Una casa in corso di trasformazione assomiglia a un grande contenitore del transito: al suo interno oggetti per l'abitare del prima e del dopo comunicano storie e assumono significati sottili e impalpabili. Questa condizione tanto effimera quanto spaventosamente potente viene accolta e registrata da un paio d'anni entro lo spazio FuturDome di via Paisiello a Milano, e non tanto per i fantasmi futuristi che custodiscono il luogo di gestazione negli anni Quaranta di movimenti come la Poesia Visuale o dell’Arte Progammata – oggi affidato all'Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo –, quanto perchè all'esterno l'edificio mantiene la sua originaria seduttività Liberty, mentre all'interno rivela una condizione di fertilità simile a quella di un organismo autopoico: perfino un semplice sanitario ancora incellofanato può trasferire al comune osservatore più senso di mezzo secolo di ricerca del duo Christo.
L'attenzione della direzione artistica di Atto Belloli Ardessi viene intercettata da The Artist in Residence Eau & Gaz: manifestazione che per la quinta edizione si allontana per la prima volta dal suo habitat abituale di Appiano per trasferirsi proprio a FuturDome. Varcata la soglia sul cortile dopo le pareti bianco-panna, si viene fulminati da una sottile doga in alluminio e ottone di 2 metri che piove dall'alto in mezzo alla luce, puntando l'asse verticale del pomo sul corrimano della scala. La tensione matematica della folgore sospesa, 1000 volte superiore a quella dell'indice michelangiolesco, sembra riservare a quella piccola sfera metallica la stessa attenzione che darebbe un insetto-alieno alla Terra. Il progetto site-specific di Silvia Hell trasforma così in evocazione universale un dettaglio architettonico destinato solo ad accogliere la mano, a meno di elaborazioni paranoico-critiche. Il titolo dell'opera è così lungo da lasciare impressa nella mente solo la fine: “...morte per soffocamento.”
In una stanza poco oltre, una serie di oggetti in alluminio torniti sembrano i lasciti della tecnologia di un Novecento alternativo. Oltre a registrare implacabilmente in tre dimensioni l'estensione variabile di 13/46 nazioni europee nel corso del XX Secolo, gli oggetti sfidano a cantare gli strani spartiti posti sulla parete di fronte, privi di un dispositivo adatto a farli suonare. Se a quel punto l'istinto alterato porta verso l'aria, prima di finire verso il cielo lo sguardo può mancare subito l'uscita e prima sbattere sulla cornice della finestra in alluminio, ancora nuova ma dal profilo invariato dagli anni Settanta. Sentendoci a casa, di ritorno sparato da un'altra dimensione, saremo forse meno importanti ma non meno suggestionati di quei grandi scienziati che sostengono sia possibile leggere i buchi neri guardandoli di lato attraverso l'immagine trasmessa sui bordi. Ma forse anche questo è perturbante: l'universale tema freudiano coraggiosamente scelto dalle curatrici Sarah e Kathrin Oberrauch per sfidare il Novecento. In fondo, ci dicono quei profili in alluminio tanto famigliari, anche il confine di una comune finestra può essere abissale come quelli di un intero Secolo.