Tutto il mondo continua a fare i conti con l’emergenza climatica. Tanti, troppi i territori devastati da drastiche ondate di maltempo: alluvioni, trombe d’aria, mentre tutta la comunità scientifica continua a gran voce a chiedere alle istituzioni d’intervenire quanto prima. Il maltempo continua ad abbattersi sul bel paese e non dimentichiamo la grande ondata che ha travolto l’Emilia Romagna. Una terra ricca, pianeggiante, florida ma soprattutto una terra d’arte, paese d’origine di artisti del calibro di Lavina Fontana, Annibale Carracci, Elisabetta Sirani o Giovanni Francesco Barberi detto il Guercino. L’Emilia Romagna oggi è la terra dell’agroalimentare, della Motor Valley: Ferrari, Lamborghini. Mentre un tempo il suo primato era senza dubbio artistico. Nella seconda metà dell’Ottocento il figlio dell’artista Antonio Boldini vuole seguire la professione del padre. Ogni giorno si reca a copiare gli antichi dipinti esposti a Palazzo dei Diamanti: Il Garofalo, Dosso Dossi, Cosmè Tura e Ercole De Roberti.
Emilia-Romagna. Terra d’arte
La terra colpita dall’alluvione è stata paese d’origine di tanti grandi artisti. Tra di loro Giovanni Boldrini, che Gertrude Stein considerava il più grande pittore dell’Ottocento. A Ferrara, dov’era nato, sorge il museo che ne porta il nome.
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- Valentina Petrucci
- 09 giugno 2023
Gli esercizi del giovane Giovanni Boldini, che guardavano ad artisti conterranei “primitivi”, così venivano definiti, non stupiscono, la copia infatti era il mezzo didattico più in auge. Fu suo padre però il primo maestro. Antonio intuì le capacità del figlio e decise d’insegnargli le tecniche basilari della pittura.
Il giovane Boldini lasciò Ferrara e scelse Firenze. Lo vedremo infatti assiduo frequentatore del Caffè Michelangelo insieme a Giovanni Fattori, Telemaco Signorini e Silvestro Lega.
Anna Maria Brizio, storica dell’arte e accademica italiana (1902-1982) defìnì Boldini macchiaiolo “autentico e dei maggiori”. Per Boldini lo sforzo di fare “macchia” sarebbe stato improbo, avverte Renato Barilli, critico d’arte. Le prime soddisfazioni economiche arrivano al giovane Boldini ritraendo i residenti inglesi di Firenze.
In una recensione del 1867 Telemaco Signorini scrisse: “I ritratti si son fatti fin qui con una massima sola, cioè dovevano avere un fondo unito il più possibilmente per fare staccare e non disturbare la testa del ritrattato; precetto ridicolo, e lo dice il sii. Boldini coi suoi ritratti che hanno per fondo ciò che presenta lo studio, di quadri, stampe ed altri oggetti attaccati al muro, senza che per questo la testa del ritrattato ne scapiti per nulla”. Così anche Firenze divenne una città troppo stretta, una città dai dettami artistici troppo vincolati.
Seguendo la committenza straniera incontrata a Firenze, si trasferì a Londra. Il momento era propizio, in Inghilterra infatti si gode della prosperità seguita all’abbattimento di Napoleone I e i preraffaelliti in quella terra la facevano da padroni. Nessuna testimonianza accerta la vicinanza del ferrarese a loro, a quella pittura così romantica e lontana dalla realtà che andava in qualche modo in conflitto con le sue ricerche artistiche. Un nuovo trasferimento, una nuova meta. Boldini scelse Parigi, dove ben presto entrò in contatto con quell’alta borghesia, con l’aristocrazia sia francese che americana. Trovò accoglienza a Place Pigalle, e come al caffè Michelangelo, scelse un crocevia di artisti che ogni giorno lo attendevano al Cafè de la Nouvelle Athènes.
