Il progetto espositivo curato dall’associazione Cijauru per la Torre Matta del Castello Aragonese e lo spazio urbano della città di Otranto nasce dall’urgenza di fare emergere mappature, bussole complesse capaci di mettere in evidenza saperi, esperienze, modi di vita rimasti finora nell’ombra. La cittadina del Salento rappresenta, nelle intenzioni del curatore Francesco Scasciamacchia e dello storico dell’arte Davide De Notarpietro, un crocevia di storie, di genti, una complessità di rapporti con il resto del mondo. Sin dal titolo “Make this earth home”, la mostra rivela il suo desiderio di ricercare, di condividere percorsi e suggestioni. Frutto della residenza in Salento di Maria D. Rapicavoli, artista siciliana che vive e lavora a New York, non nuova a immersioni antropologiche, il progetto trova una sua origine nella Grotta dei Cervi di Porto Badisco, fascinoso scrigno di segni, miti che entrano in risonanza con la nostra contemporaneità, con il meticciato culturale che da sempre caratterizza questo lembo d’Italia. È qui, in questa grotta naturale costiera, situata lungo il litorale salentino che l’artista ha colto nella pittura rupestre che riproduce l’immagine di uno sciamano, il cuore del suo intervento attivando una rielaborazione in senso femminista. Analizzando la figura, Rapicavoli ha isolato un dettaglio che sembra riprodurre un organo genitale femminile che testimonierebbe come la pittura rappresenti non il Dio che balla bensì l’immagine della Grande Madre Terra a cui le genti del neolitico dedicavano rituali danzanti. Ecco che conoscenza e immaginazione si attivano per dare forma a uno sguardo, a un’azione autenticamente artistica. Questo dettaglio isolato dal resto del pittogramma va a comporre insieme ad altri motivi ripresi dalla Grotta dei Cervi una misteriosa e fitta sequenza mobile di segni che introducono il visitatore alla scoperta della Torre Matta del Castello Aragonese di Otranto, architettura fortificata recuperata di recente come contenitore culturale. L’intervento dell’artista dialoga con la struttura architettonica a più livelli da quelli spaziali a quelli acustici e luminosi. Nel suo lavoro la Rapicavoli astrae, quindi, dall’unicità di un oggetto, storia o materiale attraverso nuovi significati e simboli che diventano strategie estetiche per narrazioni geopolitiche e sociali di più ampio respiro. L’attenzione e la cura del luogo da parte dell’artista rivelano un recinto di relazioni che, per dirla con l’antropologo inglese Tim Ingold, genera una dwelling perspective, una prospettiva dell’abitare. L’artista non mira tanto a documentare quanto ad affinare un potenziale trasformativo che risiede nell’incontro tra conoscenza e l’immaginazione. Ecco che l’arte educa lo sguardo ad altre molteplici narrazioni dello stare nel mondo. Entrano in gioco la ricchezza delle tradizioni e le competenze artigianali legate alla densità culturale della Terra d’Otranto, una stratificazione di tecniche, saperi che affonda le radici nel tempo. Così l’artista ha avviato una collaborazione con gli artigiani del luogo, in particolare con il maestro cartapestaio leccese Mario Di Donfrancesco e i Fratelli Colì, maestri ceramisti di Cutrofiano. Nasce così l’opera più potente dell’intero impianto espositivo una composizione di vasi di terracotta di diverse dimensioni occupa la parte inferiore della torre. L’installazione I due mari rimanda alla cultura materiale dal periodo arcaico al periodo ellenistico e tardoantico del Salento, riproducendo svariate terrecotte che, diverse per forma e dimensione, rievocano sia gli stili di ciascun periodo storico, sia le differenti funzioni che il vasellame ha avuto nel tempo: uso domestico, offerta cerimoniale in devozione alla Grande Madre Terra, propiziatoria alle deità sotterranee e/o marine, come trasporto per alimenti (olio, vino, grano e cereali), come bene pregiato oggetto di scambi commerciali identificativi della gerarchia sociale, come strumento di irradiazione della cultura greca. Così i vasi, archetipo culturale diffuso e globale diventano simboli astratti delle stratificazioni culturali del passato salentino ancora testimoniate nel presente. L’artista stravolge il senso comune odierno delle identità nazionali e dei confini territoriali. Come una composizione corale, costituita da elementi unici ma disposti in modo collettivo, l’installazione ci conduce in un passato fatto di sovrapposizioni di razze, come testimoniato dai Messapi, protoabitatori autoctoni del Salento mescolati a Illiri, Epiri, Elleni, Fenici, Cretesi e a tutte le genti che attraversarono il Canale d’Otranto. I vasi illuminati singolarmente restituiscono i colori del mare di Otranto nelle sue molteplici variazioni, dal blu al verde, effetto scenico creato grazie alle diverse tonalità degli smalti all’interno di ciascun vaso riempito di acqua marina. Il mare diviene metafora assoluta degli scambi commerciali, culturali con le sponde ad Oriente e come ci ricorda il neon rosso di grandi dimensioni apposto sull’esterno del Castello Make This Earth Home (Fa’ di questa terra una casa).