Oggi Atene è una città straniata: dura e accogliente; malinconica e ciononostante attiva e coinvolgente. La crisi che dal 2008 la stringe in una morsa ha logorato il tessuto urbano e il sistema istituzionale; l’arrivo dei profughi dalla Siria e da altri Paesi ha ulteriormente complicato la situazione. Eppure, la scena culturale è sempre più internazionale e connessa, le gallerie di livello hanno continuato a lavorare e sorgono organizzazioni no-profit per l’arte contemporanea dinamiche e sperimentali; è il caso di State of Concept; o di Neon, sostenuta dal collezionista Dimitris Daskalopoulos; quest’ultima, senza uno spazio proprio, produce mostre in luoghi diversi.
Resta il fatto che oggi, percorrendo le vie depresse e trasandate di Atene, si fatica a pensare che non molto tempo fa la città abbia conosciuto l’ottimismo; dapprima con i fondi europei per la riqualificazione urbana; poi con i finanziamenti destinati ai Paesi ospiti delle Olimpiadi, del 2004. Certo, anche in quelle fasi la città aveva continuato a sottrarsi a qualsiasi modello razionale. Ma l’euforia era evidente e alcuni cambiamenti, come la creazione della metropolitana e dei treni urbani, hanno avuto un’importanza determinante in termini di vivibilità.
Oggi, invece, i pochi passi avanti dipendono per lo più da fondi privati. L’esempio principale degli ultimi anni è il Centro Culturale Stavros Niarchos progettato da Renzo Piano per l’omonima fondazione. Il Centro, oggi molto frequentato, comprende, tra l’altro, nuove strutture per la Biblioteca e per l’Opera Nazionale, una passeggiata soprelevata e uno spazio verde tra più ampi della città, punti di ritrovo e di ristoro.
Pur complessa, la situazione attuale presenta però risvolti di grande interesse. La crisi ha infatti generato la necessità di riflettere su temi di rilievo. Da qui, nuove forme di sperimentazione, di ricerca e d’impegno. Queste, a loro volta hanno reso la città attraente agli occhi di operatori culturali. E tra questi figurano curatori e artisti che, oltre a frequentarla assiduamente, vi hanno stabilito la propria base. Documenta 14, la grande mostra a cadenza quinquennale che quest’anno si è sdoppiata tra Kassel e Atene, ha contribuito al fenomeno. Tra i fatti più interessanti stimolati dalla crisi e dalla paralisi delle istituzioni, ci sono senz’altro le numerose iniziative legate a forme di abitare alternativo, a nuovi approcci allo spazio urbano, a possibili pratiche di solidarietà.
Il designer e artista Matthieu Prat, per esempio, si è trasferito ad Atene dalla Francia e ha attivato il laboratorio urbano Cassandra. Il suo spazio, situato nell’area produttiva parzialmente dismesso di Votanikos, è un edificio non finito: i piani inferiori sono completi, sebbene grezzi, mentre dei due superiori esiste solo lo scheletro. Pratt si muove tra architettura e attivismo. Il suo lavoro è basato sull’idea dell’autocostruzione e coinvolge i rifugiati di un vicino campo profughi.
Un progetto eccezionale è Hotel City Plaza, nato nel 2016 quando un albergo chiuso da sei anni venne occupato da attivisti e trasformato in centro di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo. Da allora, vi sono transitate migliaia di persone: alcuni per pochi giorni, altri per mesi, in attesa di entrare nei programmi di accoglienza o di proseguire il viaggio verso altri Paesi. La lista d’attesa è sempre lunga: va delle 200 alle 2.000 persone. Le stanze sono circa 120. Gli ospiti 350-400 per volta. L’organizzazione è basata sulla cooperazione. I fondi sono di origine diversa, mai istituzionale. Le regole sono poche, ma ferree: all’interno della struttura sono tutti uguali. Discriminazione sociale, violenza, alcol e droghe non sono ammessi.
La crisi ha generato la necessità di riflettere su temi di rilievo. Da qui, nuove forme di sperimentazione, di ricerca e d’impegno.
Hotel City Plaza si trova a poca distanza dal turbolento ma vitale quartiere di Exarchia, abitato dagli anarchici e teatro di periodici rituali di protesta: “Contro la violenza della polizia, contro la corruzione della pubblica amministrazione, contro la criminalizzazione dei migranti e la loro reclusione in centri di detenzione, contro l’avidità delle aziende private, contro il saccheggio delle risorse turistiche e naturali”, scriveva su Libération nel dicembre 2016 Paul B. Preciado, che si è trasferito in città in occasione di Documenta 14.
A due passi da Exarchia sorge la Scuola Politecnica, dove nel 1973 migliaia di persone protestarono contro la dittatura. Da allora, la Scuola è il punto di riferimento dei Movimenti. I muri sono coperti di graffiti e i cancelli sono sempre aperti. Nei pressi si trova anche Victoria Square: un tempo centro benestante della città, abbandonata negli anni Settanta, oggi è un crocevia sociale e culturale. Già nel 2015 aveva attirato l’attenzione quando si era riempita di tende dei rifugiati. Attualmente, vi si svolgono attività come la distribuzione di generi di prima necessità e medicinali; ma vi si trovano anche bar tradizionali e piacevoli.
Non è un caso che qui sia nato il Victoria Square Project, in occasione di Documenta su progetto dell’artista statunitense Rick Lowe, gestito e animato insieme con Maria Papadimitriou. È un punto di riferimento per gruppi e individui, abitanti della zona, immigrati e rifugiati; organizza e ospita attività di diverso genere, come mostre, corsi, feste. È un luogo amato perché, come dichiara Maria Papadimitriou, le persone qui si sentono protette.
Sempre a Papadimitriou si deve un’altra iniziativa, la Souzy Tros Art Canteen: il piccolo spazio délabrè che fu ambiente domestico e poi laboratorio, situato in un’area estremamente popolare. Papadimitriou lo riapre periodicamente con attività legate alla solidarietà e alla condivisione, dalle cene ai corsi di cucito. Ora, su progetto di altri artisti, tra i quali Eleonora Meoni, è prevista una pista di skate per ragazzi dei centri di rifugiati. Così Atene dimostra come la depressione si può convertire in energia e in sperimentazione e come l’arte possa giocare un ruolo nella riflessione sul senso del vivere e del convivere civile.