Quante volte abbiamo guardato quei ghirigori colorati sui muri e arredi urbani chiedendoci cosa significassero? E quante volte abbiamo sognato di diventare dei romantici vandali che lasciano il proprio segno diventando famosi e avendo finalmente una qualche rilevanza sociale (prima dei like dei social che oramai hanno democratizzato tutto).
Uso il plurale ma io so benissimo di cosa stiamo parlando, ovvero le firme dei graffitari, o tag dei writers che dir si voglia. Posso camminare in centro e con un’occhiata capire quale gruppo o crew è passata di lì e più o meno quando. Ecco una tag fresca di stanotte lasciata da qualche ragazzino alle prime armi, oppure “toh questo famoso americano deve essere venuto in vacanza in italia ultimamente”. Oppure una tag sopra un’altra, chiara dichiarazione di guerra tra due o più tribù.
Le tag per un addetto “ai lavori” sono come geroglifici che parlano di una vita sconosciuta ai profani, un quotidiano fatto di illegalità, relazioni preferenziali con un piccolo gruppo di amici, la crew, e discretamente condita da sostanze stupefacenti e musica che piace ai giovani. Non credo che queste cose siano cambiate.
Ma da qualche tempo a Milano, città storica con Roma per il writing italiano, la situazione sembra essere cambiata. La città non è più bombardata di tags, non esistono più le grandi crew più o meno storiche attive nella quotidianità dei famosi “tag tour”, ma principalmente qualche timido ragazzino qua e là che esce a fare tre firme più per dimostrare a se stesso di poterlo fare o aspettandosi qualcosa di buono nell’immediato che non per fare qualcosa di ben fatto.
Perché questo cambiamento? Come mai i colorati ghirigori illeggibili non coprono più indistintamente il paesaggio urbano ?
Da un lato le città sono diventate più curate, gentrificate, sono migliorate infrastrutture e arredi urbani, se parliamo di Milano post Expo questo cambiamento è stato grosso, rimane visibile anche adesso che i tempi di Dumbo (il più celebre autore di tag di Milano) sono passati.
Dall’altro le pene sono inasprite ma sopratutto vengono applicate nella loro interezza, adesso la denuncia per imbrattamento parte automaticamente e non funziona più come anni fa, dove tutto si risolveva con il poliziotto che chiudeva un occhio o semplicemente con un patteggiamento e lavori socialmente utili una volta davanti al giudice di pace.
Inoltre esistono centinaia di telecamere ad ogni angolo della strada, chiunque ha un device a portata di mano e può documentare con video e foto una infrazione, mentre investigatori e gendarmi hanno più mezzi e consapevolezza per combattere il fenomeno.
Ricordo diciassette anni fa, con un amico in mezzo di una grassa sessione ci fermò la Digos. Avevamo devastato di stencil il centro storico, Brera, fino a davanti all’Università Statale dove piazzammo una mega combo degna di un vero pezzo di street art. Dipingere per strada illegalmente è come una droga, inizi timidamente e alla fine della sessione sei talmente in botta da endorfine che non hai più paura di nulla....
È quello che ti frega. Inventammo una storia improponibile, sfoggiando gli occhioni lucidi : siamo studenti di arte, abbiamo scaricato da internet queste due immagini, non sappiamo nulla di queste cose! Un 28enne e un 23enne ancora studenti universitari? Manco noi ci credevamo. I nostri stencil erano piazzati ovunque in città e gli investigatori si lamentavano proprio di quanto fossero-fossimo popolari e recidivi, non collegando che avevano in pugno Arsenio e Lupin ma forse aspettandoseli con il mantello e la maschera non ci riconobbero, o magari semplicemente non avevano voglia di portarci in questura e perdere la nottata a fare carte e denunce. Fatto sta che ci lasciarono andare, ma mentre ci allontanavamo con la coda tra le gambe lo sguardo ambiguo del capo Digos non lo dimenticherò mai.
Ho creato un veloce sondaggio sul mio account richiamando vecchi ex graffitari in pensione ponendo appunto la questione. Ne è venuto fuori effettivamente una percezione del fenomeno in decrescita, tranne in qualche città di provincia che isolata dal resto eccezionalmente ha avuto un cambio di guardia, ma forse anche il fiorire di muri e pubblicità e murales di “street art”, rendono le tag per assurdo sempre più sfondo ed arredo urbano.
Su Roma, città simbolo di un degrado endemico pare si continui senza problemi a taggare anche in centro. In grandi città europee come Berlino e Parigi – sorpresa! – abbiamo un’apparente ripresa forse spinta anche dalle nuove generazioni di immigrati e figli di immigrati, sottoposti a tensione sociale e ghettizzati in periferia. Quindici anni fa queste città stavano vivendo il massimo della repressione e dell’urbanizzazione e il fenomeno era in ribasso, ed infatti moltissimi writer nord europei venivano a dipingere treni e muri in Italia e Spagna, come a dimostrare di quanto il celebratissimo miracolo milanese sia probabilmente solo un ritardo di 15 anni rispetto alla media nordeuropea.
In media i graffitari oltre i 35 sono considerati anziani, si concentrano su pezzi legali o fatti durante grigliate in occasione di compleanni portandosi dietro pure i bambini. Oppure evitano il rischio di tag e si concentrano sui treni, anche se in quel contesto esiste l’aggravante del danneggiamento invece che imbrattamento.
Il ricambio generazionale non c’è veramente stato, complice una serie di condizioni , certamente la repressione ha avuto il suo effetto, adesso se la combini grossa ti vengono a prendere a casa e in un attimo ti danno banda armata e terrorismo oltre a tutto il resto, certamente la street art e la favola che l’attività in strada possa creare uno sbocco per una carriera artistica più o meno alla Basquiat attrae molti, ma ancora di più sono quelli che mollano velocemente quando diventa chiaro che non bastano due disegni in strada e quattro firme in giro per entrare nel giro dell’arte contemporanea.
Infatti, ancora più della repressione e della gerontocrazia , ancora meno del mito “street art=buona VS graffiti=cattivi” la grande differenza la fanno i social network.
Evitando la solita polemica tra i boomer e la generazione Z, quello che molti amici notavano era un’attitudine completamente diversa rispetto al fenomeno, come a dire che il click facile, la condivisione e creazione di meme e le endorfine messe in circolo da questi nuovi mezzi potessero distruggere una sottocultura più che anni di repressione e tutte le promesse di un futuro brillante da artista maledetto.
Ma questa è un altra storia...
Gionata Gesi Ozmo vive tra Milano e Parigi. Ha sviluppato un linguaggio artistico che lo ha portato a esibire dai contesti illegali underground fino ai maggiori musei italiani (PAC, Museo del 900, MACRO, Palazzo Reale), ha dipinto murales ed esposto in tutto il mondo. Il suo profilo Instagram è @ozmone
Foto di apertura: foto Giovanni Candida/WallsOfMilano