Dialogue with the Unseen è un lavoro che porti avanti da ben cinque anni: in genere i tuoi progetti hanno una gestazione piuttosto lunga perché sono fatti di esperienze e relazioni vere che instauri con le persone e coi luoghi che scegli come soggetti). Da dove origina quest’opera? Quello che avevi inizialmente in mente corrisponde alla videoinstallazione a due canali che vediamo al Mudec di Milano fino al 16 giugno o, nel tempo, il lavoro si è sviluppato secondo modalità imprevedibili?
Tutto è nato nel 2014, quando ho incontrato per la prima volta Saleh Bakri (attore molto noto in medio Oriente e protagonista del lavoro dell’artista ndr.), nella sua casa di Haifa. Attraverso un dialogo costante e un confronto che ha superato le difficoltà della guerra e dell’occupazione, abbiamo deciso, assieme, di dare vita a una narrazione inedita della Palestina, con l’obiettivo di valicare il tema del conflitto.
Quel che mi interessa, infatti, sono le strategie che gli individui attivano a livello comunitario e individuale per superare il trauma. Credo che questo sia poi la funzione dell’arte: spostare la prospettiva rispetto ai punti di vista a cui siamo abituati, per non continuare a perpetuare lo stesso schema. Non mi sorprende infatti che la generazione precedente alla nostra non ritrovi in questo discorso gli stereotipi della questione palestinese.
Il mio obiettivo è proprio sondare, attraverso la sensibilità e il linguaggio dei miei coetanei, quali sono le condizioni e le possibilità di una comunità di pratica, che sceglie di fare arte in un contesto come quello, attraverso la propria lingua, l’arabo. L’idea iniziale era quella di un film documentario, che poi si è sviluppata, anche grazie a questa occasione espositiva al Mudec, nella forma di una videoinstallazione.
Dialogue with the Unseen, intervista a Valerio Rocco Orlando
Per la prima volta fruibile al pubblico, il film dell’artista milanese Valerio Rocco Orlando Dialogue with the Unseen, girato tra Palestina e Israele è stato in mostra al Mudec di Milano.
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- Caroline Corbetta
- 18 giugno 2019
- Milano
Courtesy dell’artista
Courtesy dell’artista
Courtesy dell’artista
Courtesy dell’artista
Foto Francesco Dolfo
Foto Francesco Dolfo
Il soggetto di questa nuova produzione è spinoso: il conflitto tra Israele e Palestina che in realtà tu racconti come una relazione – non necessariamente conflittuale – attraverso il dialogo che coinvolge Saleh Bakri e due giovani autori palestinesi. E definisci il lavoro anche un “pellegrinaggio politico”. Insomma, non ti tiri indietro rispetto alla problematicità del tema sul quale ti chiedo che contributo pensi di dare.
Proprio a partire da quel contesto specifico il mio obiettivo è quello di narrare una storia universale, perché tutti, al di là della propria origine, background e appartenenza religiosa, possano porsi delle domande vere, semplici e profonde allo stesso tempo, sul senso dello stare assieme. In prima persona, nel corso degli ultimi cinque anni, ho potuto verificare che la situazione politica in Medio Oriente è talmente complessa che è difficile prendere una posizione netta.
Ho esercitato il mio ruolo dunque, attraverso gli strumenti che ho a disposizione, per trasformare quegli incontri in una lettura estetica del luogo e della comunità che ho potuto conoscere. Ispirandomi all’esperienza di Pasolini che, durante i suoi Sopralluoghi in Palestina per il Vangelo secondo Matteo, ha riscontrato la difficoltà nel ritrovare i volti arcaici e il paesaggio che immaginava di ritrovare in Israele, ho cercato di superare il limite dell’appiattimento visivo proprio delle dinamiche legate alla globalizzazione, per narrare una realtà che non è più visibile con facilità.
Cosa è, appunto, l’invisibile del titolo?
Molteplici sono le risposte a questa domanda. Il mio desiderio è che ogni spettatore, immergendosi nell’installazione, ascoltando i dialoghi e camminando nello spazio del Mudec, sia invitato a trovare la propria risposta. Che cos’è dunque l’Invisibile per te?
Nella tua pratica artista la relazione con l'altro –il soggetto del tuo lavoro ma anche il pubblico – è fondamentale. C’è una responsabilità rispetto al ruolo dell’artista nella società che senti molto forte.
Uno dei miei obiettivi, come artista, è attivare desiderio di relazione e capacità di azione, sperimentando modalità alternative a quelle che già conosciamo. Lo spazio delle relazioni è anche uno spazio di resistenza, nel quale si impongono diverse possibilità, permettendoci di vedere le cose da un punto di vista inedito. Tuttavia, non credo che si possa raggiungere questo risultato se si intendono la partecipazione e la relazionalità come fattori esclusivamente interni alla pratica artistica... Il confronto, un ascolto attivo e l’individuazione delle urgenze sono possibili dialogando vicendevolmente, uno di fronte all’altro.
È una questione di responsabilità. Perché fai arte e perché la cerchi? Assieme all’esigenza di affrontare questa domanda su un piano individuale, sta diventando sempre più importante per me anche il ruolo della fiducia nelle relazioni. Questo vuol dire fare i conti con le diffidenze che inizialmente caratterizzano le dinamiche relazionali e, soprattutto, con la continua possibilità di rinegoziare, secondo diverse strategie, i propri ruoli.
Immagine di apertura: Valerio Rocco Orlando, Dialogue with the Unseen, 2014-2019. Production still. Courtesy dell’artista
- Dialogue with the Unseen
- Valerio Rocco Orlando
- Alessandra Pioselli
- Mudec
- Milano
- 7-16 giugno 2019