Il Dipartimento per l’ambiente del Servizio sanitario pubblico federale belga ha lanciato una campagna di sensibilizzazione, al fine d’incoraggiare i cittadini a gettare le ormai note e necessarie mascherine chirurgiche nel bidone della spazzatura o ad adoperare una mascherina riutilizzabile. Dall’inizio di Marzo, mese che ha visto travolgere l’Europa, per poi diffondersi sull’intero globo, da una crisi pandemica senza precedenti, sono state utilizzate, e poi gettate, tonnellate e tonnellate di mascherine e guanti monouso, per non parlare di bottiglie di gel idroalcolico che si sono aggiunte ai circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica che finiscono in mare ogni anno.
In un simile quadro, l’arrivo di mascherine chirurgiche monouso biodegradabili costituisce una speranza affinché l’impatto ambientale venga quantomeno contenuto. Dalla collaborazione di una azienda italiana, di Salerno, e una mediorientale, di Abu Dhabi, arrivano sul mercato i nuovi dispositivi di protezione individuale in grado di “autodistruggersi”.
La lunga onda di proteste, contro politiche sconsiderate che hanno portato a preoccupanti cambiamenti climatici e a l’alto tasso d’inquinamento, dal 2015 ad oggi ha preso piede a livello mondiale con grandi manifestazioni che vedono milioni di persone alzare i loro stendardi, dei grandi manifesti che molto spesso riportano come icona di protesta un simbolo unico e riconoscibile. Stilizzato, tratteggiato, dettagliato o stereotipato: l’albero. La sua rappresentazione ha un significato ben preciso, un simbolo, appunto, per la battaglia ecologista, e nell’arte? Cosa esprimeva? Aveva forse la stessa valenza?
La sua rappresentazione, come soggetto principale, assume nella pittura un diverso significato: la vita. Ovviamente il processo di traduzione e d’associazione alla vita viene quasi naturale e spontaneo se pensiamo ad un albero, ma se entriamo nel dettaglio di alcune opere notiamo come, l’idea di vita di oggi, non corrisponde a quella di un tempo, ma è divenuta poi una traslazione del suo significato più intrinseco.
Nella religione, ebraica o cristiana, l’albero è sapienza, conoscenza: “Guardiamo che egli non stenda la mano e prenda anche del frutto dell’Albero della Vita, ne mangi e viva per sempre” (Genesi 3,22) mentre nell’apocalisse si trasforma in devozione religiosa: “Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince io darò a mangiare l’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio” (Apocalisse 2,7).
Taddeo Gaddi, pittore italiano del XIV secolo, dipinse nell’Abbazia di Santa Croce a Firenze, attraverso la tecnica dell’affresco, l’Albero della Vita. Una classica rappresentazione medievale con i volti dei Santi e degli Apostoli inseriti in dorati tondi che appaiono come frutti di un albero, in cui al centro troviamo il corpo in croce del Cristo. Un albero di vita e di sofferenza, di rinascita e longevità della fede, di traduzione della parola di Dio e diffusione della stessa per i posteri, dove ai piedi c’è sconforto per la morte e disperazione, ma dall’albero si diffonde la speranza e la fede.
Spostandoci più a nord, uscendo dal’Italia ed arrivando a Bruxelles entriamo in un meraviglioso palazzo progettato da un noto architetto, esponente della secessione viennese, Josef Hoffmann.
A palazzo Stoclet, sulle pareti della sala da pranzo, troviamo tre opere, che nella loro maestosità, dovuta sopratutto ai sette metri di lunghezza, ci raccontano una storia, fondendosi in un unica opera: l’Albero della Vita. Al centro esatto vediamo l’albero i cui rami, brillanti per via del loro abbagliante color oro, si snodano e si annodano formando onde e imperfette spirali. Sul pannello di sinistra invece, entra in scena una donna. Lo sguardo e la testa volgono a destra, un’innaturale posizione per una donna che ricorda l’antico Egitto: la sua acconciatura, i suoi tratti somatici, e le vesti ricolme di gioielli, rappresenta l’Attesa. Nella parte più a destra invece troviamo una coppia, avvolta in un abbraccio, stretti in una salda fusione riconciliante d’amore. L’uomo sovrasta la donna con il suo corpo che è avvolto da vesti sgargianti e ricche, decorate da forme geometriche, come quella della donna nel lato opposto, in perfetto contrasto con quelle più morbide e sinuose dell’albero che assume, in questa opera, un significato di ricongiunzione tra l’attesa e l’amore, tra l’attesa e la riconciliazione, una sorta di storia raccontata al contrario di Adamo e Eva: il perdono. Sui rami dell’albero, tinto di nero, appare un uccello, la morte, seduto in attesa. La vita, l’amore, la morte e ancora la vita.
Un albero del pensiero, un albero di fede, una traduzione e un compendio della vita, vista non solo biologica o scientifica, ma sentimentale e intima. Il filosofo tedesco Ernst Jünger riassume il concetto attraverso queste parole: “Il mito però non riconosce nell'albero solo un simbolo della vita ma anche del cosmo. Con le radici affondate nel terreno primordiale, dischiudendo la sua fioritura nell'universo, genera stelle e soli. Qui il padre e la madre sono uniti in eterno splendore. È il legno della vita al centro della città eterna in cui ancora non vi sono divisioni né luoghi sacri. Anche il frassino Yggrasil, all'ombra del quale ogni giorno si riuniscono gli dèi per tenere consiglio, non deve morire con loro: sopravvive oltre il tramonto.”
Immagine di apertura: Fregio di Palazzo Stoclet, Gustav Klimt, 1905-1909