Con il patrocinio del Parlamento Europeo e di Amnesty International, La Cina (non) è vicina è la prima mostra internazionale di Badiucao, artista dissidente cinese finito sotto i riflettori per quello che può essere definito un caso di incidente diplomatico o un tentativo di limitazione della libera espressione artistica, a seconda della prospettiva da cui si vuole guardare la vicenda.
L’esposizione personale di Badiucao – che sfida ogni giorno la censura cinese con il suo account twitter @badiucao seguito da più 80 mila persone – è attualmente in corso a Brescia, visitabile fino al 13 febbraio 2022 presso il Museo di Santa Giulia. Questo evento ha suscitato scalpore fino a diventare un caso prossimo alla censura, dopo la richiesta del governo cinese al sindaco di Brescia Emilio Del Bono e alla Fondazione Brescia Musei di ritirare e censurare l’iniziativa in quanto le opere dell’artista vengono definite “piene di bugie anti cinesi”, capaci di “mettere in pericolo le relazioni amichevoli tra Cina e Italia”.
A Badiucao era già accaduto di vedere censurate le sue mostre: nel 2019 a Hong Kong e poi a Sydney. Si tratta di un’eventualità che l’artista-fumettista, affermatosi sul palcoscenico internazionale grazie ai social media, coi quali oggi diffonde la propria arte in tutto il mondo, deve aver messo in conto sin dall’inizio della sua carriera, partendo dal presupposto che il suo nome d’arte è uno pseudonimo nato per non svelare la sua identità e creato a partire da un mix di tre parole scelte casualmente da un libro. L’artista, poi, trovandosi costretto a non poter rivelare il suo volto, ha deciso di trasferirsi (in esilio) in Australia, lontano dal suo paese d’origine.
Una distanza che, per quanto imposta geograficamente, non ha allontanato Badiucao dalla sua lotta. Schierandosi contro ogni forma di controllo ideologico e morale esercitato dal potere politico, a favore di una trasmissione di una memoria storica non plagiata, l’artista ha costruito la sua ricerca e la sua poetica. Nato a Shangai nel 1986 e laureato in Legge, Badiucao raccontava di aver abbandonato la Cina dopo aver visto un documentario taiwanese sulle repressioni delle proteste di piazza Tienanmen, evento del quale non era a conoscenza, a causa della censura.
Si rivolge quindi criticamente ai governi che sopprimono la libertà, ma anche agli artisti stessi che dovrebbero impegnarsi anche al di fuori del micro-mondo dell’arte, abbracciando pratiche di attivismo e di denuncia verso le atrocità e i pericoli del nostro tempo. Ultimo ma non meno importante, nel mirino dell’artista compare anche l’Occidente.
In questa direzione, Badiucao commenta quanto accaduto a Brescia rimarcando la sua idiosincrasia per atteggiamenti di tacita accondiscendenza, che normalizzano la strutturazione di società anti-democratiche quale quella cinese, finendo per appoggiarla economicamente, con dinamiche indissolubili da quelle politiche: “Me lo aspettavo: a Hong Kong il governo ha minacciato me, la mia famiglia, chiunque mi abbia aiutato. Mi sarebbe sembrato strano se non fosse accaduto anche qui. Il supporto che ho avuto da Fondazione Brescia Musei e Comune è abbastanza unico, spesso i paesi democratici scendono a compromessi”.
Noto soprattutto per le vignette dissacranti verso il potere, le sue affissioni pubbliche e le campagne partecipative, Badiucao espone differenti linguaggi capaci di rievocare ironicamente lo spirito “pop” della propaganda comunista, spaziando tra opere degli esordi e realizzazioni più recenti, quali installazioni, sculture, video e opere a olio, trattando temi differenti all’interno di cinque sezioni, testimonianze di violazioni di diritti umani e censura: dalla repressione del dissenso in Myanmar durante il colpo di stato militare del 2021 al tema dell’assimilazione culturale forzata degli Uiguri, fino al dettagliato racconto in chiave artistica delle proteste di Hong Kong.
Tra le sezioni della mostra curata da Elettra Stamboulis, spicca quella più attuale, dedicata ai Diari di Wuhan, che racconta il lockdown e le reazioni governative al Covid19 attraverso testimonianze anonime di ciò che è accaduto realmente, fuori dalle retoriche ufficiali e auto celebrative che millantano un successo senza uguali nel controllo dell’epidemia, nascondendo invece all’Occidente le atrocità compiute, dalla chiusura con spranghe esterne e barre di ferro delle porte, alla chiusura in casa di persone senza cibo.
Come un segno premonitore, nel manifesto di comunicazione della mostra, il titolo dell’esposizione La Cina (non) è vicina viene reso graficamente barrando la negazione “non”, facendosi esso stesso portatore della poetica dell’artista e dell’operazione espositiva. Con le sue otto ore di fuso orario e la sua lingua fatta di pittogrammi, la Cina del Sol Levante sembra lontana, eppure, in casi come questo, ci si rende conto di quanto sia più presente - e attenta - di quanto non si percepisca.
Chissà che l’arte, in questa occasione, non diventi ambasciatrice dei diritti umani, evidenziando la relazione tra opere contemporanee e diritti umani, portando alla luce le lotte di dissidenti, attivisti e artisti impegnati nella lotta alle restrizioni delle libertà personali e nella difesa delle minoranze. Intanto, il Comune di Brescia e la Fondazione che gestisce i musei cittadini si sono rifiutati di cedere alle pressioni di Pechino. Come sostiene Laura Castelletti, vicesindaco di Brescia: “Nessuno di noi né all'interno dell'amministrazione comunale né tra i cittadini ha avuto il minimo dubbio che questa mostra dovesse essere mantenuta. Abbiamo il desiderio e la volontà di tutelare l'arte e difendere la libertà artistica”.
Immagine in apertura: Ritratto Badiucao. Courtesy ©Badiucao