La riscossa dello storyboard: l’arte dimenticata del cinema in mostra a Milano

Una nuova mostra dell’Osservatorio di Fondazione Prada restituisce dignità e rilevanza a un'arte poco sottovalutata, ma essenziale per il cinema. “Gli storyboard sono il cinema prima di esistere”, spiega a Domus lo storyboard artist Pablo Buratti.

“Il cinema è una forma d’arte che riunisce tutte le altre arti”, diceva il grande regista francese Jean-Luc Godard. È un’affermazione ovvia, che diamo per scontata. Il cinema incorpora la fotografia, i costumi, e poi scrittura, scenografia, musica, recitazione, regia e molto altro. Festival e premi celeberrimi incoronano queste discipline: Oscar, Emmy, David di Donatello in Italia, César in Francia. Ma c'è un'arte che rimane nell'ombra, nonostante sia parte integrante del modo in cui i film vengono immaginati: lo storyboard.

“Il valore dello storyboard non sta nella sua estetica, ma nelle decisioni narrative e tecniche intrinseche all'inquadratura”, afferma Pablo Buratti, storyboard artist che ha lavorato con registi come Pedro Almodóvar, Terry Gilliam e Álex de la Iglesia. Lo incontriamo all'Osservatorio di Fondazione Prada, dove la nuova mostra “A Kind of Language” fa luce sul mestiere trascurato dello storyboard. “Prendiamo il lavoro di Saul Bass per la sequenza della doccia in Psycho”, spiega Buratti, “ogni inquadratura, ogni taglio, il ritmo della scena, è tutto lì nei disegni. È arte pura”.

Anujman, diretto da Muzaffar Ali, 1986. Storyboard di Muzaffar Ali, 1985. Courtesy Muzaffar Ali Museum & Archives of Film & Arts

Mappare l’invisibile

Curata da Melissa Harris, “A Kind of Language” deve il titolo a David Byrne, frontman dei Talking Heads e artista eclettico. La mostra esplora i modi in cui gli storyboard e altri materiali di pre-produzione danno forma alla grammatica visiva ed emotiva del cinema. “Lo storyboarding riguarda il processo, la collaborazione”, spiega Harris. “È qualcosa che avviene dietro le quinte, uno spazio intermedio in cui il film inizia a prendere forma”.

A differenza delle sceneggiature o dei film finiti, gli storyboard non sono mai stati concepiti per essere custoditi. “Venivano spediti per posta, faxati, calpestati e messi da parte”, dice Harris. “La maggior parte di ciò che abbiamo sono copie, perché gli originali non sono mai stati considerati di valore”. Trovarli e ricostruire la storia di quest'arte è diventato un esercizio investigativo. “In alcuni casi, nemmeno i registi sapevano dove fossero conservati”.

Storyboard realizzati da Pablo Buratti per la mostra “A Kind of Language: Storyboards and Other Renderings for Cinema” all’Osservatorio Fondazione Prada, 2024

La mostra rivela il modo in cui i vari registi hanno affrontato la rappresentazione. Wim Wenders, per esempio, prima di girare Il cielo sopra Berlino ha scattato diverse fotografie di statue di angeli che si stagliavano contro il cielo nella capitale tedesca. Sofia Coppola ha realizzato personalmente i disegni delle scene chiave di The Virgin Suicides. Le tavole di Saul Bass per Psycho - quarantotto fotogrammi per una sequenza di quarantacinque secondi - sono una vera e propria lezione di tensione visiva.

Ma “A Kind of Language” va anche oltre il cinema, esplorando come i principi dello storyboarding si estendano alla danza, all'arte contemporanea e all'animazione. I disegni a tecnica mista di Matthew Barney per la serie Cremaster, ad esempio, fungono sia da storyboard che da progetto concettuale. Gli appunti coreografici di Merce Cunningham traducono il movimento in un linguaggio visivo. Anche registi sperimentali come Jean-Luc Godard hanno fatto ricorso al collage e alla narrazione diagrammatica, rivelando un impulso comune a strutturare le immagini prima che diventino movimento.

