Osservando il grafico delle quotazioni dei Bitcoin è facile immaginare i sempre più numerosi investitori che dal primo picco della criptovaluta, nel giugno 2016, si sono ritrovati una o più notti a fissare quelle righe verdi e rosse, studiando cunette, depressioni e risalite, alla ricerca disperata di un pattern che li aiutasse a prevedere il valore futuro della moneta. È mai possibile prevedere il valore di una criptovaluta? E quello di un NFT?
NFT: quattro “segreti” per capire il loro vero valore
Quanto valgono davvero gli NFT? Una ricerca recente lo spiega bene e racconta come l’evoluzione dei non fungible tokens sia strettamente connessa al mondo digitale del futuro. Metaverso compreso.
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- Silvia Dal Dosso
- 16 dicembre 2021
Nel marzo 2021, destati di soprassalto dalla notizia che ha fatto il giro del mondo – l’NFT associato all’opera Everydays: the First 5000 Days dell’artista statunitense Beeple era stato appena battuto all’asta di Christie’s per la somma di quasi 40mila Ether, corrispondenti al momento della vendita a 69,3 milioni di dollari – alcuni ricercatori dell’Alan Turing Institute hanno deciso di mettere a punto un sistema di raccolta e analisi dati che raccontasse la storia del mercato degli NFT dal giugno 2017 all’aprile 2021, su un totale di 6,1 milioni di transazioni. L’articolo Mapping the NFT revolution: market trends, trade networks, and visual features, di recentissima pubblicazione, cerca di individuare quali sono i fattori che determinano il prezzo di vendita di un NFT.
In un solo anno il mercato dei token non fungibili (NFT) è passato da circa 340 milioni a 14 miliardi di dollari, e mentre ancora qualcuno si domanda che senso abbia investire in un .jpg e molti protestano per l’impatto ambientale delle transazioni in proof of work, brand di lusso e case d’asta, da Gucci a Sotheby’s si affrettano a lanciare il loro metaverso: una serie di luoghi virtuali dove oggi è possibile, tra le altre cose, collezionare avatars e item da gioco, vestire capi digitali griffati ed esibire opere d’arte immateriali, tutto facilmente acquistabile sotto forma di NFT. Un nuovo mercato in cui l’arte e la moda straordinariamente arrivano per seconde, imitando e cercando collaborazioni con l’industria dei videogiochi, mentre Morgan Stanley dichiara che tra meno di dieci anni il 10% dell’industria del lusso sarà composta da NFT comprati, acquistati e soprattutto – fate attenzione – affittati, nel metaverso.
Queste cifre da capogiro fanno sorgere altri dubbi e domande: si tratta di una bolla, destinata a gonfiare finchè ci saranno nuovi arrivati per poi implodere su se stessa, o di un investimento capace di assicurare forme di “eternal passive income”, soprattutto nel caso in cui gli NFT possono essere affittati? Dalla conversazione con due degli autori di Mapping the NFT revolution, emergono finalmente alcune risposte.
Mauro Martino, direttore del Visual AI Lab al MIT-IBM Research AI Lab di Cambridge e Andrea Baronchelli, responsabile del tema Economic Data Science presso l’Alan Turing Institute, raccontano come fin dall’inizio – ovvero con l’esplosione dei CryptoKitties (2017), una delle primissime esperienze di successo nel mondo degli NFT – quello che chiameremo il primo segreto del valore degli NFT fosse già sotto la luce del sole, o degli schermi: il valore di vendita degli NFT dipende dalla comunità che li sostiene.
Martino nota che la condanna a dover essere riconoscibile, incubo di ogni artista e imposizione di ogni galleria d’arte, si perpetra nell’industria NFT.
Eccoci qui all’alba di una nuova era digitale. Mentre ci chiediamo se abbia più senso investire in una felpa fatta di soli pixel della collezione “Balenciaga x Fortnite”, o in un pezzo di terra adiacente alla villa del rapper Snoop Dogg sul metaverso di Sandbox, o semplicemente in una patata digitale, come quella messa in vendita dall’artista irlandese David Oreilly sul sito della casa d’aste giapponese SBI Art Auction, sarà bene guardare prima di tutto, più che all’oggetto in vendita, alla potenziale fanbase che lo supporta. Come osserva Baronchelli, intuito questo indubbio potenziale le piattaforme NFT oggi puntano tutto sul community building, preoccupandosi di organizzare eventi, drops, gadget, canali Discord, shout-out tweets, giveaways, fino talvolta a sollecitare forzatamente la creazione e diffusione di meme e espressioni gergali legate a quella data comunità, disposte a tutto pur di fidelizzare gli utenti.
Secondo i ricercatori, questo ci porta a scoprire il “secondo grande segreto” del valore di vendita di un NFT: le comunità e i capitali si annidano più facilmente intorno a collezioni o a esperienze gamificate che a vendite episodiche. In Mapping the NFT revolution scopriamo che i grandi compratori di NFT, le cosiddette balene, sono pochi – “il top 10% dei trader da solo esegue l’85% di tutte le transazioni” – e tendono ad affezionarsi a una singola collezione, eseguendo “almeno il 73% delle loro transazioni nella loro collezione principale”. Non stupisce affatto che società tradizionalmente legate al mondo del collezionismo di figurine e carte da gioco, come NBA, MotoGP, Panini o Magic the Gathering si siano gettate nella mischia, creando in tutta fretta i loro mercati digitali.
