“Come hai ucciso un membro della mia famiglia ora ucciderai uno della tua”. Con queste lapidarie parole il giovane Martin (il bravissimo Barry Keoghan) ricorda il suo destino al cardiologo Steven Murphy interpretato da Colin Farrell, dichiarando di fatto che il film è una rivisitazione contemporanea della tragedia greca Ifigenia in Aulide di Euripide. Steven, che non ha salvato sotto i ferri la vita del padre di Martin, è ritenuto colpevole dal ragazzo che piano piano invade la vita privata del medico fino a portare la morte nella sua famiglia: i due figli e la moglie (Nicole Kidman) moriranno se l’uomo non deciderà di sacrificare uno di loro per salvare gli altri due, esattamente come Agamennone re di Micene dovette sacrificare l’innocente figlia Ifigenia per consentire alle navi greche di salpare verso Troia.
Il regista greco Yorgos Lanthimos, autore di film artistici e sperimentali alla seconda opera in inglese dopo l’apprezzato The Lobster, attinge alle radici più profonde e forti della sua cultura d’origine per delineare una storia di vendetta e redenzione ambientata nell’America contemporanea. Cincinnati, mai riconoscibile, è la città scelta per le riprese, per rappresentare un’America di ricche case indipendenti e di ospedali anni settanta, lontana dalla modernità di New York e dal sole della California. Un’America indefinita e di mezzo, perché come nella tragedia greca ciò che rileva è cosa accade e come, non il dove né tanto meno il tempo, che è lontano e affonda nel mito.
Le location sono poche e potenti. La grande casa della famiglia Murphy, una villa enorme, di legno e tappezzerie beige che sembrano il segno cinematrografico distintivo degli interni dell’America tra East e West Coast (vedi il recente Tonya). La casa di Martin, molto più umile, periferica, eppure decorosa. L’ospedale, dalle linee geometriche nette e dritte con i suoi corridoi infiniti. Tre poli fisici in cui si riassume la tensione narrativa del film e che Lanthimos riprende con uno stile registico sicuro e implacabile come il destino dei suoi personaggi. Le scene iniziano con totali fortemente grandangolati spesso ripresi dall’alto, per stringere poi sui primi piani dei personaggi anch’essi sovente visti dall’alto, a sottolineare il peso che incombe su di loro come avviene in una famosa sequenza di Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti che Lanthimos, europeo, sicuramente conosce. Ci si avvicina a luoghi e personaggi con insistiti, frequenti e spesso lunghi carrelli in avanti, per cercare di entrare in personaggi che sembrano però restare distanti e inconoscibili. Movimenti di macchina continui creano un effetto che è labirintico pur nell’ampiezza degli interni e addirittura negli esterni.
Il tratto più sottile però è la perfetta simmetricità dell’arredo di molti interni: la hall dell’albergo, il salone conferenze, il bar dell’ospedale, fino a che diventerà drammaticamente simmetrica anche la sala dove è ricoverato il primo figlio colpito dal misterioso male e dove verrà aggiunto un secondo letto per la sorella quando rimarrà colpita, anche lei, dalla maledizione di Martin. Una simmetria di morte che troviamo anche nella grande stanza di casa in cui i due ragazzini saranno trasferiti quando il male che li affligge sarà dichiarato inspiegabile.
L’attenzione agli spazi e al modo in cui sono ripresi è evidente, nulla è lasciato al caso. L’effetto generale è quello di una freddezza glaciale che non può essere scaldata da nulla. Un’atmosfera geometrica e sospesa che è il miglior teatro per questa tragedia condita di elementi soprannaturali.
Certe geometrie ricordano il Kubrick di 2001 Odissea nello Spazio, riferimento dichiarato fin dall’inizio con il minuto di buio che introduce il film sulle note dello Stabat Mater di Schubert, e poi cavalcato anche in seguito con le musiche magniloquenti, spaventose e là dove occorre cacofoniche realizzate da Gyorgi Ligeti. I titoli di coda invece sono muti, come accade in molti film indipendenti di cui ci siamo già occupati (Lady Bird, Lazzaro Felice) che puntano allo stile e all’arte nell’intenzione di discostarsi dal modello tradizionale di film di intrattenimento. Con Lazzaro Felice questo film condivide anche il premio alla miglior sceneggiatura a Cannes, che la pellicola di Alice Rohrwacher ha vinto quest’anno e quella di Lanthimos nel 2017. Entrambi richiamano generi letterari del passato per inscenare vicende attuali: la fiaba per Lazzaro Felice e la tragedia greca per Il Sacrificio del Cervo Sacro. Una tragedia in cui sangue chiama sangue perché la vendetta è giustizia e il male dei padri ricade sui figli, giovani puri che come larve strisciano per terra portando su di sé tutto il peso di una colpa che non è loro. E il conflitto insanabile che qui come in Euripide oppone il singolo all’altro singolo, può essere risolto solo l’ennesimo sacrificio.
- Titolo film:
- Il sacrificio del cervo sacro
- Regia:
- Yorgos Lanthimos
- Anno:
- 2017
- Sceneggiatura:
- Yorgos Lanthimos, Efthymis Filippou
- Produzione:
- Ed Guiney, Yorgos Lanthimos
- Casa di produzione:
- Film4, A24, Element Pictures
- Casa di distribuzione:
- Lucky Red
- Fotografia:
- Thimios Bakatakis
- Scenografia:
- Jade Healy