città invertita, Valerio Mattioli, Minimum Fax, 2019
  • Una capitale sul mare. A trent'anni dal progetto litorale '83, riflessioni su una nuova politica per Roma, Gualtiero Bonvino e Francesco D'Ausilio, Palombi Editori, 2013