Come spiegano Martino e Baronchelli, il panorama degli NFT varia molto a seconda dell’industria di appartenenza. C’è il mondo dell’arte, dove i crypto marketplace di recente formazione come Foundation, Rarible e Nifty Gatheway si battono contro le case d’asta tradizionali. Ci sono gli NFT appartenenti alla categoria “Metaverso”, che non avrebbero senso di esistere al di fuori di quel mondo, così come gli NFT generati dall’industria del “Gaming”. C’è infine la categoria dei “Collectable”, il corrispettivo virtuale delle carte da collezione, che potrebbe essere considerata una sorta di capostipite da imitare.
Nel sistema di previsione di Mapping the NFT revolution, basato per metà su dati relativi a vendite precedenti, una grossa variabile è legata all’aspetto visivo degli NFT, analizzato grazie a AlexNet, una rete neurale convoluzionale pre-addestrata, che per farla semplice è un’intelligenza artificiale in grado di “vedere” le immagini e individuare pattern ricorrenti. E quello che vede è che i compratori dimostrano di apprezzare immagini simili. Proprio come la più banale istruzione da manuale del social media managing, la consistenza del feed premia l’artista.
Martino nota che la condanna a dover essere riconoscibile, incubo di ogni artista e imposizione di ogni galleria d’arte, si perpetra nell’industria NFT: se Basquiat era costretto a essere Basquiat, oggi Mad Dog Jones sarà legato per sempre ai colori accesi della post-vaporwave e alle illustrazioni cyberpunk che lo rendono Mad Dog Jones, uno degli artisti NFT più famosi e prolifici sulla scena. A quanto pare, come osservano ridendo Martino e Baronchelli, anche il token non fungibile, per vendere meglio, finisce per diventare fungibile, ovvero potenzialmente sostituibile da una serie di opere uguali a sé stesse.
Parlando di artisti ecco schiudersi il “terzo grande segreto del valore degli NFT”: il mercato dell’arte è un aspetto del tutto secondario nel fenomeno NFT. Dal giugno 2020 “gli NFT più scambiati appartengono alle categorie giochi e collezionismo. Solo il 10% delle transazioni sono relative a NFT classificati come arte”. Ci troviamo innanzi a una tecnologia complessa nei suoi primi anni di utilizzo. Possiamo immaginarla, spiegano i ricercatori, come una torre di Lego dotata di volte e architravi che le più diverse forme di mercato stanno cercando di montare sopra ai loro castelli, o ai loro galeoni, o alle loro astronavi di Lego. Infrastrutture che si giustappongono ad altre infrastrutture, per poi subire violenti processi di adattamento, tra crolli, tracolli e vittime sul lavoro.
Il mercato dell’arte è un aspetto del tutto secondario nel fenomeno NFT.
In questo scenario l’industria dell’arte è forse quella che sta riscontrando più difficoltà ad adeguarsi. I tentativi di gamificare le opere o di creare comunità intorno alle collezioni appaiono più che mai forzati. E se si guarda ai casi di successo appartenenti al periodo della cosiddetta “NFT Craze” tra il febbraio e il giugno 2021, le vendite più ricche sono state rese possibili da fattori unici e difficilmente ripetibili: “il primo NFT venduto da una casa d’asta tradizionale”, vedi Beeple, “il primo Tweet”, vedi Jack Dorsey, “il primo meme NFT” vedi Nyan Cat, o “il più famoso meme mai esistito” nonché figura iconica del mondo delle cripto, vedi Doge, o per l’appunto una delle poche collezioni d’arte digitale visivamente e tecnicamente coerenti: Art Blocks.
Chi ci assicura che tanti degli NFT acquistati durante questo periodo di follia, saranno poi rivenduti una seconda o una terza volta, tra uno, tre, dieci anni a questa parte? Per ora i dati non sembrano propizi: su 6,1 milioni di transazioni soltanto il 20% degli NFT sono stati rivenduti per una seconda volta, osservano Martino e Baronchelli.
E di qui eccoci arrivare alla fine di questo ennesimo tentativo di gamificazione, dunque al quarto e ultimo “segreto”: è impossibile figurarsi quale sarà il valore degli attuali NFT da un anno a questa parte, figuriamoci tra dieci, per la velocità e la quantità massiva di opere, token, piattaforme e metaversi che sono al momento sul piatto.
Ricordate la bolla delle Dot-com alla fine degli anni Novanta? Siamo al centro di un fenomeno di uguale misura e maggiore complessità, spiegano i ricercatori. Possiamo pensare che come per le Dot-com, al proliferare di centinaia o migliaia di proposte economiche, solo pochi giganti sopravviveranno, frantumando e fagocitando i competitors. Nel passaggio tra web 2.0 e web 3.0, come suggerisce Baronchelli, è possibile che l’attuale sistema economico, dove l’utente partecipa fruendo gratuitamente di contenuti mentre dona i suoi dati a una piattaforma centralizzata che ne trae enormi profitti, verrà sostituito da un modello dove il concetto di possesso sia ridistribuito tra gli utenti. Seguendo un’osservazione di Matthew Ball, conclamato teorico del futuro metaverso: se non è stato il New York Times, o un qualsiasi altro magnate dell’informazione stampata, a sviluppare il news feed più utilizzato al mondo – *spoiler* è stato Facebook – così non sarà probabilmente Meta a sviluppare il metaverso più frequentato, o chissà come si chiamerà tra tre anni, il più frequentato spazio virtuale tokenizzato.
Immagine in apertura: Machine Hallucinations – Space: Metaverse NFT Collection, Refik Anadol, Sotheby’s, 2021