5 mostre da non perdere a Les Rencontres d’Arles 2024

C'è tempo fino al 29 settembre per visitare il festival che ha reso Arles La Mecca della fotografia. Vi raccontiamo la sua storia, dalla nascita alle cinque mostre da non perdere nell’edizione 2024.

Quando si pensa ad Arles, il primo pensiero va a Vincent van Gogh. Il secondo al suo celebre dipinto “L'Arlesiana”, ritratto di Marie Ginoux, la moglie del proprietario del Café de la Gare da cui prese in affitto la famosa Casa Gialla. È l’immagine di una Provenza tradizionale, fatta di merletti, profumo di lavanda e della campagna incontaminata dove il pittore trascorse il periodo più luminoso della sua vita.
Ma Arles è anche molto altro.

Dal 1970 la città si è affermata come un importante centro per l’arte contemporanea, con una particolare vocazione per la fotografia, grazie al festival ideato da un piccolo gruppo di appassionati: il fotografo Lucien Clergue, il curatore Jean-Maurice Rouquette e lo scrittore Michel Tournier, che osservava:

Questa piccola città era destinata a diventare la capitale della fotografia. In primo luogo per la luce, e per l'aria provenzale. Poi per l'architettura e l'arena. E ovviamente, per le persone

Di quel gruppo di amici rimane il forte senso di comunità che abita ancora oggi il festival: agli angoli delle strade, nei box, nelle case, nei negozi come negli ex spazi industriali e nelle chiese si susseguono mostre, lezioni, incontri, talk, workshop dedicati agli appassionati, occasioni di revisione e confronto diretto con grandi maestri.

Eikō Hosoe Arles atelier 4, Arles, 1979. Foto Jacques Revon.
Eikō Hosoe Arles atelier 4, Arles, 1979. Foto Jacques Revon.

Di qui sono passati Ansel Adams, Manuel Álvarez Bravo, Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Don McCullin, Gisèle Freund, André Kertész, Josef Koudelka, Sergio Larrain, e poi i fotografi della generazione successiva come Sophie Calle, Thibaut Cuisset, Alain Fleischer, Gao Bo, Nan Goldin, Françoise Huguier, Annette Messager, Martin Parr, Sophie Ristelhueber.

In un mondo saturo di immagini, è diventato fondamentale imparare a guardare talvolta altrove e diversamente, a scavare nella profondità di un luogo comune, nelle pieghe della sua storia

Rachida Dati, Ministro della Cultura

Un grande evento di ricerca e formazione, aperto a specialisti e amatori, che presenta una formula unica e ancora oggi vincente. L’edizione 2023 ha contato circa 145mila visitatori  e quella 2024 promette di fare altrettanto con i sussidi pubblici a costituire solo il 27% di un budget di 7,45 milioni di euro e biglietti che rappresentano il 39% degli incassi (a cui vanno aggiunte le produzioni, coproduzioni e sponsorizzazioni).

Fotografi, artisti e curatori rivelano le loro visioni, le loro storie, quelle della nostra umanità, a volte contrastata, in perenne ridefinizione, resiliente o visionaria.

Spiega Christoph Wiesner, Direttore della rassegna dal 2020. Racconti fatti di immagini, che compongono una fitta agenda composta da più di 40 mostre. 

Ecco quelle da non perdere:

1) Sophie Calle, Finir en beauté, Criptoportiques

Sophie Calle. Finir en Beauté, 2024. Courtesy Anne Fourès.
Sophie Calle. Finir en Beauté, 2024. Courtesy Anne Fourès.

Poco prima dell'inaugurazione della grande mostra “À toi de faire, ma mignonne” al Musée Picasso di Parigi, una tempesta ha danneggiato il magazzino dell'artista e la muffa ha danneggiato “The Blind”, una delle serie che dovevano essere esposte. Non curante del consiglio dei conservatori Sophie Calle decide di non buttare la serie, così importante per la sua carriera e ormai purtroppo irreparabilmente danneggiata dalle spore ma piuttosto di seppellirla nelle gallerie sotterranee di Arles, che l'anno precedente avevano danneggiato il lavoro di altri fotografi a causa dell'umidità. La mostra è l'ultima occasione per salutare il ciclo di opere che più di ogni altro ha reso famosa l'artista prima che si disintegri entrando per sempre a far parte delle fondamenta della città di Arles: testi e fotografie raccontano dell'ultima immagine rimasta impressa nella memoria di un gruppo di non vedenti.

