Tensioni nella politica albanese. Lo scorso 9 Dicembre il Partito Democratico dell’Albania all'opposizione, guidato da Lulzim Basha, si è rivolto alla Corte Costituzionale del Paese per contestare l'accordo sui migranti siglato da Edi Rama e Giorgia Meloni. Frontex annuncia che non aiuterà l’Italia per i rimpatri dal’Albania. La questione è complessa.
L’Albania nella memoria europea è un paese migrante ed è difficile dimenticare l’8 agosto 1991, quando nel porto di Bari avveniva il più grande sbarco di migranti mai giunto in Italia. Un momento chiave della ribellione del popolo albanese.
L’Albania però non è il paese dei migranti, ma una terra ricca d’arte e di storia che ben racconta l’artista Vangiush Mio.
“Poeta del paesaggio albanese.” “Primo e unico impressionista albanese.” “Pioniere della luce nel dipinto.” “Iniziatore dell’arte moderna in Albania.”
Questi i vari titoli e appellativi tributati a uno dei più importanti pittori realisti del XX secolo. Nasce a Korçë, Coriza, nel 1891, una cittadina al confine con la Grecia e la Macedonia, più nota come la piccola Parigi dell’Albania, da una famiglia di umili origini.
Mio si trasferì a Bucarest giovanissimo insieme al fratello. Proprio lì, nel 1915, iniziò i suoi studi presso L’Università Nazionale delle Arti di Bucarest per poi recarsi a Roma nel 1920 per proseguirli presso la Reale Accademia di San Luca. Profondamente attratto dalla pittura impressionista italiana di Silvestro Lega, Giovanni Fattori, Telemaco Signori, più noti al grande pubblico come i Macchiaioli, Mio iniziò a studiarne i segreti, l’uso dei colori e la loro sintassi.
Poco dopo però Mio fu costretto a tornare in Albania, purtroppo la vita dell’artista nella capitale necessitava di troppi sforzi, soprattutto economici. Accettò un lavoro presso la scuola francese di Corizia come insegnante d’arte. Una scuola prestigiosa che ripagava Mio non solo economicamente ma sopratutto con il prestigio che proveniva da quel ruolo che ricopriva.
Ebbe tra i suoi studenti anche Enver Hoxha, noto politico del partito comunista, che divenne poi leader dell’Albania. Proprio grazie a quel lavoro, a quella posizione che occupava, l’artista tornò in Italia nel 1924 per laurearsi grazie ad una borsa di studio governativa. La sua terra rimase però il suo più grande amore e alla fine degli studi, dopo tango girovagare, Vangjush Mio rientrò in Albania.
L’utilizzo della fotografia fu per lui necessario, imparò le tecniche dal suo amico e fotografo Kristaq Sotiri, tutto era essenziale affinché ogni dettaglio della sua terra fosse ispezionato senza tralasciare nulla così da poterlo riprodurre nelle sue tele per mezzo del suo pennello. Le forme, le ombre, le tonalità. Tutto era determinante, tutto era estremamente vero e complesso nella sua semplicità.
L’Albania rappresenta per Mio un luogo fondamentale, non solo per il suo percorso artistico, ma per la storia, il paesaggio, il passato più lontano e il presente di una terra dalle mille bellezze, forse troppo dimenticata. La dipinge così, in ogni angolo, come si dipinge una musa. I colori, il mare, le chiese, le colline, gli abitanti. Una terra da pregare, da scoprire, da immortalare.
Immerso nella natura più incontaminata, svetta il Monastero di Shen Naum. In stile bizantino, il monastero si affaccia sul lago di Ocrida. Apparteneva all’Albania, sino a quando il Re albanese Zog, nel 1925, decise di darlo in dono agli Jugoslavi come ringraziamento per il loro aiuto nella riconquista del potere. Lo scontento degli albanesi era così forte che Mio, nel 1941, lo scelse come soggetto, come per tenerlo stretto a lui, al suo popolo.
La prospettiva è interessante. Il monastero appare quasi un orpello, un abbellimento architettonico che lascia spazio a quella strada deserta e bianca dove un ragazzo siede, forse rimane li immobile poiché immerso nelle sue letture. Il bianco rapisce la scena, tutto scompare, ma, nella parte alta dell’opera, l’ombra dello stesso monastero accompagna la lettura del quadro, facendo si che l’attenzione torni su di lui. Una materia leggera, che si fonde con le forme e le luci di quel paesaggio tanto amato. Mio trasforma il tecnicismo pittorico in realtà. Sembra quasi di sentire il tepore del sole, il cinguettio degli uccellini, il rumore del vento. “L’Impressione” diventa sua.
Amava viaggiare Vangjush, infatti le sue opere sono state esposte in Italia, sopratutto a Venezia dove ha partecipato alla nota Biennale nel 1923, in medio ed estremo Oriente, in Romania, alla Biennale di Alessandria, ma amava soprattutto esplorare la sua Albania. Si ferma a Berat, nella parte meridionale della nazione e dipinge uno scorcio di una città che oggi è patrimonio dell’Unesco.
Sunto di combinazioni tra occidente e oriente, divisa dal fiume Osum, Mio la sceglie nel suo lato più semplice, più “mediterraneo”. Potremmo essere in una piccola cittadina della Puglia, le cui coste non sono molto distanti da lì, la folta e disordinata vegetazione, le strade di ciottoli e ancora il bianco che dà prospettiva. Una donna si allontana dal primo piano del dipinto. Ritratta con il capo coperto, vestita di nero, la tipica veste della cultura albanese. La prospettiva è sempre perfettamente studiata, nulla è lasciato al caso e la materia pittorica, nella sua leggerezza, gioca a dar maggior poesia all’opera.
A Korça, la sua città, in una tipica abitazione ottomana, sorge il museo Vangjush Mio, il suo santuario. Tutto è conservato con estrema cura. Le sue opere ancora sul cavalletto, le pareti tappezzate di vedute e nature morte, i suoi ritratti, i suoi nudi. Pavimenti in legno e boiserie. La sua casa, la sua arte.
L’Albania è stata per Vangjush Mio la più grande fonte d’ispirazione, la sua musa, la sua possibilità artistica. Un pittore poco conosciuto, di nicchia, che offre al grande pubblico la bellezza dei suoi luoghi.
Immagine di apertura: Vangjush Mio, Berat, 1957, olio su tela