Una rondine non fa primavera, e forse nemmeno due o tre. Ma nel caso del coronavirus, al netto delle discutibili iniziative di qualcuno (dal livello privato e personale a quello pubblico se non internazionale), negli ultimi giorni non mancano segnali incoraggianti. Anche se solo il tempo ci darà risposte sicure, per il momento la fase due procede sotto i migliori auspici, e anzi già ci si domanda cosa resterà del lungo periodo di lockdown appena trascorso.
Alla fotografia, da sempre sostegno del ricordo, l’arduo compito di documentare per non dimenticare. Ma se una delle tipologie più iconiche e rappresentative di questo momento storico è sicuramente quella delle foto di città deserte, come affrontare il tema senza ripetersi, evitando cioè di aggiungere nuove a vecchie immagini senza dire nulla di diverso?
Giovanni Hänninen ci prova a suo modo con un lavoro che è al contempo personale e universale. A colpire nelle classiche e rigorose inquadrature del suo “The missing piece” è ovviamente il bianco che come un colpo di cancelletto ha preso il posto delle pubblicità negli spazi a loro canonicamente dedicati: resa vana dall’assenza di occhi che la subiscano, la comunicazione pubblicitaria si è zittita, sottraendo rumore visivo a una Milano già meravigliosamente silenziosa.
Conscio che la città non è ferma, ma solo in pausa, Hänninen vede questo “pezzo mancante” come «una metafora del periodo che stiamo vivendo» e, sempre nelle sue parole, «la ricerca dei cartelloni in tutta la città diventa il pretesto per il racconto della vita durante questa emergenza epocale».
Ad attirare l’attenzione in seconda battuta sono infatti proprio quelle sparute figure di esseri viventi che, come in una nuova forma di umanesimo, forniscono un elemento di misura sia per la città che per l’emergenza stessa. E, quindi, per quest’epoca.
Come le prime rondini della stagione, sono i segni di una città che resta in movimento, o che lo riprende lentamente, ma sono anche i testimoni di un passato recentissimo, praticamente ancora presente, «una memoria per il futuro, un modo per ricordarci di questa pausa anche quando la vita delle nostre città tornerà ad essere frenetica». In modo complementare i cartelloni vuoti rappresentano uno “spazio disponibile” per nuove idee, una metafora per la speranza che da questo periodo nasca un nuovo modo di vivere e intendere la città, la sua architettura e il suo utilizzo.
A margine, viene anche un po’ da ridere di tutte quelle aziende e multinazionali che ci bombardavano con le immagini dei loro prodotti e che non hanno visto in questo frangente la possibilità che quelle stesse immagini, riprese coi droni e rimesse in circolo nel sistema d’informazione globale attraverso giornali e telegiornali, restassero immortalate per sempre a futura memoria dei loro consumatori in un loop pubblicitario potenzialmente eterno (e molto economico).
Col suo intelligente connubio tra fotografia d’architettura e reportage socio–urbanistico, The missing piece troverà un suo spazio di fruizione come ospite della Arch Week Marathon in programma sabato 16 maggio dalle 11.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00: forte di relatori del calibro di Petra Blaisse, Peter Eisenman, Bjarke Ingels, Rem Koolhaas, Daniel Libeskind, Patrik Schumacher e Kazuyo Sejima, l’evento, che sarà arricchito da una serie di interventi sulla Milano della ricostruzione nel dopoguerra (con docenti del Politecnico di Milano), e dalle testimonianze di alcuni citymaker attivi nei quartieri di Milano (a cura di Fondazione G. Feltrinelli), sostituisce in versione digitale l’abituale settimana di appuntamenti prevista anche quest’anno a Milano, e sarà trasmessa sulle pagine Facebook di Milano Arch Week e Triennale Milano e sul canale YouTube di Triennale Milano.