2) Mary Ellen Mark, Encounters, Espace Van Gogh

Tra le proposte di questa edizione spicca sicuramente la prima retrospettiva globale dedicata alla ritrattista americana Mary Ellen Mark. Intitolata “Encounters”, la mostra raccoglie cinque dei suoi progetti più famosi: dai servizi sulle donne internate all'Oregon State Hospital, ai bambini di strada di Seattle, così come le prostitute di Mumbai, i bisognosi di Madre Teresa e le famiglie del circo itinerante in India. Un concentrato di scatti iconici, materiali d'archivio, provini a contatto, appunti personali e corrispondenza ufficiale dimostrano l'incredibile caapcità della fotografa nell'entrare in contatto e instaurare rapporti intimi con i saggetti che spesso tornava a fotografare a distanza di anni.

3) Bruce Eesly, Le fermier du futur [New Farmer], Croisiere

New Farmer si atteggia a raccolta di fotografie documentarie degli anni '60 che inneggiano al successo della Rivoluzione Verde. La manipolazione genetica è ritratta come una conquista culturale e scientifica: ci ha portati a godere di nuove varietà di colture, più raccolti, ortaggi migliori. Uomini in giacca e cravatta selezionani scrupolosamente i semi migliori, misurano l'altezza delle spighe di grano, studiano specie agricole più promettenti. Fotografia dopo fotografia l'artista Bruce Eesly spinge questa idilliaca narrazione green oltre il limite della credibilità: i finocchi diventano grandi quanto un bambino, i broccoli quanto una casa, industrie agricole sono vittime di detonazioni causate da vegetali. Un vortice di realtà e finzione che accompagna fino alla scoperta: il ciclo di fotografie è interamente generato dall'intelligenza artificiale. 

4) Rajesh Vora, Everyday Baroque (2014-2019), Maison des peintres

Rajesh Vora ha iniziato a fotografare gli oggetti scultorei che adornano i tetti delle case nell'entroterra del Punjab nel 2014. A partire dalla fine degli anni '70, quelli che vengono chiamati NRI (Non-resident Indians) hanno iniziato a costruire case nei loro villaggi d'origine, integrando il paesaggio locale con strutture scultoree colorate, rappresentative dei propri interessi e della propria identità. Si tratta di case semidisabitate, che rimangono chiuse per la maggior parte dell'anno. Il susseguirsi di ornamenti come carri armati, pesisti, eroi, palloni da calcio, fiori di loto, auto e aerei sui loro tetti rappresenta la successione di proprietà e quindi fallimento e successi delle famiglie proprietarie. Vora ha percorso oltre 6.000 km nel Punjab per fotografare questo fenomeno culturale e sociologico unico.

5) Randa Mirza, Beirutopia, Maison des peintres

Randa Mirza. The Selective Residence, Beirutopia series, 2019. Courtesy dell'artista / Tanit Gallery.
Randa Mirza. The Selective Residence, Beirutopia series, 2019. Courtesy dell'artista / Tanit Gallery.

La mostra personale di Randa mirza esamina la brutale trasformazione di Beirut nel dopoguerra attraverso sette opere prodotte tra il 2000 e il 2022. Un saggio visivo che muove dall'esperienza biografica dell'artista e si allarga alla città: Beirutopia, l'opera che dà il nome alla mostra, denuncia le politiche di ricostruzione postbellica e la cancellazione dell'identità urbana. La Beirut del futuro, simulata e raccontata nei tabelloni pubblicitari delle agenzie immobiliari, è una città illusoria, un rendering creato per rimanere tale, così come il sogno di uno stile di vita standardizzato, il lusso, il benessere, il confort. Una premonizione  della crisi politica, finanziaria e sociale che sta vivendo il Libano.

Immagine di apertura: Mary Ellen Mark. Feminist demonstration, New York City, 1970. Courtesy The Mary Ellen Mark Foundation / Howard Greenberg Gallery.

Mostra:
Les Rencontres de la photographie
Dove:
Arles
Date:
fino al 29 settembre 2024

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