“C’è un tale Michelangelo da Caravaggio che a Roma fa cose notevoli [...] costui s’è conquistato con le sue opere fama, onore e rinomanza. [...] egli è uno che non tiene in gran conto le opere di alcun maestro, senza d’altronde lodare apertamente le proprie. [...] Ora egli è un misto di grano e di pula; infatti non si consacra di continuo allo studio, ma quando ha lavorato un paio di settimane, se ne va a spasso per un mese o due con lo spadone al fianco e un servo di dietro, e gira da un gioco di palla all’altro, molto incline a duellare e a far baruffe, cosicché è raro che lo si possa frequentare.” Un sunto perfetto quello di Kerel van Mander, biografo, poeta e pittore fiammingo.
Nasceva oggi, nel 1571, uno dei pittori più acclamati di tutti i tempi: Michelangelo Merisi detto il Caravaggio.
Un rivoluzionario, artista ultramoderno, sedizioso, carismatico e sensuale nel suo tratto, Caravaggio segna e trasforma il XVII secolo della pittura europea.
Caravaggio arriva a Roma, come racconta van Mander, intorno agli inizi degli anni Novanta del 1500 dove approfondisce lo studio del corpo umano. Le tematiche dell’arte che il talento di Caravaggio propone alla committenza e al suo pubblico sono le storie pasoliniane ante litteram dei ragazzi di strada: imbroglioni, bari, tarocchi, la bonaventura, il dolore, la precarietà della vita umana con il Canestro di Frutta, la malattia con Bacchino malato, ma è nelle scene religiose, dove cerca di creare un contatto diretto e umano tra il popolo e la Chiesa, che i corpi del Caravaggio comprendono l’esperienza delle forme.
In una delle opere più note, Cena in Emmaus, i personaggi mostrano la capacità di proiettarsi ben oltre i limiti della divina carnalità, del loro vissuto, in un contrasto che stabilisce attraverso il tema sacro dell’opera una semantica nuova, la tipica forza cromatica che solo il Merisi riuscirà ad articolare, argomentandola con un linguaggio fino ad allora sconosciuto. Gesù, il fulcro della scena. Un momento, un gesto. La tipica penombra caravaggesca illumina appena il suo volto stanco. Lo sguardo è rivolto verso il basso, dolce, accogliente concentrato nell’atto che sta per compiere: la benedizione del pane. “Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro” (Luca 24, 30).
La tunica e il mantello, indossati dal Cristo, amplificano nei panneggi la stessa gestualità, come se tutto andasse incontro al movimento, come se le vesti fossero parte di quel gesto così sacro. Un ritorno alla vita dove il pane si fa emblema sacro e la distanza delle mani del Cristo produce e altera il gesto e l’oggetto, il pane, che diventa il centro dell’essenza del momento.
“Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista” (Luca 24, 31). Due i discepoli, uno ritratto di spalle, l’altro preso nel pieno del suo stupore. Ha riconosciuto il Cristo. Cleopa, forse, viene descritto con la fronte corrugata, proteso verso Gesù. Energico e forte è il gesto delle sue braccia, afferra gli angoli della tavola, come per alzarsi. Una tunica semplice lo veste ma il drappo bianco anima il movimento. Tutto vibra con forte intensità, la forza del gesto percorre le vesti del discepolo che forse vuole fermare il Cristo, abbracciarlo, riconoscerlo perchè prima aveva mancato nel farlo.
Accanto a lui la brocca del vino, inserita dal Caravaggio non per caso. L’osservatore è prigioniero del percorso di lettura, puntuale, come le scritture. Dal pane al vino. Alle spalle di Gesù l’oste e la cameriera. L’uomo, non più giovane, raffigurato con un’ampia fronte corrugata, partecipa alla scena osservando il gesto benedicente di Gesù. La testa abbassata, il mento che scende fino a toccare il collo e la mano sinistra nascosta nella tasca.
L’anziana cameriera, proprio accanto all’oste, indossa abiti umili, modesti e una cuffia bianca che le copre i capelli raccolti. Anche lei viene raffigurata con un volto solcato da profonde rughe.
La figura della cameriera appare estremamente affascinante poiché è l’unica a non guardare Gesù: tiene lo sguardo basso, quasi distratta, assente, mentre con le mani sorregge un piatto. Nell’umiltà del suo gesto si distacca dal gruppo e dal momento, come se nulla stesse accadendo, come se la sua quotidianità non venisse toccata ne dalla figura di Gesù ne dalla sacralità della scena.
Un’altra versione della Cena in Emmaus, conservata alla National Gallery di Londra e realizzata dal Caravaggio nel 1602 ci aiuta a comprendere una seconda versione.
L’impostazione generale è molto simile ma i due dipinti presentano sostanziali differenze. Una più luminosa, dai colori marcati, più ricca di elementi, l’altra più cupa, semplice, meditativa.
Le due opere vengono prodotte a pochi anni di distanza ma lo stile appare molto differente.
Una composizione più sobria, più attenta al significato del momento è questa, una tecnica più matura ed un risultato compositivo ed espressivo molto più alto, più elaborato e drammatico.
Il dipinto in questione è stato realizzato in una fase tormentata della vita dell’artista lombardo. Il 29 maggio 1606, durante una rissa, uno degli avversari del Merisi, Ranuccio Tomassoni, viene ucciso ed è proprio lui ad essere accusato dell’omicidio, così, per sfuggire alla condanna a morte, lascia Roma e si rifugia a Zagarolo, un paese poco lontano dalla capitale.
Viene ospitato dai principi Colonna, Costanza Colonna è infatti marchesa di Caravaggio avendo sposato Francesco Sforza, ed è qui che dipinge la seconda versione della Cena in Emmaus. L’opera viene subito venduta per poter proseguire la sua fuga. Viene acquistato dalla nobile famiglia dei Patrizi e custodito nel palazzo di famiglia al centro della città fino al 1939, quando, su proposta del direttore Ettore Modigliani, viene acquistato dallo Stato e destinato alla Pinacoteca di Brera.
Proprio riguardo l’uccisione di Ranuccio Tomassoni interviene Claudio Strinati, storico dell’arte ed ex soprintendente del polo museale romano: “Caravaggio era un figlio del suo tempo. Roma era una città di grandissima conflittualità. In quella circostanza, Caravaggio agì secondo una frequentatissima logica di comportamento e, esaminando il caso, c’è anche da propendere per la legittima difesa. Essendo il più grande dei pittori, sembra che anche quell’episodio lo sia, ma non è così”.
Immagine di apertura: Caravaggio, Cena in Emmaus, 1606