Come di consueto, per la pratica espositiva di Mathis Altmann, non esiste una traduzione corrente, in lingua inglese, a supporto del titolo della sua ultima mostra personale. A Milano “Delve of Spade” (spatenstich, letteralmente badilata) dovrebbe descrivere un rito cerimoniale di rottura del terreno, celebrazione dell’inizio costruttivo di un nuovo edificio.
Una sorta di scavo originale realizzato a mano, prima che i macchinari entrino in funzione e comincino gli scavi. Da un altro punto di vista, l’espressione evoca anche una sorta di desiderio oscuro, inconscio e nascosto di ripetere un atto nostalgico, di descrizione della nudità dello sforzo umano, che richiama l’immagine di mani callose, di chi ha sofferto per il proprio lavoro.
La sala a piano terra dell’Istituto Svizzero, da tempo, non appariva così confusamente e metodicamente riempita, gremita di lavori. Dal 1997, infatti, la sede milanese dell’Istituto è diventata una piattaforma per l’arte e la cultura svizzera nel capoluogo della regione Lombardia, spina dorsale dell’economia italiana e particolarmente centrata nei campi della creazione e dell’innovazione. Collocato in prossimità di Piazza Cavour, l’Istituto Svizzero occupa un palazzo storico degli anni Cinquanta e il suo programma vanta l’organizzazione di mostre, conferenze, concerti e incontri, sviluppati sempre con l’intento di promuovere lo scambio artistico e scientifico tra l’Italia e la Svizzera.
Nel caso di “Delve of Spade” il percorso appare come una sorta di eccezione alla regola dello spazio che vorrebbe offrire, solamente a giovani artisti e scienziati svizzeri l’opportunità di continuare a sviluppare ricerche e attività in Italia. Altmann, infatti, è nato a Monaco nel 1987, mentre attualmente risiede tra Los Angeles e Zurigo. E anche per questo motivo il suo approccio richiama sempre un sintomatico e stratificato racconto di viaggio, costantemente aperto sulle numerose esperienze di residenza e di lavoro in studio.
L’installazione più estesa in questa ultima personale è anche quella che presta il titolo all’intera mostra: Delve of Spade (2018) sorge nello spazio come se stesse strutturalmente fluttuando nel mezzo dell’enorme sala d’entrata; un ambiente aperto composto da divisori, da manichini inquietanti e dubbiosi, cuscini, badili, sedie, pouf, uno skateboard elettrico, macerie e addirittura porte in vetro acidato appoggiate alle pareti.
Tutto intorno, profondamente concentrato su una sorta di de-progettazione architettonica, l’artista mostra forme di perpetuazione della memoria collettiva. Centrali per la mostra sono le nuove sculture e la loro collocazione che sembra riprodurre ambienti di un ufficio aperto, un’estetica che rileva un fenomeno globale comune all’interno delle città metropolitane orientate agli affari. Queste aree ritagliate per la necessità di concentrare la forza di lavoro mentale e di dare agio a una nuova forma di mobilità, oltrepassano il concetto di lavoro.
Omogeneo e ripetitivo, così riconoscibile che non permette distrazioni. Direttamente connesso a questo concetto, Teutonic Disaster (2018, legno, plastica, vetro, metallo, sedie, ripiani, pittura, schiuma poliuretanica vetro acrilico, incisioni laser, luci LED e miniature) si presenta come il modellino distorto del centro di Los Angeles, un’ipotetica riproduzione del Distretto delle Arti.
Ogni singolo aggregato scultoreo assume il linguaggio di una riconversione urbana e di una ri-narrazione. Infatti, Altmann include anche storie raccontate e ascoltate come parte del proprio processo di riprogettazione di intere aree urbane; uno sviluppo disturbante e allo stesso tempo affascinante.
Fin dall’inizio, il primo lavoro di “Delve of Spade”, dal titolo Same Old, Same Old (2018, plastica, metallo, vetro acrilico, incisioni laser, stampanti a getto d’inchiostro, un maglione, miniature, luci LED e decalcomanie viniliche) rimane radicalmente incentrato sulla propria derelitta materialità. Nella mostra, infatti, tutti i modelli urbani non sono realizzati con i tipici materiali neutri ma attraverso la combinazione di oggetti grezzi, trovati e di detriti domestici, come: sezioni di facciate e pezzi di mobili, legati con alluminio, plastica, bronzo, vetro e talvolta collante.
Ogni assemblaggio incorpora superfici disparate e viene associato in maniera informale, seguendo un urbanismo frammisto che diventa infine la cifra stilistica di Altmann, focalizzata sul sottolineare i raccordi che intercorrono tra molteplici comunità. E come una sorta di mappa contorta su nuove realtà urbane, decadenti, “Delve of Spade” suggerisce narrative opzionali ricostruendo un presente sardonico, accumulatore, pieno di dubbi.
- Titolo mostra:
- Mathis Altmann. Delve of Spade
- Date di apertura:
- 22 settembre – 27 ottobre 2018
- A cura di:
- Samuel Gross
- Luogo:
- Istituto Svizzero
- Indirizzo:
- via Vecchio Politecnico 3, Milano