Lo storyboarding riguarda il processo, la collaborazione. È qualcosa che avviene dietro le quinte, uno spazio intermedio in cui il film inizia a prendere forma.

Melissa Harris

Melissa Harris e Andrea Faraguna. Foto Patrick Toomey Neri

Disegnare nello spazio

Tradurre gli storyboard in una mostra è una sfida, perché si rischia di avere solo tanti fogli di carta appesi alle pareti. Andrea Faraguna, dello studio di architettura berlinese Sub, ha risolto il problema progettando un ambiente immersivo e work-in-progress. Tavoli da disegno vecchio stile, inclinati ad angoli precisi, evocano gli strumenti tradizionali dell'artista dello storyboard. In alto, un'installazione a specchio riflette e moltiplica gli schizzi, suggerendo la natura sequenziale di una bobina cinematografica. “Volevamo incorniciare le cose, mettere in risalto la precisione del tratto e il momento in cui un'idea prende forma”, spiega Faraguna.

Storyboard di Max Douy per il Dune di Alejandro Jodorowsky, mai prodotto. © Istituto Jean Vigo (Fonds Max et Jacques Douy)

L’arte dietro l’arte

Per Buratti, fare l’artista di storyboard non è stato un percorso lineare. “Ho studiato cinema. Avrei potuto entrare in produzione, ma a un certo punto ho deciso di provare con lo storyboard. Ora è quello che faccio". Tre delle sue opere sono presenti qui all’Osservatorio: Julieta di Almodóvar (2016), The Man Who Killed Don Quixote di Gilliam (2018) e la serie HBO 30 Coins (2020-2023). Ha anche realizzato l'immagine chiave della mostra.

Buratti è stato presentato a Domus da Apple e il suo processo creativo è una miscela di vecchio e nuovo. “Prima lavoravo su carta, ma ora uso un iPad”, afferma. "Durante le prove, riprendo i video di riferimento con l'iPhone, li invio con AirDrop all'iPad e disegno direttamente sui fotogrammi. Questo rende il processo più veloce e accurato”. La tecnologia, osserva, ha rivoluzionato lo storyboarding. “A Hollywood, interi reparti creano animazioni per un film prima ancora di girarlo. In Europa, invece, tendiamo ancora a usare lo storyboard per sequenze specifiche: scene d'azione, sequenze con CGI o logistica complessa”.

Volevamo incorniciare le cose, mettere in risalto la precisione del tratto e il momento in cui un'idea prende forma.

Andrea Faraguna

Il cielo sopra Berlino (Wings of Desire), diretto da Wim Wenders, 1987 Disegno di Henri Alekans, 1987. Courtesy Wim Wenders Stiftung

E l'intelligenza artificiale? “È già qui”, riconosce. “Dovrebbe essere uno strumento, un punto di partenza, non il risultato finale. Uso l'AI per generare immagini di riferimento quando sono bloccato, ma il vero lavoro, ovvero la narrazione, l'inquadratura e le decisioni, è ancora umano”.

“Gli storyboard sono il cinema prima che esista”

Le influenze di Buratti spaziano dalle composizioni visive precise di Saul Bass e Alex Tavoularis ai mondi cinematografici di Fellini, Hitchcock e Tati. Trova ispirazione nella ricca narrazione visiva di Moebius e nella precisione atmosferica di artisti concettuali come Alan Lee e John Howe. Sebbene abbia lavorato a una vasta gamma di film, ci sono progetti che avrebbe voluto poter storyboardare—tra questi, La Cosa di John Carpenter e Per un Pugno di Dollari di Sergio Leone.

Pablo Buratti

Prima di salutarci, Buratti esprime una riflessione importante. “La gente pensa che gli storyboard siano solo degli schizzi, ma non è così. Sono il cinema prima che esista. La prima volta che si vede un film è su carta”, sottolinea.

“A Kind of Language lo rende visibile”. E, finalmente, gli dà il riconoscimento che merita.

Immagine di apertura: Il cielo sopra Berlino (Wings of Desire), diretto da Wim Wenders, 1987 Disegno di Henri Alekans, 1987. Courtesy Wim Wenders Stiftung

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