Fece amicizia con Degas, che lo considerava il “demone della pittura” e da quella città ebbe inizio la sua carriera di artista della Belle Époque.
Impasti densi, pennellate veloci, lunghe e vibranti che disgregano figure e superfici, il tutto in linea con l’estetismo che rincorreva, dove i dipinti erano svincolati dalle contingenze esistenziali attraverso un aristocratico distacco e una rilevanza conferita dalle parvenze femminili ed esteriori. Furono infatti le donne le protagoniste assolute dei suoi ritratti. Donne borghesi, sensuali e piene di personalità come il ritratto di Mademoiselle de Gillespier, Lady Biarritz.
La donna appare intenta a fuggir via da una sala, nessun dettaglio nello sfondo che attesti il luogo, ma la percezione del movimento è definita dalle vesti. Tira su il suo lungo abito rosa, il rumore del taftà è percepibile. Altera, bella, sicura di sé. L’abito, molto scollato, le scende sulle spalle, scoprendole di più il busto. Poco importa. Lei va. I suoi nudi stupiscono e stravolgono. Nel 1930, nella sua piena maturità artistica, Boldini dipinge un’opera che ricorda la posa della Venere di Urbino di Tiziano o l’Olympia di Édouard Manet: Nudo sdraiato. Una chaise longue accoglie il corpo della donna, i colori sono molto intesi, caldi, delle veloci pennellate nere si alternano a quelle rosse, talmente grandi e penetranti che appaiono come macchie. Sinuosa è la donna, disincantata e poco partecipe al momento indicando così un’occasione rubata, quasi non voluta, privata, sembra infatti che la donna stia guardando qualcun’ altro o qualcos’altro. Le calze nere e il bracciale appena accennato sono i soli accessori che indossa la donna. Nuda. Svestita. Fiera. Il nudo rappresentava per l’artista ferrarese un intreccio di relazioni culturali, ricerche e diffusione della concezione classica, un simulacro del bello.
Si dilettò in splendide nature morte, vedute, soprattutto di Venezia, ma il suo grande amore rimase sempre il ritratto.
La fama di Boldini diede gran lustro alla sua città, alla sua nazione e la Belle Époque parigina, che fioriva tra i teatri, i caffè, i boulevards, era rappresentata in esclusiva da un gruppo d’italiani di cui Giovanni Boldini fu il portavoce: Giuseppe De Nittis, Vittorio Matteo Corcos, Antonio Mancini e Federico Zandomeneghi. Un legame profondo fu quello tra Ferrara e Giovanni, una città che l’ha istruito e spinto via, una culla rinascimentale fondamentale per la sua crescita artistica.
Decretò Gertrude Stein, scrittrice, poetessa, collezionista e mecenate statunitense: “Quando i tempi avranno situato i valori al giusto posto, Boldini sarà considerato come il più grande pittore del secolo scorso”.
Museo Giovanni Boldini
Nel centro di Ferrara, in Corso Porta Mare 9, proprio di fronte al noto Palazzo dei Diamanti, venne istituito nel 1935 il Museo Giovanni Boldini: la più grande raccolta pubblica delle opere del maestro ferrarese. Circa sessanta i dipinti e un migliaio i disegni, le incisioni, gli acquerelli e tanti oggetti personali provenienti dal suo studio e dalla sua abitazione parigina. Nell’antico Palazzo Bevilacqua, eretto nel XVI secolo, commissionato da Onofrio Bevilacqua, oggi il palazzo è più noto come Palazzo Massari, per via della più recente acquisizione dei conti Massari. Proprio lì hanno sede tre importanti istituzioni museali civiche: il Museo dell’Ottocento, il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea Filippo De Pisis e naturalmente il museo Giovanni Boldini.
Il palazzo ospita anche il più grande parco pubblico della città di Ferrara, all’interno delle mura, progettato dall’architetto ferrarese Luigi Bertelli.
Immagine di apertura: Mademoiselle de Gillespier, Lady Biarritz